Il furto in uno studio legale ex art. 624-bis c.p.

Il furto in uno studio legale ex art. 624-bis c.p.

Il giudice dell’impugnazione conferma la responsabilità penale dell’imputato per il reato di cui all’art. 624 bis. c.p, che punisce il furto in abitazione, per aver rubato all’interno di uno studio legale. Il difensore dell’imputato nel ricorrere in Cassazione contesta l’erronea qualificazione giuridica del reato e difetto di motivazione della decisione perché il furto in realtà è stato commesso in un luogo di lavoro che non può essere ricondotto alla nozione di privata dimora in quanto non è stato dimostrato che nello studio venissero compiuti atti tipici della vita privata o che vi fossero aree destinate ad attività personali.

Essa rileva che è stato dimostrato in giudizio che l’imputato, addetto alle pulizie del luogo del furto, si è introdotto nel garage, ha aspettato che tutti i dipendenti uscissero e una volta entrato nello studio ha sottratto oggetti preziosi, come gioielli e lingotti d’oro e un salvadanaio. Furto del valore complessivo di 7000 – 8000 euro.

Con tutte queste prove a suo carico l’imputato ha però concentrato la sua difesa sulla errata qualificazione del reato come furto in abitazione, sostenendo che uno studio legale non può essere considerato una privata dimora come specificato dall’art. 624 bis c.p. (Corte di Cassazione – I sez. pen. – sentenza n. 38608 del 27-10-2021)

Norma giuridica. Il furto in abitazione è contemplato dall’art. 624 bis c.p., in forza del quale: “Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 309 a euro 1.032.”

Elemento soggettivo. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, al dolo specifico del furto (finalità di trarre un profitto) si affianca la coscienza e la volontà d’introdursi in un luogo e la consapevolezza che la dimora o la sua pertinenza è altrui.

Elemento oggettivo. Genericamente, si tratta di una cosa mobile altrui, comprese le energie con un valore economico (energia elettrica). In dottrina si ritiene che si possa ricorrere alla definizione civilistica di bene mobile (art. 812 c.c.) per definire la cosa mobile. Il reato in analisi è un reato plurioffensivo che viola il patrimonio e il domicilio. Il bene protetto è la relazione di fatto tra la persona e la cosa mobile. In ogni caso si precisa che, ai fini della configurazione del furto in abitazione, non è necessario che il soggetto a cui è sottratta la cosa ne sia proprietario, essendo sufficiente la mera detenzione.

Le Sezioni Unite ridefiniscono la nozione di privata dimora ai fini dell’art. 642-bis c.p.. Sono state recentemente depositate le motivazioni della sentenza con cui le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a meglio delineare i confini dell’area di applicabilità della fattispecie di furto c.d. in abitazione di cui all’art. 624-bis c.p., hanno offerto una nuova definizione della nozione di “privata dimora” volta a risolvere, una volta per tutte, la vexata quaestio se rientrino o meno in tale concetto anche gli esercizi commerciali e gli altri luoghi di lavoro aperti al pubblico.

A tale quesito le Sezioni Unite hanno dato risposta negativa, con la sola eccezione di quei casi in cui il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa, in quanto “rientrano nella nozione  di privata dimora di cui all’art. 624-bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del  titolare”. (Cass., SSUU, sent. 23 marzo 2017 ).

In tema di furto in abitazione (art. 624-bis c.p.), si segnala ai lettori la sentenza con cui la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla qualificabilità dello Studio Legale come luogo di privata dimora.

La più recente e condivisibile giurisprudenza di legittimità – si legge nella sentenza – «ha ritenuto corretta la qualificazione ex art. 624-bis cod. pen. del furto commesso di notte all’interno di uno studio legale, ricorrendo i presupposti dello “ius excludendi alios“, dell’accesso non indiscriminato al pubblico e della presenza costante di persone, anche eventualmente in orario notturno, essendo il titolare libero di accedervi in qualunque momento della giornata; ciò in quanto, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata – compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale – e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare».

Tale orientamento – si precisa – «è in linea con l’interpretazione letterale e sistematica della norma incriminatrice in riferimento esplicitata dalle Sezioni Unite D’Amico, nella sentenza n. 31345 del 23/03/2017. In tale importante decisione, il Supremo Consesso ha delineato la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare. Ha, quindi, affermato il principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.

Risponde del reato di furto in abitazione, previsto dall’art. 624-bis, c.p., colui che penetri furtivamente all’interno di uno studio legale trattandosi di un luogo avente le stesse caratteristiche dell’abitazione, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto. Ciò in quanto, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata – compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale – e che non siano aperti al pubblico – né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.


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