Il minore va collocato presso la madre se il padre aspetta un altro figlio

Il minore va collocato presso la madre se il padre aspetta un altro figlio

Cass. Civ., sez. VI, 23 settembre 2015, n. 18817

a cura di Claudia Tufano

Nel caso di affidamento condiviso, l’attesa di un altro figlio da parte del padre con una nuova compagna, legittima il cambiamento del provvedimento con cui il Tribunale aveva collocato il figlio minore presso la residenza del padre.

Il fatto

La Corte di Appello di Bologna aveva accolto il ricorso presentato dalla ricorrente, con il quale quest’ultima chiedeva il rovesciamento del provvedimento con cui il Tribunale per i minorenni aveva collocato, in un regime di affidamento condiviso, il figlio minore presso la residenza del padre del bambino, richiesta giustificata dal fatto che l’ex compagno era in attesa di un nuovo figlio da un’altra donna. La Corte d’Appello aveva parzialmente accolto il ricorso presentato dall’appellante, ritenendo, configurabile l’ipotesi dell’affidamento condiviso non ravvisandosi nelle condotte di entrambi i genitori un grave ed attuale pregiudizio tale da pregiudicare l’interesse del minore ma, aveva al tempo stesso rilevato un mutamento nell’ambito del nucleo familiare del padre, rappresentato dall’attesa di un nuovo figlio concepito dalla relazione intrapresa con una nuova convivente. Tale situazione aveva indotto la Corte a ritenere che, in un momento delicato ed importante per il figlio minore, quale l’avvio alla scolarizzazione, appariva opportuno modificare la residenza del bambino presso il nucleo familiare della madre, composto da un figlio maggiorenne avuto da un precedente matrimonio, perché in tale luogo il minore rappresentava l’unico centro di attenzione, laddove le attenzioni del padre, invece, sarebbero state rivolte prevalentemente al nascituro. Contro il decreto della Corte d’Appello proponeva ricorso per cassazione il soccombente.

La decisione

Con il primo motivo di doglianza, il ricorrente lamentava l’errata ed incongrua nozione di interesse del minore, offerta dai giudici di secondo grado. Secondo il ricorrente, i giudici avevano ritenuto la futura nascita del nuovo figlio motivo decisivo per un cambio di attenzioni da parte del padre non più concentrato prevalentemente alla vita del figlio minore, secondo un ragionamento astratto ed ipotetico, senza, peraltro, considerare i vantaggi che allo stesso sarebbero potuti derivare crescendo con fratelli e sorelle coetanei. La Suprema Corte rigettava tale motivo di ricorso. I giudici chiarivano, infatti, che l’individuazione del genitore collocatario deve aver luogo sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dello stesso di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dal fallimento dell’unione, giudizio da formularsi con riferimento ad elementi concreti, soprattutto con riguardo alla rispettiva capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché alla personalità del genitore, alle sue consuetudini di vita ed anche all’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore. E’ proprio tale giudizio di adeguatezza a permettere una comparazione tra i due nuclei familiari, e sulla base di questa propendere per quello della madre, trasferitasi in altra città, perché luogo più idoneo a garantire una corretta crescita del bambino, in un momento particolarmente delicato per lo stesso, quale era quello dell’avvio alla scolarizzazione.

L’avvenuto trasferimento della residenza da parte della ex compagna, con il conseguente allontanamento da parte del figlio minore dalla residenza del nucleo familiare presso cui era abituato a vivere, costituiva altro motivo per cui, secondo il ricorrente, appariva inadeguata la scelta dei giudici della Corte d’Appello. Questi ultimi avevano limitato a quattro giorni al mese la frequentazione tra il padre non collocatario ed il figlio minore, riducendo, secondo il ricorrente, il rapporto genitoriale ad una relazione frammentaria ed instabile, violando altresì il principio, ribadito sia dalla CEDU che dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui «la determinazione dei tempi di frequentazione deve avvenire in misura almeno tendenzialmente paritetica rispetto a quelli di permanenza presso il genitore collocatario, o comunque tale da garantire una congrua assiduità», criterio che non può essere derogato dal diverso luogo di residenza dei genitori ma tutt’al più, per questo motivo, dovrebbe essere rafforzato.

Tuttavia, la Corte di Cassazione non accoglieva neppure tale doglianza. Gli ermellini ritenevano, infatti, che proprio tale distanza giustificava l’esigenza che il figlio minore potesse permanere presso la residenza del padre per un numero limitato di giorni al mese, perché un aumento dei giorni sarebbe stato incompatibile con l’instaurazione di regolari abitudini di vita e con lo svolgimento delle attività scolastiche e ricreative da parte del bambino. La presenza comune di entrambi genitori alla vita e crescita del figlio si esprime in termini qualitativi e non quantitativi e si estrinseca non solo nel mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore ma anche nella ricerca, come impone l’art. 8 CEDU, delle modalità più idonee ad assicurare un sereno ed equilibrato svolgimento dell’esistenza del minore.


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Claudia Tufano

Nata a Napoli nel 1987, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel luglio 2012, presso l'Università degli studi Federico II di Napoli, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Commento alla sent. TAR Umbria n. 23/2010. L'abusivismo edilizio", relatore Prof. Lorenzo Liguori. Da novembre 2012 a maggio 2014 inizia il tirocinio forense presso uno studio legale, occupandosi prevalentemente di contenzioso amministrativo e civile. Nel luglio 2014 consegue il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali. Nel gennaio 2016 è abilitata all'esercizio della professione forense.

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