Il frazionamento del credito dopo la sentenza n. 4090/2017

Il frazionamento del credito dopo la sentenza n. 4090/2017

Con la sentenza n. 4090 del 2017 le Sezioni Unite sono tornate ad interrogarsi sulla legittimità del comportamento del creditore che richiede in via giudiziale l’adempimento frazionato di una prestazione originariamente unica. Procedendo in questo modo, l’attore non punta ad ottenere la totalità di quanto dovutogli attraverso un giudizio unitario ma tramite la sua frammentazione in una o più tranches, così da poter adire il giudice inferiore e non quello che sarebbe naturalmente competente. Tale espediente consente al creditore di avvantaggiarsi di una maggiore informalità e speditezza del giudizio ed anche di ottenere, in tempi minori, un giudicato “pilota” da poter usare nei giudizi successivi per il recupero della restante parte del credito.

Tuttavia, al fine di comprendere la summenzionata sentenza è necessario fare riferimento al primo precedente a Sezioni Unite della Corte: la sentenza n. 108 del 2000[1].

In tale occasione, la Corte ha sostenuto che il frazionamento di un credito unitario attraverso la proposizione di più domande debba considerarsi legittimo e tale da non realizzare un abuso del processo. Il ragionamento seguito poggia sull’assunto per cui, in mancanza di espresse disposizioni o di principi generali, non è possibile sostenere l’inammissibilità di una domanda giudiziale per il solo fatto che questa riguardi esclusivamente una porzione del credito vantato dall’attore.

Dopo aver analizzato il caso di specie la Corte ha dichiarato che, non sussistendo alcuna violazione dei principi del ne bis in idem, di correttezza e di buona fede, la domanda giudiziale con la quale il creditore di una somma derivante dall’inadempimento di un unico rapporto agisca per ottenere l’adempimento parziale della prestazione, riservandosi di procedere in un secondo momento per la restante parte, non possa non ritenersi ammissibile.

Il principio affermato dalla Sentenza n. 108 del 2000, tuttavia, è stato ribaltato dalla successiva pronuncia delle Sezioni Unite sul tema: la sentenza n. 23726 del 2007[2].

Il revirement operato dalla Suprema Corte trova fondamento nel mutamento del quadro normativo registratosi in una duplice direzione: da un lato, si è assistito ad una sempre maggiore valorizzazione dei principi di buona fede e correttezza in quanto estensione degli inderogabili doveri di solidarietà sanciti dall’art. 2 della Costituzione; dall’altro, si è dato risalto al principio costituzionale del “giusto processo” ex art. 111.

Per quanto riguarda il primo dei profili richiamati, la Corte ha stabilito che la parcellizzazione giudiziale della domanda provocherebbe un indubbio peggioramento delle condizioni del debitore: sia perché egli dovrebbe sottostare per un periodo maggiore al vincolo coattivo scaturente dalla riserva di azione per il residuo, sia perché il debitore si troverebbe immotivatamente costretto a fronteggiare diverse iniziative giudiziali e a sostenere un considerevole aggravio delle spese processuali. Per questi motivi, il frazionamento del credito risulta lesivo dei principi di buona fede e correttezza che non costituiscono solo uno strumento atto a controllare in senso modificativo od integrativo lo statuto negoziale ma, anche un espediente per garantire il giusto equilibrio degli opposti interessi nelle fasi patologiche di un rapporto obbligatorio.

Infine, in relazione al secondo dei profili considerati, la disarticolazione dell’unita sostanziale del rapporto si pone in contrasto con i canoni del giusto processo di cui all’art. 111 della Carta Costituzionale; in particolare quelli relativi alla sua ragionevole durata e alla parità delle armi tra i litiganti.

In tale contesto giurisprudenziale, le Sezioni Unite sono poi inaspettatamente ritornate sul tema con un’ultima pronuncia: la sentenza n. 4090 del 2017[3].

Nel caso pratico posto alla base della sentenza il lavoratore, in relazione al medesimo rapporto di lavoro, ha scelto di agire separatamente per ottenere la rideterminazione del TFR ed il ricalcolo del premio fedeltà.

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite hanno riconosciuto la possibilità, per il creditore agente, di proporre in separati giudizi più domande aventi ad oggetto il recupero di diversi e distinti crediti facenti capo ad un medesimo rapporto obbligatorio.

Una circostanza simile costituisce un tratto distintivo rispetto alle precedenti pronunce poiché ogni volta che si è discusso di frazionabilità del credito lo si è sempre fatto in riferimento ad un credito unitario e non ad una pluralità di crediti differenti, sorti però nell’alveo di un unico rapporto complesso.

L’iter logico-argomentativo seguito dalle Sezioni Unite si basa sulla tesi secondo cui l’indivisibilità giudiziale della domanda relativa a crediti distinti non trova alcuna conferma nella disciplina processuale. Invero, l’esame degli artt. 31, 34, 40 e 104 c.p.c. – in tema di domande accessorie, pregiudiziali o connesse e di proponibilità nello stesso processo di più domande nei confronti della medesima parte – induce a ritenere possibile la proposizione in tempi diversi ed in processi differenti di domande intese al recupero di crediti distinti facenti capo ad un unico rapporto complesso. Dall’analisi del portato letterario dei summenzionati articoli, infatti, non è stato possibile dedurre la volontà del legislatore di vietare o impedire il frazionamento della domanda di crediti facenti capo ad uno stesso rapporto.

Tuttavia, le considerazioni che precedono non possono ritenersi esaurienti. Ed infatti, le Sezioni Unite pur ammettendo la proponibilità di differenti domande giudiziali per il recupero di crediti diversi sorti nell’ambito del medesimo rapporto di durata riconoscono un limite all’applicabilità di tale principio: “se i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo – sì da poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale-, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata[4].

Se è infatti vero che il sistema processuale ipotizza ed ammette la proponibilità delle suddette pretese creditorie in tempi e giudizi diversi, è anche vero che la medesima disciplina processuale è intesa a consentire, quando possibile, la trattazione unitaria dei processi suindicati al fine di evitare tutti gli inconvenienti connessi ad un’inutile duplicazione di attività processuali.

Con tale ultima pronuncia, le Sezioni Unite – ammettendo come limite al frazionamento della domanda l’esistenza in capo a chi agisce di un interesse oggettivo – hanno riconosciuto la necessità di condurre un’analisi imparziale ed effettiva, al fine di razionalizzare, di volta in volta, il ricorso ad una simile tutela.

La prova dell’esistenza di suddetto interesse grava sul soggetto agente che è tenuto ad un esercizio responsabile del diritto all’azione, sia per quanto riguarda la domanda in quanto tale che per quel che attiene alle modalità di proposizione della stessa. A contrario, la carenza di tale interesse dovrà essere rilevata dalla controparte o dal giudice che, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., potrà concedere i termini per la presentazione delle memorie ex art. 101, comma 2 c.p.c..

Con la sentenza in questione le Sezioni Unite, pur affrontando il tema del frazionamento del credito, non si sono pronunciate sull’ammissibilità di agire separatamente nel caso di credito unitario ma, solo sulla possibilità di farlo nel caso in cui i crediti – pur sorti nell’ambito di un medesimo rapporto – siano diversi (non potendo essere ricondotti né al medesimo ambito oggettivo né allo stesso titolo costitutivo). Dunque, resta da chiedersi se nel caso di credito unitario (come quelli analizzati dalla precedente giurisprudenza a Sez. Unite) continui a trovare applicazione la Sent. n. 23726 del 2007 che, come detto, nega legittimità alla pratica del frazionamento.

In verità, pare doversi concludere che la pronuncia n. 4090 del 2017 abbia portata generale, a prescindere dalle caratteristiche dei crediti considerati poiché in caso contrario, negando al creditore che agisca separatamente per il recupero di un credito unitario la possibilità di far valere un proprio oggettivo interesse a procedere attraverso separati giudizi, si perverrebbe ad un’illogica disparità di trattamento non prevista direttamente dalla legge e tale da far sorgere possibili dubbi di legittimità costituzionale[5].

In linea generale, poi, la soluzione prospettata dalle Sezioni Unite del 2017 sembra pervenire al miglior bilanciamento possibile tra i contrapposti interessi in gioco. Infatti, la mancanza di un espresso divieto volto ad impedire l’instaurazione di diversi procedimenti trova il necessario freno nella necessità di poter addivenire ad un simile frazionamento solo previa dimostrazione dell’esistenza di un interesse oggettivo.

La circostanza che in assenza di tale interesse non possa procedersi ad un recupero separato del credito avente medesima fonte costitutiva o ambito oggettivo sembra essere l’unico espediente possibile al fine di evitare che il debitore si trovi, di volta in volta, costretto a sopportare l’inutile ed arbitraria estensione di un vincolo coattivo.

Un sistema di questo tipo sembra garantire anche il pieno rispetto dei principi promossi dagli artt. 25 e 102 della Carta Costituzionale, evitando soprattutto che si devii dalla regola del giudice naturale precostituito in base a criteri oggettivi e certi di identificazione quali – ad esempio – la materia o il valore della controversia. Infatti, se il creditore potesse indiscriminatamente agire scomponendo la domanda secondo proprie logiche e strategie non solo, si realizzerebbe una lesione dei summenzionati principi ma, si rischierebbe anche di ledere il generale principio di certezza del diritto: invero, il debitore non ancora inadempiente non sarebbe mai messo nella condizione di conoscere ex ante quale sarebbe il giudice competente in caso di inadempimento, per quale somma e per quanti processi.  Inoltre, ciò sembra tanto più vero se si considera che la competenza a favore del giudice di pace, operata attraverso il frazionamento della domanda, espone il debitore anche alla possibilità di subire una decisione secondo equità e non secondo diritto, in linea con quanto stabilito dall’art. 113 del c.p.c..

Tanto premesso, va inoltre sottolineato che sebbene la sentenza n. 4090 del 2017 affronti di riflesso anche la questione relativa alle conseguenze pratico-applicative ricollegabili al comportamento del creditore che agisca frazionando il proprio credito, tale problema – non secondario – resta ancora aperto.

Sul tema la Corte di Cassazione, con la decisione n. 15476 del 2008[6], ha statuito che “dal complesso della motivazione della Sentenza a Sezioni Unite del 2007 si evince che la domanda è improponibile; e che detta improponibilità investe ciascuna delle singole domande in cui è stata frazionata la domanda concernente l’intera somma in questione[7].

Successivamente è poi intervenuto il Legislatore che con l’art. 20 della Legge n. 133 del 2008[8] ha previsto che – nei procedimenti relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza sociale (si sostiene, tuttavia, che la norma abbia vocazione generale) – a fronte di una pluralità di domande o di azioni esecutive che frazionino un credito relativo al medesimo rapporto è necessario procedere alla riunificazione dei procedimenti ex art. 151 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. e, solo in caso di mancata riunificazione, il giudice potrà dichiarare, in ogni stato e grado del procedimento, l’improcedibilità delle domande successive alla prima.

Le Sezioni Unite del 2017, invece, hanno ritenuto inadatta la dichiarazione di improponibilità dell’azione abusivamente intrapresa dalla parte poiché si tratterebbe di una conseguenza ingiustificatamente gravosa per il creditore.

Tale conclusione sembra condivisibile, tuttavia la Corte ha mancato di individuare quale possa essere l’alternativa più congeniale per la risoluzione del problema preferendo rimettere tale compito alla giurisprudenza successiva.


[1] Cassazione Civile, Sez. Un., 10 aprile 2000, n. 108.

[2] Cassazione Civile, Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726.

[3] Cassazione Civile, Sez. Un., 16 febbraio 2017, n. 4090.

[4] Sent. n. 4090 del 2017.

[5] Di Giovanna L., Frazionamento del credito e abuso del processo. Il punto dopo Cass. Sez. Un. 4090/2017 in Settimanale sul Processo Civile, Ed. del 4 aprile 2017.

[6] Cassazione Civile, Sez. III, 11 giugno 2008, n. 15476.

[7] V. anche Buffone G., Parcellizzazione del credito unitario e disarticolazione del rapporto obbligatorio unico: dalle Sezioni Unite del 2007 all’art. 20 della Legge 133/2008 pubblicato dalla Riv. Scientifica del Tribunale di Varese; Veronese B., L’improponibilità della domanda frazionata: rigetto in rito o nel merito? in Obbligazioni e Contratti, ottobre 2009.

[8] Art. 20 d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv., con mod., dall’art. 1, comma 1, l. 6 agosto 2008, n. 133.


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