Il fondo patrimoniale. Opponibilità ai terzi e azione revocatoria

Il fondo patrimoniale. Opponibilità ai terzi e azione revocatoria

1. Brevi cenni sul regime patrimoniale della famiglia

Secondo quanto disposto dall’art. 159 c.c., il regime patrimoniale legale della famiglia, cioè quello ordinario che opera in assenza di disposizioni di segno contrario, è la comunione dei beni (artt. 177 ss c.c.), implicante la contitolarità e la cogestione degli acquisti. Le parti possono tuttavia optare, sia all’atto di celebrazione del matrimonio che mediante apposita convenzione, per la separazione dei beni, con la conseguenza che gli acquisti cadranno nella titolarità esclusiva del singolo coniuge che li ha operati e che la gestione dei beni sarà separata.

L’ordinamento, riconoscendo un’ampia e significativa libertà in capo alle parti, permette loro di individuare – nei limiti di legge – il regime patrimoniale che preferiscono mediante la stipula di convenzioni matrimoniali ai sensi dell’art. 162 c.c., che danno luogo alla c.d. comunione convenzionale.

Sotto il profilo cronologico tali convenzioni possono essere stipulate:

  • prima del matrimonio, caso in cui sono subordinate alla condizione legale della futura celebrazione dello stesso;

  • dopo il matrimonio, ipotesi in cui andranno a modificare il regime patrimoniale vigente.

Quanto al profilo formale, devono essere redatte per atto pubblico a pena di nullità e, ai fini dell’opponibilità ai terzi, devono essere annotate a margine dell’atto di matrimonio.

2. Il fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale di cui all’art. 167 c.c. è un istituto che permette di vincolare determinati beni immobili o mobili registrati e titoli di credito allo scopo di fare fronte ai bisogni della famiglia.

Prima della riforma operata con l. 151/1975, l’allora “patrimonio familiare” permetteva di vincolare beni immobili o titoli di credito ed i relativi frutti a favore della famiglia, determinandone l’inalienabilità. L’istituto de quo presentava però una forte rigidità, tanto che il diritto di disporre dei beni richiedeva un’autorizzazione del giudice ovvero una situazione di urgenza ed evidente utilità, con obbligo di reimpiego. Inoltre, importava una deroga al principio di responsabilità patrimoniale, in quanto i creditori potevano aggredire soltanto i frutti dei beni oggetto del patrimonio familiare, a meno che sapessero che il debito era stato contratto per scopi estranei alla famiglia.

Secondo la disciplina attualmente vigente il “fondo patrimoniale” può essere costituito – ora come allora – da un solo coniuge o da entrambi mediante atto pubblico, a pena di nullità, nonché da un terzo, sia mediante testamento che mediante atto inter vivos, ipotesi questa che richiede altresì l’accettazione dei coniugi.

Quanto all’oggetto, oltre ai beni immobili e ai titoli di credito, sono ad oggi compresi anche i beni mobili registrati. I beni che formano il fondo patrimoniale sono sottoposti ad un regime speciale: non possono essere oggetto di atti di disposizione, né essere gravati da vincoli senza il consenso di entrambe le parti e, qualora vi siano anche figli minori, senza l’autorizzazione del giudice; i beni ed i loro frutti, che devono essere utilizzati solo per i bisogni della famiglia, non possono essere aggrediti dai creditori dei coniugi che sapevano di tale destinazione.

Emerge allora come l’istituto in discorso realizzi un fenomeno di segregazione patrimoniale, giacché il patrimonio viene rivolto unicamente alla salvaguardia degli interessi e dei bisogni della famiglia tramite la sottoposizione dello stesso ad un vincolo di destinazione. In altri termini, si crea un patrimonio autonomo di cui sono contitolari entrambi i coniugi, che lo amministrano insieme secondo le regole della comunione. La funzione del vincolo è duplice, cioè evitare sia aggressioni da parte dei creditori che eventuali sperperi da parte dei coniugi stessi[1].

Col fondo patrimoniale si realizza una deroga al principio generale di cui all’art. 2740 c.c. (in forza del quale il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri), dal momento che i beni vincolati rispondono soltanto per le obbligazioni assunte nell’interesse della famiglia o per la gestione del fondo stesso.

Infine, tale patrimonio destinato presuppone l’esistenza di un vincolo coniugale, il cui venire meno – per qualsiasi causa – determina la cessazione del fondo medesimo[2].

3. L’opponibilità a terzi del fondo patrimoniale

La questione dell’opponibilità ai terzi del fondo patrimoniale è stata di recente risolta dalle Sezioni Unite[3], le quali hanno esaminato le seguenti questioni:

  1. se l’atto di costituzione del fondo patrimoniale ex 167 c.c. sia o meno una convenzione matrimoniale ai fini dell’applicabilità dell’art. 162 comma 4 c.c.;

  2. se, in caso positivo, l’opponibilità ai terzi dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale avente ad oggetto beni immobili sia subordinata all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto imposta dall’art. 2647 c.c.

Quanto al primo quesito, la Suprema Corte si è soffermata sulla natura giuridica del fondo, equiparandolo alle convenzioni matrimoniali. Invero, per quanto il fondo possa essere costituito anche da un solo coniuge, secondo la tesi maggioritaria è pur sempre necessario il consenso dell’altro, con la conseguenza che non si tratta di un atto unilaterale bensì di una convenzione. Ed in effetti con questo strumento si vincolano dei beni nell’interesse della famiglia e, quindi, i coniugi stessi.

Fatto rientrare il fondo patrimoniale tra le convenzioni matrimoniali, le Sezioni Unite affermano l’applicabilità delle relative norme, ivi comprese quelle sulla forma e, segnatamente, l’art. 162 c.c. Il comma 4 della disposizione de qua subordina l’opponibilità ai terzi all’annotazione del contratto a margine dell’atto di matrimonio con la conseguenza che, in sua mancanza, il fondo non è opponibile ai creditori che abbiano iscritto ipoteca sui beni del fondo. Per contro è irrilevante la trascrizione del fondo nei registri della conservatoria dei beni immobili, giacché la trascrizione del vincolo per gli immobili ex art. 1647 c.c. rappresenta una mera pubblicità-notizia, che non può sopperire al difetto di annotazione nei registri dello stato civile.

Per pervenire a tali conclusioni le Sezioni Unite fanno due considerazioni.

L’abrogazione ad opera della l. 151/1975 del comma 4 dell’art. 2647 c.c., per cui la trascrizione del vincolo era requisito di opponibilità ai terzi, dimostra la voluntas legis di “degradare la trascrizione del fondo a pubblicità notizia e di riservare l’opponibilità del vincolo ai terzi all’annotazione di cui all’art. 162 ult. c.c.”. L’annotazione costituisce allora l’unica formalità pubblicitaria rilevante agli effetti dell’opponibilità della convenzione ai terzi, mentre la trascrizione del vincolo ex art. 2647 c.c. è stata degradata al rango di pubblicità-notizia. Pertanto, sussiste ad oggi una doppia forma di pubblicità, ossia l’annotazione nei registri dello stato civile con funzione dichiarativa e la trascrizione con funzione di pubblicità notizia. Il terzo interessato, dunque, oltre a consultare i registri immobiliari per verificare la condizione di un certo immobile, è altresì tenuto a verificare se il titolare è coniugato e, in caso positivo, controllare se a margine dell’atto di matrimonio sia stata annotata una convenzione derogatoria.

Si richiama poi una pronuncia con cui la Corte costituzionale[4] ha dichiarato infondata, in riferimento agli artt. 3 e 19 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 162 ult., 2647 e 1925 c.c. nella parte in cui non prevedono che, per i fondi patrimoniali costituiti sui beni immobili a mezzo di convenzione matrimoniale, l’opponibilità ai terzi sia determinata unicamente dalla trascrizione dell’atto sui registri immobiliari, anziché pure dall’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. Ciò in quanto il doppio onere di eseguire ricerche sia presso i registri immobiliari che presso i registri dello stato civile non è eccessivamente gravoso, non pregiudicando né la tutela in giudizio né la tutela degli aspetti etico-sociali della famiglia (art. 29 Cost.). Al contrario, tale regime si giustifica perché, innanzitutto, si tratta di deroghe al regime legale e, in secondo luogo, è necessario contemperare i contrapposti interessi della conservazione del patrimonio per i figli fino alla maggiore età dell’ultimo e dell’impedimento di un uso distorto dell’istituto a danno dei creditori.

In definitiva “l’annotazione di cui all’art. 162 comma 4 c.c. è l’unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l’opponibilità della convenzione matrimoniale ai terzi, mentre la trascrizione di cui all’art. 2647 c.c. (norma generale) ha funzione di mera pubblicità-notizia”.

4. Fondo patrimoniale e azione revocatoria

La giurisprudenza si è di recente occupata anche della possibilità di sottoporre ad azione revocatoria l’atto di costituzione del fondo patrimoniale. Come noto, la c.d. actio pauliana (artt. 2901 ss c.c.) è uno dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale utilizzabile dal creditore quando, sussistendo i presupposti di legge, voglia chiedere che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni.

La giurisprudenza ha osservato che, in effetti, la costituzione del fondo patrimoniale rappresenta un atto dispositivo idoneo a ridurre la garanzia patrimoniale generica, poiché i beni del fondo sono aggredibili solo a determinate condizioni, con conseguente pregiudizio per i creditori. Per questa ragione questi ultimi sono legittimati ad esperire l’azione revocatoria[5].

Inoltre, secondo l’opinione prevalente, l’atto costitutivo è a titolo gratuito, a prescindere dal fatto che provenga da un solo coniuge o da entrambi, pertanto sarà sufficiente provare l’esistenza della frode. Diversamente, qualificandolo come atto oneroso, sarebbe stata altresì necessaria la dimostrazione della consapevolezza del terzo del pregiudizio arrecato al creditore[6].

Ai fini della procedibilità dell’azione, poi, basta l’esistenza del credito, non essendo richiesta anche la sua esigibilità o il preventivo accertamento giudiziale.

In ogni caso è opportuno sottolineare che, qualora l’azione revocatoria sia accolta, l’atto costitutivo del fondo rimane valido e sarà solo relativamente inefficace, cioè inefficace rispetto al creditore procedente.

L’azione si prescrive in 5 anni, decorrenti dal giorno in cui l’atto è opponibile a terzi in quanto prescrizione inizia a decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, e non invece dalla stipula della convenzione[7].

Infine, posto che il fondo patrimoniale non rientra tra le obbligazioni naturali, quale condotta volta a soddisfare un qualsiasi dovere morale, ma integra l’adempimento di un obbligo giuridico, ossia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, la giurisprudenza ritiene applicabile anche la revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 64 R.D. 267/1942[8].


[1] R. Galli, Nuovo corso di diritto civile, Vicenza, 2017, 119 s.

[2] M. Fratini, Manuale di diritto civile, Roma, 2017, 92 ss.

[3] Cass. civ., Sez. Un., 13 ottobre 2009, n. 21658.

[4] Corte cost. 6 aprile 1995, n. 111.

[5] Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2005, n. 4933.

[6] Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 2009, n. 25556.

[7] Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2003, n. 18607.

[8] R. Galli, Nuovo corso di diritto civile, Vicenza, 2017, 122.


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