Il mobbing immobiliare: Cassazione civile, sez. III, 28.02.2017, n. 5044

Il mobbing immobiliare: Cassazione civile, sez. III, 28.02.2017, n. 5044

Con la recentissima pronuncia[1] in commento la Suprema Corte di Cassazione ha aperto la strada alla risarcibilità del danno derivante da c.d. mobbing immobiliare.

La questione affrontata dalla III sezione della Corte di Cassazione prende le mosse dall’opposizione tardiva proposta da un conduttore avverso l’ordinanza di convalida di licenza per finita locazione emessa nei suoi confronti, con cui quest’ultimo chiedeva altresì il risarcimento del danno da c.d. mobbing immobiliare.

In particolare, deduceva l’opponente che, a causa delle condotte illecite e moleste poste in essere dalla locatrice nel corso degli anni finalizzate a “cacciarlo” dall’immobile locatogli, aveva subito un greve stress ed aveva vissuto costantemente “sotto perenne minaccia di sfratto per motivi ignoti”.  Da qui, la richiesta di ristoro dei danni patiti ingiustamente che, però, nei primi due gradi di giudizio veniva rigettata.

Segnatamente, la Corte di Appello in ordine alla pretesa risarcitoria chiariva: “parimenti inammissibile è anche la domanda risarcitoria motivata dal c.d. mobbing immobiliare e cioè dalle iniziative giudiziarie intraprese in suo danno dall’Enasarco, nel corso del tempo, per ottenere il rilascio dell’immobile locatogli, la cui responsabilità, eventualmente, avrebbe dovuto essere fatta valere, di volta in volta, in relazione ai singoli procedimenti, che si assumono temerariamente intrapresi, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.”.

Dunque, per il giudice del gravame, il conduttore avrebbe dovuto, anziché domandare il risarcimento del danno da c.d. mobbing immobiliare, così come ha effettivamente fatto, richiedere il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 C.P.C.[2] in ogni singolo procedimento intrapreso dalla locatrice a causa dell’infondatezza e temerarietà della lite.

Ciò posto, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha ritenuto la decisione della Corte di Appello assolutamente manchevole di motivazione, essendosi essa semplicemente limitata a sostenere che il conduttore avrebbe dovuto richiedere il risarcimento dei danni ex art. 96 C.P.C. senza tenere in debita considerazione la natura del mobbing quale fenomeno sociale consistente in un insieme di condotte, lecite o illecite, premeditate che si ripetono in maniera reiterata e sistematica nel tempo allo scopo precipuo di danneggiare e vessare il molestato.

In effetti, la pretesa risarcitoria da c.d. mobbing immobiliare nasce non già dall’avvio del singolo procedimento giudiziario infondato e temerario incardinato dal locatore per allontanare il conduttore dall’immobile locatogli, così come lasciato intendere dalla Corte di Appello nell’impugnata sentenza, ma dalla totalità delle condotte poste in essere dal locatore, considerate nella loro unitarietà e concatenazione e dirette a realizzare un unico fine ovvero costringere il conduttore a rilasciare l’immobile.

Alla luce delle considerazioni su esposte, la Suprema Corte di Cassazione ha cassato con rinvio alla Corte di Appello la sentenza sul punto e ha enunciato il seguente principio di diritto: “il mobbing immobiliare consiste nelle pressioni, anche illegali, dei proprietari per cacciare gli inquilini allo scopo di sfruttare meglio l’immobile. Sicché ove il proprietario abbia intrapreso una serie di azioni giudiziarie nei confronti del conduttore, tutte infondate e temerarie, ci si trova in una ipotesi di protratta condotta illecita, non ravvisabile tuttavia nell’avvio del singolo procedimento. Ne consegue l’impossibilità di reintegrazione della sfera giuridica lesa in ogni singolo procedimento mediante l’azione accessoria ex art. 96 C.P.C.”.

Concludendo, a parere di chi scrive, stante la natura e l’essenza del fenomeno del mobbing qui considerato, consistente per l’appunto in un insieme di condotte, lecite o illecite, poste in essere in maniera continua ed insistente da un soggetto al solo scopo di danneggiarne un altro, per configurarsi l’illecito del mobbing immobiliare, da cui scaturirebbe il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., non è necessario che le condotte poste in essere dal locatore sfocino in azioni giudiziarie posto che il fine precipuo del mobbing (vessazione preordinata, protratta nel tempo e finalizzata) potrebbe essere raggiunto anche per altre vie.


[1] Cfr. Cassazione Civile, sez. III, 28.02.2017, n. 5044.

[2] Cfr. Cassazione Civile, sez. III, 29.09.2016, n. 19285 secondo cui “la responsabilità processuale aggravata si sostanzia in una forma di danno punitivo teso a scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie. Il presupposto per l’applicabilità della norma è la presenza, in capo al destinatario della condanna, della mala fede o della colpa grave previsti per la lite temeraria di cui al comma 1 dell’art. 96 C.P.C.


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