Il gestore delle slot machine che non versa il PREU commette peculato?

Il gestore delle slot machine che non versa il PREU commette peculato?

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 16 febbraio 2021, n. 6087 offre lo spunto per trattare della configurazione del reato di peculato in caso di omesso versamento del prelievo unico erariale (PREU) dovuto sull’importo delle giocate al netto delle vincite erogate, da parte del gestore degli apparecchi da gioco con vincita in denaro o del concessionario per l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito.

Nel caso di specie, il gestore degli apparecchi da gioco con vincita in denaro, si impossessava dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del prelievo erariale unico, non versandoli al concessionario della rete per la gestione telematica degli apparecchi.

L’art. 314, al comma 1, c.p., punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropria.

Si tratta di un reato avente natura plurioffensiva. Esso tutela non solo la legalità, l’imparzialità e l’efficienza dell’attività della pubblica amministrazione, ma altresì il patrimonio della stessa pubblica amministrazione o di terzi.

Inoltre, si tratta di un reato proprio, essendo richiesta, per il soggetto attivo, la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

Secondo l’art. 357 c.p., agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Invece ai sensi dell’art. 358 c.p. sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.

L’oggetto giuridico del delitto di peculato si identifica con la tutela del patrimonio della pubblica amministrazione da quanti sottraggono o pongono a profitto, proprio o di altri, denaro o cose mobili, rientranti nella sfera pubblica, di cui sono in possesso per ragioni del loro ufficio o servizio.

Per la configurabilità del delitto di peculato è sufficiente che il possesso o la disposizione di denaro o della cosa mobile si verifichino per ragioni di ufficio, poiché non rileva che l’effettiva appropriazione si sia consumata in un momento in cui l’agente non svolge più la sua funzione.

La nozione di possesso di denaro deve intendersi non solo come comprensivo della detenzione materiale della cosa, ma anche della sua disponibilità giuridica, nel senso che il soggetto agente deve essere in grado, mediante un atto dispositivo di sua competenza o connesso a prassi invalse nell’ufficio, di inserirsi nella disponibilità del denaro.

L’appropriazione si realizza con l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale che comincia a comportarsi uti dominus nei confronti di un bene o del denaro del quale ha il possesso in ragione del proprio ufficio.

Ai fini della configurabilità del reato di peculato è necessario il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile, che si possiede per ragioni di ufficio o di servizio.

Sul punto si sono registrati diversi orientamenti giurisprudenziali.

Un primo orientamento giurisprudenziale qualifica il concessionario della gestione della rete telematica come “agente contabile”, posto che il denaro che riscuote è fin da subito di spettanza della Pubblica Amministrazione. Tale orientamento qualifica il sub-concessionario per la gestione dei giochi telematici come incaricato di pubblico servizio, trattandosi di un soggetto che è investito contrattualmente dell’esercizio dell’attività di agente contabile addetto alla riscossione e al successivo versamento del prelievo erariale unico sulle giocate. [1]

La condotta del gestore che si impossessa degli incassi delle giocate, omettendo di versarli al concessionario, integra il reato di peculato ex art. 314 c.p.

Secondo un diverso orientamento, invece, le somme prelevate dagli apparecchi da gioco sono in possesso del gestore del gioco il quale è tenuto al pagamento del PREU quale soggetto passivo di imposta, sulla base di una analitica valutazione delle disposizioni rilevanti di tale normativa che consentono di qualificare il PREU come imposta. [2]

Il denaro incassato non è di proprietà pubblica, bensì del concessionario della rete il quale, su tale incasso dei propri apparecchi da gioco, assume una obbligazione tributaria, con la conseguenza che la condotta di appropriazione non integra il peculato.

Le Sezioni Unite accolgono il primo orientamento. I proventi del gioco presenti negli apparecchi, al netto del denaro restituito quale vincita agli scommettitori, appartengono all’Amministrazione; la società concessionaria riveste la qualifica di agente della riscossione tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al conto giudiziale degli introiti derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, compreso il compenso del cessionario.

Se il privato deve utilizzare l’apposito canale pubblico rappresentato dalle apparecchiature elettroniche collegate alla rete telematica della Pubblica Amministrazione per effettuare la sua giocata, ne consegue che il denaro impiegato diventa denaro pubblico, soggetto alle regole pubbliche di rendicontazione e il cui maneggio genera l’obbligo dell’agente a rendere giudiziale ragione della gestione attraverso un documento contabile che dia contezza della stessa e delle sue risultanze.

Le sezioni Unite, infatti, sono consolidate nel ritenere che integra il delitto di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, t.u.l.p.s., che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del Prelievo Erariale Unico (PREU), non versandoli al concessionario competente, in quanto il denaro incassato appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua ricezione. [3]

A tal proposito, nel caso di specie appare evidente che il gestore delle slot machine è responsabile del reato di peculato ex art. 314 c.p., essendosi impossessato dei proventi del gioco, non versandoli al concessionario competente.

Appare evidente sottolineare che il privato concessionario gestisce in via esclusiva un’attività propria dell’Amministrazione, rientrante nell’ambito di un monopolio legale, esercitandone i medesimi poteri pubblici; il concessionario procede alla raccolta di denaro, tramite apparecchi collegati alla rete telematica della Pubblica Amministrazione, attività che assume carattere pubblico in forza del titolo di legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d’azzardo che, altrimenti, integrerebbe una attività assolutamente vietata.

Il concessionario di rete è responsabile del reato di peculato laddove si appropri degli incassi anche per la parte destinata al PREU, perché si tratta di denaro pubblico, che egli gestisce in veste formale di agente contabile indipendentemente dalla ulteriore considerazione che, nella gestione del gioco lecito, svolga un pubblico servizio.

Il concessionario svolge in regime di concessione un pubblico servizio, riservato al monopolio statale, che consiste proprio nel controllo delle attività di gioco sia per il rispetto dei limiti entro quale può ritenersi lecito, svolgendo quella funzione pubblica di contrasto alla diffusione della ludopatia e delle attività criminali nel dato settore, sia per la gestione degli incassi delle giocate, destinati all’Erario.

Anche il rapporto del gestore con il denaro che raccoglie dagli apparecchi è di detenzione nomine alieno che, ai fini dell’art. 314 c.p., integra la condizione di altruità della cosa, sebbene il gestore non assume la qualifica di “agente contabile”, trattandosi di ruolo attribuito al concessionario.

Il gestore, quindi, assume la qualifica pubblicistica di incaricato di pubblico servizio; infatti il gestore svolge la sua attività in autonomia, senza il controllo diretto del concessionario, ed a lui è affidata la verifica della funzionalità della rete telematica con obblighi di segnalazione di anomalie.

In conclusione, il gestore, partecipando all’attività in concessione, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio e, qualora si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del PREU, non versandoli al concessionario, sarà ritenuto responsabile del reato di peculato ex art 314, comma 1, c.p..

 

 

 

 


[1] (Cass., sez. VI, 5 ottobre 2017, n. 49070)
[2] (Cass., sez. VI, 5 aprile 2018, n. 21318)
[3] (Cass., S.U., 24 settembre 2020 – 16 febbraio 2021, n. 6087)

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