Il labile confine tra il concorso di persone in violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo

Il labile confine tra il concorso di persone in violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo

Negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione di nuove fattispecie autonome di reato orientate alla tutela di beni giuridici di particolare rilievo individuale e collettivo; essi si indentificano nei c.d. “diritti di nuova generazione” che traggono il loro fondamento giuridico nell’assetto costituzionale e nella Carta di Nizza.

Fra questi è annoverabile il diritto alla libertà sessuale inteso quale capacità di autodeterminazione assoluta ed autonoma, e quindi priva di condizionamento morale e materiale, orientata alla manifestazione della sessualità di un individuo. Tale diritto rappresenta una declinazione della libertà individuale che, ad oggi, trova una completa tutela penalistica negli artt. 609 bis ss c.p.

Invero, con la l. nr. 66 del 1996 il legislatore ha significativamente mutato l’impianto di tutela fornito alle vittime di violenza sessuale, spostando il baricentro di tutela dal bene della moralità pubblica alla autodeterminazione dell’intimità della sfera sessuale.

L’apparato normativo in materia compendia una serie di fattispecie autonome di reato ed una pluralità di circostanze aggravanti speciali funzionali ad una più pregnante tutela del bene giuridico protetto. In particolare, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è soffermata sulla specifica tematica del concorso di persone nel reato di violenza sessuale ex artt. 110, 609 bis c.p. e sui confini con il reato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609 octies c.p.

Al fine di una puntuale analisi della questione, appare necessario descrivere i tratti distintivi di tali fattispecie alla luce dei principi generali in tema di concorso di persone nel reato.

L’art. 609 bis c.p. punisce la condotta di chi, con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere atti sessuali; soggiace alla stessa pena anche colui che induce taluno a subire tali atti.

Il reato di violenza sessuale è una norma a più fattispecie che, quindi, può essere integrata tramite due differenti condotte materiali ovvero della c.d. violenza per costrizione o per induzione finalizzata al compimento di atti sessuali, concetto quest’ultimo al centro di vivi dibattiti giurisprudenziali.

Nel dettaglio, la giurisprudenza ad oggi dominante fornisce una interpretazione estensiva di tale requisito ricomprendendo tutte quelle condotte caratterizzate da un contatto fisico ontologicamente orientate all’appagamento del desiderio sessuale dell’autore comprensivo anche dei baci, degli abbracci e “palpeggiamenti”.

L’art. 609 octies c.p. definisce la violenza sessuale di gruppo come partecipazione da parte di più persone riunite al fine di compiere le condotte stabilite dall’art. 609 bis c.p.; si tratta di una fattispecie plurisoggettiva necessaria che, per essere integrata, necessita la partecipazione di almeno due persone all’atto sessuale.

Da una lettura superficiale dell’art. 609 octies c.p. sembrerebbe che il legislatore abbia tipizzato una specifica norma sul concorso di persone nel reato di violenza sessuale nella sostanza identica al disposto di cui all’art. 110 c.p. Difatti, una parte minoritaria della dottrina sosteneva l’inammissibilità del combinato disposto fra art. 110, 609 bis c.p. in base ad un’interpretazione del concetto di “partecipazione” quale sinonimo di “concorrente”. Tale assunto veniva, inoltre, corroborato dall’ultimo comma dell’art. 609 octies c.p. che stabilisce una diminuzione di pena per il partecipe la cui opera abbia avuto una minima importanza sostanzialmente rimandando al dato letterale dell’art. 114 c.p. in tema di circostanze attenuanti in tema di concorso ex artt. 110, 113 c.p.

Sullo specifico tema dell’ammissibilità del combinato disposto degli artt. 110, 609 bis c.p. si è pronunciata più volte la Corte di Cassazione al fine di segnare un netto discrimen con la più grave ipotesi di reato della violenza sessuale di gruppo. Tali pronunce negano radicalmente le osservazioni della dottrina minoritaria alla luce di un’interpretazione conforme ai principi di concorso di persone nel reato e del canone dell’offensività.

Nel dettaglio, una prima pronuncia della Corte di Cassazione si soffermata sul caso del terzo che abbia istigato o consigliato ad un soggetto di compiere degli atti sessuali a danni di una donna; in tale evenienza i giudici della Cassazione hanno ritenuto responsabile il terzo di concorso di reato di violenza sessuale alla luce di un argomento teleologico e sistematico. In particolare, è stato evidenziato che l’art. 110 c.p. ben può legarsi al reato di cui all’art. 609 bis c.p. dando così luogo alla fattispecie plurisoggettiva eventuale del concorso in violenza sessuale. Invero, esiste un netto discrimen tra il concorso in violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, che si indentifica su una chiara perimetrazione del significato di “partecipazione” intesa come presenza sul luogo del reato al momento dell’atto sessuale. Viceversa, nel caso in cui un soggetto si limiti a consigliare o a instillare il proposito criminoso all’autore del fatto violento, questi concorrerà moralmente ex artt. 110, 609 bis c.p.

Sicché, lo spazio applicativo del concorso in violenza sessuale è corrispondente a solo quelle condotte di concorso morale poiché, nel caso di concorso materiale, è ontologicamente necessaria la presenza sul luogo del reato con la conseguenza che verrà integrata la più grave fattispecie di cui all’art. 609 octies c.p.

Il discrimen fra il concorso in violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo è stato ulteriormente delineato da una seconda pronuncia della Corte di Cassazione che ha avuto ad oggetto lo specifico caso del “terzo\voyeur” che abbia ripreso ovvero assistito l’atto sessuale da parte di più persone riunite, dichiarando la responsabilità di questi per il reato di violenza sessuale di gruppo alla luce di un’interpretazione estensiva del concetto di “partecipazione”.

L’iter argomentativo seguito della Suprema Corte salda i principi generali in tema di concorso con le specificità della violenza sessuale di gruppo in base ad una lettura conforme alla volontà del legislatore e della maggiore offensività della condotta. Veniva osservato che la terminologia usata dal legislatore (partecipazione) non coincide con il concetto di “concorso” proprio dell’art. 110 c.p. quale norma generale che può legarsi a qualsiasi altro reato di parte speciale dando così vita ad una fattispecie plurisoggettiva eventuale.

Quindi, al termine “partecipazione” deve essere data un’interpretazione specifica assimilabile al concetto di presenza “spazio\temporale” del soggetto al momento dell’atto sessuale che, quindi, non può nemmeno identificarsi con la mera partecipazione materiale dell’atto sessuale. Ciò si evince da una forte lettura del principio di offensività rispetto al bene della libertà sessuale, poiché è indubitabile che già la presenza passiva di più persone comporta una maggiore compromissione del bene giuridico tutelato ed un consequenziale rafforzamento del proposito criminoso dell’autore\i.

A parere della Corte di Cassazione solo la mera connivenza, intesa quale presenza passiva e accidentale nel luogo del fatto di reato, comporta l’impunità purché si dimostri, anche in questo caso, che in concreto non vi sia stato un rafforzamento del proposito criminoso dell’autore.

In definitiva, la Corte di Cassazione ha espresso il principio di diritto secondo cui integra il reato di cui all’art. 609 octies c.p. non solo la condotta di chi partecipi attivamente all’atto sessuale ma anche di colui che si trovi nel contesto spazio\temporale nel quale viene consumata la violenza, purché tale “presenza” rafforzi causalmente il proposito criminoso dell’autore.

Infine, merita di essere segnalata una peculiare pronuncia della Corte di Cassazione del 2009 che ha avuto ad oggetto il caso di un genitore consapevole e contrario agli atti di violenza da parte dell’altro coniuge a danni del figlio, che è stato ritenuto responsabile di concorso in violenza sessuale. In realtà, la pronuncia in esame affronta anche la specifica problematica dell’obbligo di impedire l’evento ex art. 40 c.2 c.p. gravante sul coniuge attraverso una lettura estensiva del reato omissivo improprio comprensivo anche degli obblighi di protezione scaturenti dagli artt. 29 Cost e dall’art. 147 c.c.

Ad avviso della Corte di Cassazione, seppur la condotta del coniuge non integri nemmeno in senso lato un’ipotesi di concorso morale nel reato, tuttavia su di questi grava uno specifico obbligo normativo di impedire l’evento dannoso per il minore ex art. 40 c.2 c.p. che, in concreto, non è stato impedito.

Sicché, dato che gli atti di violenza avvenivano quando il genitore dissenziente era assente allora questi è stato ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 609 bis c.p. alla luce dell’oramai monolitico orientamento giurisprudenziale in materia.

In definitiva la tematica del rapporto fra concorso in violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo ha costituito un peculiare tema che ha permesso più ampie riflessioni di carattere generale sulle norme del concorso di persone nel reato. Invero, proprio alla luce dei principi generali e del canone di offensività la Corte di Cassazione ha segnato un netto discrimen fra le sopra accennate ipotesi di reato.

Il concorso nel reato di violenza sessuale può esclusivamente integrarsi nel caso residuale di “concorso morale” inteso quale rafforzamento o istigazione del proposito criminoso di un soggetto che non si trovi nel luogo al momento dell’atto di violenza perpetrato dall’autore.

Invece, la più grave ipotesi di violenza sessuale di gruppo viene integrata sia nel caso più persone forniscano sia un contributo materiale sia nell’ipotesi di concorso materiale intesa come rafforzamento del proposito criminoso dell’autore. Invero il concetto di “partecipazione” è stato interpretato estensivamente quale presenza spazio\temporale del soggetto al momento della violenza, in ragione di una piena tutela del bene giuridico della libertà sessuale sotto la lente del principio di offensività.

Sicché, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 609 octies c.p. basta la mera presenza nel luogo del reato purché, anche tale condotta meramente passiva, rafforzi a livello causale il proposito criminoso dell’autore del reato. Correttivo quest’ultimo che si pone in linea con gli immanenti principi in tema di concorso di persone, colpevolezza e legalità ex art. 110 c.p. e artt. 27 Cost.


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