Il lato oscuro della fideiussione omnibus

Il lato oscuro della fideiussione omnibus

1. La fideiussione: garanzia personale e carattere accessorio

Nell’alveo dei singoli contratti a scopo di garanzia primeggia, per utilizzo e particolarità, il contratto di fideiussione. La fideiussione è lo strumento negoziale mediante cui si costituisce a favore del creditore una garanzia di tipo personale da parte di un terzo il quale si obbliga in solido con il debitore originario ad adempiere una data prestazione. Proprio il carattere della personalità della garanzia fa sì che il terzo si obblighi a rispondere con tutti i suoi beni nei confronti del creditore sino al soddisfo delle pretese creditizie ossia sino all’ammontare massimo del credito garantito. La costituzione della garanzia può aversi tramite regolamento contrattuale, tra creditore e garante/fideiussore, o alternativamente per mezzo di un atto unilaterale recettizio mediante il quale il garante comunica al creditore di subentrare nel rapporto obbligatorio. Non poche titubanze sono sorte, nel corso degli anni, nella qualificazione della garanzia prestata; ad oggi, anche grazie all’intervento chiarificatore di numerose pronunce di legittimità che, partendo dall’assunto normativo ex art. 1936 c.c. (il fideiussore garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui), hanno confermato come la garanzia sia da ritenersi pacificamente accessoria rispetto al rapporto obbligatorio principale posto in essere dal debitore cd. principale. Ciò che potrebbe apparire di poco conto trova, invece, grande risalto nelle sorti stesse dei rapporti tra creditore, debitore e fideiussore; infatti, qualificando la garanzia prestata come accessoria rispetto l’obbligazione principale ne deriva che la prima segua necessariamente le sorti della seconda. A riprova del carattere di accessorietà gioca un ruolo chiave l’art. 1941 c.c. il quale, nello stabilire i limiti della garanzia prestata, statuisce che questa non possa eccedere “ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose”, così definendo i limiti quantitativi della garanzia rispetto l’obbligazione principale. Inoltre, l’accessorietà della fideiussione rispetto l’obbligazione principale appare di notevole interesse anche laddove, in forza della stretta connessione tra i due negozi, realizza una dipendenza della garanzia fideiussoria rispetto il rapporto obbligatorio principale facendo sì che eventuali patologie invalidanti di quest’ultimo vadano a ripercuotersi sull’accessorio; non a caso l’art. 1945 c.c. consente al fideiussore di opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettanti al debitore principale. In relazione al carattere di accessorietà appena esaminato si prospetta utile analizzare brevemente le sostanziali differenze tra fideiussione e cd. contratto autonomo di garanzia; tale ultima figura negoziale ha assunto rilievo, negli ultimi anni, nella prassi dei rapporti bancari proprio per il carattere di maggior tutela che quest’ultima fornisce in capo al creditore. Come evidenziato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con Sentenza n. 3947 del 18.02.2010, al fine di differenziare il cd. contratto autonomo di garanzia (derivante dal modello contrattuale tedesco del garantievertrag) dalla fideiussione, occorrerebbe tener riguardo alla causa del contratto. Infatti, mente nel contratto autonomo la causa coinciderebbe con lo scopo, di natura indennitario, di tenere incolume il creditore dal potenziale inadempimento da parte del debitore principale, nel contratto di fideiussione la causa coinciderebbe, invece, proprio nell’adempimento dell’obbligazione garantita, evidenziando il carattere di accessorietà e manifestandosi a scopo unicamente satisfattivo. Anche per tale motivo, l’inserimento all’interno dell’accordo fideiussorio delle “cd. clausole di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni” sarebbe da ritenersi nullo in quanto, tali clausole, risulterebbero applicabili unicamente alla tipologia del contratto autonomo di garanzia come stabilito dalla Corte di Cassazione Sez. III con la Sentenza n. 4717 del 19.02.2019 (contrariamente a quanto precedentemente statuito dalla stessa Cass. Sez III nella Sent. n. 15108/13). In ogni caso, al di là della causa del contratto, ciò che praticamente risulta utile a differenziare le due figure negoziali è meramente il carattere di accessorietà della garanzia prestata rispetto l’obbligazione garantita, carattere del tutto incompatibile con la tipologia del contrato autonomo di garanzia (cfr. Cass. n. 5598/2020, Trib. Firenze Sez. III del 12.06.2019, Cass. SS.UU. n. 3947/2010, Cass. n. 11890/2008, Cass. n. 14853/2007, Cass. n. 6757/2001, Cass. n. 3552/1998). Sul punto vedasi anche http://www.salvisjuribus.it/la-fideiussione-e-il-contratto-autonomo-di-garanzia/.

2. La fideiussione omnibus secondo il modello ABI: genesi e criticità

Nonostante la risonanza avuta in materia fideiussioria nell’ultimo ventennio, a ragione del costante ricorso a tale figura negoziale operato in ambito bancario, occorre precisare che i progetti dell’ABI tesi ad incentivare tale strumento ed uniformarlo per tutte le banche aderenti risalgono a tempi meno recenti. Già con la circolare n. 24 del 11.06.1964 l’ABI aveva redatto un modello di contratto fideiussorio identico che fosse utilizzato da tutte le associate, in violazione delle normative antitrust interne e comunitarie. In tale contesto occorre ricordare la storica vicenda cd. “caso Züchner” che condusse la Corte di Giustizia all’emissione della sentenza del 14.07.1981; ebbene, in tale contesto il giudice europeo decise nel negare, espressamente, al settore bancario una sorta di immunità in ordine alle regole dettate in materia di antitrust. Proprio tale decisione finì per fungere da apripista nelle successive vertenze in materia bancaria in ordine ai contratti fideiussori, ponendo il futuro giudicante ad operare un marcato trattamento sanzionatorio specialmente nei confronti degli accordi tra Istituti associati e ABI. Certamente più significativa ed attinente si è dimostrata la sentenza emessa dalla Corte di giustizia il 21.01.1999, “cd sentenza Bagnasco”, la quale, seppur spuria di elementi decisori specifici, ha delimitato l’immensa portata del fenomeno fideiussorio rispetto alle attività commerciali in ambito comunitario.

Nella sfera del diritto interno, significative sono state talune pronunce di legittimità ed altrettanto interessanti sono stati alcuni provvedimenti della Banca d’Italia; tra questi ultimi si ricordano:

– il provv. n. 12 del 3 dicembre 1994, con cui la Banca d’Italia, nel suo ruolo di vigilanza, riconosceva, nella struttura degli accordi fideiussori utilizzati dalle banche, l’esistenza di clausole particolarmente restrittive della concorrenza, invitando l’ABI a modificare tali clausole;

– il provv. n. 55 del 2 maggio 2005 con cui la Banca d’Italia dichiarava le clausole nn. 2 (clausola di reviviscenza), 6 (clausola di deroga “rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.”) e 8 (clausola di sopravvivenza) del modello unitario di contratto fideiussorio predisposto dall’ABI, non conformi alla normativa antitrust[1].

Con tale provvedimento la Banca d’Italia inibiva l’ABI, nonché per estensione le banche associate, ad utilizzare tali modelli di fideiussione “preconfezionati” e non negoziabili, in grado di far venir meno il carattere d’incontro di volontà dei negozianti, prefigurandosi, invece, come una scelta del tipo “take or leave” ed obbligando i clienti ad accettarle al fine della concessione del credito. Tali clausole, come detto e come espresso dalla Banca d’Italia, contengono disposizioni che, nella misura in cui vengono applicate in maniera uniforme, sono in contrasto con l’art. 2 comma 2, lettera a) della legge 287/1990. Occorre precisare che, in ambito bancario e specialmente in ordine al modello summenzionato redatto dall’ABI, particolare diffusione ha avuto il ricorso alla fideiussione cd. “omnibus”, ossia quel tipo di garanzia in grado di tutelare maggiormente proprio gli istituti di credito nel prevedere che il fideiussore, obbligandosi nei confronti di un dato creditore, si impegni a prestare una garanzia personale a carattere generale estesa ad ogni obbligazione presente o futura del debitore. Tale tipologia, infatti, si è dimostrata particolarmente insidiosa tanto da rendere necessario l’intervento della Suprema Corte la quale ha chiarito, in plurime pronunce, che il ricorso a tale strumento contrattuale, seppur legittimo, deve necessariamente applicarsi nel rispetto rigoroso dell’art. 1938 cod. civ ai sensi del quale “la fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in questo ultimo caso, dell’importo massimo garantito”.

3. Le sorti degli accordi redatti secondo il format Abi: tra nullità totale e parziale

Analizzati sin qui gli aspetti generali connessi al fenomeno fideiussorio occorre adesso soffermarsi sui profili propri della tutela riservata al fideiussore nonché sulle sorti cui è destinato il contratto redatto secondo il tanto contestato schema ABI. Prima di procedere con la disamina di tali aspetti appare di notevole importanza valutare come, nonostante i provvedimenti emessi dalla BdI (tra cui il più importante è certamente il n. 55/2005) tesi a scoraggiare la realizzazione e l’utilizzo di veri e propri format di contratti fideiussori in violazione della normativa antitrust, tale pratica ad oggi continua ad essere utilizzata dalla maggioranza delle banche dimostrando l’inefficacia dei summenzionati provvedimenti emessi proprio dall’Autorità competente. Infatti, nonostante vi siano stati, da parte dell’ABI dopo il 2005, taluni adeguamenti nella redazione di prestampati contrattuali potenzialmente nulli – cd. “modelli a monte” –, questi non sono stati sempre recepiti dalle banche associate le quali hanno continuato a proporre alla clientela, come unica alternativa, i cd. “contratti a valle” contenenti ancora clausole particolarmente gravose nonché vessatorie nei confronti del fideiussore (spesse volte su impulso della giurisprudenza di legittimità, tutelato come consumatore). Da quando il fenomeno delle fideiussioni schema ABI ha generato la necessità di una tutela giuridica per la parte contrattuale debole si sono cercate soluzioni concrete al problema; sino a pochi anni fa, l’unica forma di tutela riservata al soggetto che subiva gli effetti di una contrattazione senza margine di alternative, per effetto di un’intesa anticoncorrenziale “a monte”, risiedeva nell’azione di accertamento della nullità dell’intesa e/o del risarcimento del danno ex art. 33 L. 287/90, con conseguente invalidità del contratto stipulato “a valle” per contrarietà a norme di ordine pubblico. Proprio sul tema della nullità del contratto a valle i vari interventi della giurisprudenza di merito, postumi al 2015, hanno realizzato un vero e proprio parallelismo di soluzioni.

Secondo un primo orientamento, avallato dalla Sentenza della Cassazione n. 29810/17, sarebbero da ritenersi nulli tutti i contratti di fideiussione omnibus contenenti le clausole (nn. 2, 6 e 8) presenti nello schema ABI ed oggetto del provv. n. 55/2005 BdI.

Secondo un diverso orientamento, invece, perorato dalla Cass. SS.UU. n. 2207/2005, l’unica tutela concessa al soggetto estraneo all’intesa anticoncorrenziale risiederebbe in quella risarcitoria; sarebbe, dunque, da escludere la nullità del contratto a valle in quanto da ritenersi non giuridicamente collegato all’intesa anticoncorrenziale realizzata a monte e contraria a norme di ordine pubblico. Tale secondo orientamento, tuttavia, negli ultimi anni ha trovato poca applicazione pratica tanto nelle pronunce di merito quanto di legittimità.

Assodata, pertanto, la nullità degli accordi a valle resta da valutare quale tipo di nullità vada applicata al contratto fideiussorio, se una nullità totale e quindi in grado di coinvolgere l’intero assetto negoziale o una nullità parziale tendente ad operare solo in relazione alle clausole interessate. Quanto all’ipotesi di nullità totale questa prenderebbe le mosse dalla stretta connessione e/o derivazione del contratto a valle con gli accordi a monte, stipulati in violazione della normativa anticoncorrenziale. Ebbene, tale intrinseca dipendenza dei primi rispetto i secondi farebbe sì che le sorti dell’accordo secondario (a valle) sarebbero le medesime del principale (a monte), ciò in quanto non si potrebbe pensare di sanzionare un’intesa contraria a norme di ordine pubblico ma al contempo lasciar sopravvivere l’accordo applicativo delle statuizioni di tale intesa; secondo tale orientamento, difatti, la semplice presenza all’interno del testo contrattuale delle clausole di sopravvivenza, deroga e reviviscenza coinvolgerebbe l’intero contratto di cui andrebbe dichiarata l’invalidità, rappresentando un’ipotesi di nullità assoluta ex art. 1418 c.c., senza margine alcuno di salvezza[2]. La casistica giurisprudenziale dell’ultimo decennio ha sicuramente dimostrato, tuttavia, una propensione al principio di conservazione del contratto nell’applicare la disciplina di cui all’art. 1419 c.c. in tema di nullità parziale. Tale tipo di nullità colpirebbe soltanto le clausole interessate dal provv. n. 55 BdI; sul punto la Corte di legittimità ha recentemente affermato che “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti (Cass. SS. UU. sentenza n. 41994/2021)[3]. Tale pronuncia ha, quindi, nuovamente mutato il quadro sanzionatorio operante nei casi di fideiussione omnibus schema ABI. Proprio tale mutamento sembrerebbe giustificato tanto da esigenze proprie del diritto, ricordando ancora una volta che in ambito negoziale al principio di conservazione del contratto è riservata una particolare predilezione applicativa, quanto poi da motivi concretamente ascrivibili ad interessi di natura finanziaria strettamente derivanti dalle operazioni contrattuali in oggetto; laddove, infatti, dovesse essere dichiarata la nullità assoluti di tutti gli accordi in tal senso questo comporterebbe un forte nocumento ed un crescente depauperamento da parte degli istituti di credito i quali difficilmente potrebbero recuperare i propri crediti unicamente dal debitore principale il tutto con disastrose ripercussioni sul mercato finanziario.

In conclusione, nonostante ad oggi non predomini una soluzione unitaria al problema sin qui attenzionato, si spera in un intervento legislativo, tanto nazionale quanto comunitario, tendente ad arginare il fenomeno appena descritto anche per mezzo delle esperienze giuridiche maturate negli anni e derivanti proprio dalle diverse situazioni fattuali di volta in volta portate all’attenzione del Giudicante.

 

 

 

 

 

 


[1]  Nella specie il testo delle succitate clausole corrisponderebbe al seguente schema: Clausola n. 2, di riviviscenza “il creditore tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi per qualsiasi altro motivo”; Clausola n. 6, di deroga, “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione, verso il creditore e verso il debitore, senza che la banca sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualunque altro coobbligato garante entro i termini previsti a seconda dei casi dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”; Clausola n. 8, di sopravvivenza “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituir e le somme allo stesso erogate”.
[2] Cfr. Cass. Ordinanza n. 28910/2017, Tribunale di Salerno sentenza n. 3016 del 23.08.2018, Cass. sentenza n. 21878/2019, Cass., Sez. III, n. 4175 del 19.02.2020, CdA di Firenze del 18.07.2018, Tribunale di Belluno del 31.01.2019, Tribunale di Siena del 14.05. 2019, CdA di Bari 19.05.2020, Tribunale di Salerno del 12.10.2020;
[3] Sul punto cfr. anche Tribunale di Milano sent. n. 610 del 23.12.2020, Tribunale di Napoli sent. n. 8340 del 04.12.2020, Tribunale di Lanciano sent. n. 168 del 07.07.2020, Tribunale di Milano sent. n. 2949 del 25.05.2020, Tribunale di Milano sent. n. 2637 del 28.04.2020, Tribunale di Ancona sent n. 1914 del 12.11.2019, Tribunale di Padova del 29.01.2019, Tribunale di Ancona sent. n. 1993 del 17.12.2018, Tribunale di Rovigo Ord. 09.09.2018;

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Dott. Carmine Antonio Ambrosio

Il Dott. Carmine Antonio Ambrosio ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense nel 2021 dopo aver svolto con successo il periodo di pratica obbligatoria ed aver partecipato attivamente alla Scuola forense del Molise ottenendone il riconoscimento. Ha svolto i propri studi presso l'Università degli Studi del Molise presso cui si è laureato in Giurisprudenza, laurea magistrale a ciclo unico, nel 2019 discutendo una tesi in diritto privato dal titolo "I patti di famiglia" sotto la guida del Prof. Antonio Palmieri. Dall'anno 2020 collabora con le cattedre di diritto civile e diritto privato presso l'Università degli Studi del Molise. Attualmente lavora presso lo Studio Legale Avv. Costantino D'Angelo & Associati, occupandosi del contenzioso civile. Dall'anno 2020 è iscritto presso gli elenchi ministeriali come Mediatore delle controversie civili e commerciali a seguito del superamento del relativo esame; Sempre nell'anno 2020 ha seguito un corso di Alta formazione per Giudice arbitro civile ADR. Contatti: carmine.ambrosio@hotmail.it.

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