Il negazionismo: un problema sociale dai risvolti penali

Il negazionismo: un problema sociale dai risvolti penali

Il negazionismo ha origini antiche e ragioni non così complesse come si crede.

Viviamo in un’epoca in cui sembra che il biasimo, la critica negativa, la tediosa superbia, elevasse ad uno status di superiorità intellettuale e misurasse il valore di un uomo. Più scovi le ombre dietro le evidenze, spesso scientifiche, più sei furbo.

Quando la verità poi sembra andare in unica direzione, c’è sempre una minoranza che cercherà le prove per cambiare il senso delle cose e riscrivere la storia, anche forse per scrollarsi di dosso le responsabilità.

Il negazionismo è un termine che suole indicare un atteggiamento storico-politico che, ai fini ideologico-politici, nega fatti storici accertati.

Generalmente i negazionisti sono gruppi di persone inesperte che si impegnano ad analizzare in modo critico la realtà, negandola, senza però avere a riprova delle proprie affermazioni alcuna evidenza scientifica, che aiuterebbe d’altronde il compito stesso della scienza, che chiede di essere confutata per essere ancor più confermata.

Questo meccanismo si è attivato anche nell’interpretazione di un fatto epocale come quello che stiamo vivendo: la pandemia causata dal Covid-19.

Il negazionismo incontra populismo e malcontento generale e trova ampio spazio per agire indisturbato, anzi spesso fiancheggiato da forze politiche che vedono nel fenomeno un’opportunità.

“La mascherina è un bavaglio”, è “pericolosa” perché costringe a respirare la propria anidride carbonica e fa diminuire l’ossigeno nel sangue, abbassa il PH del sangue e causa il cancro, raccoglie i batteri nell’area naso-bocca esponendo l’individuo alla possibilità di contrarre infezioni forse ancor più pericolose del virus stesso.

La deriva che ha preso il fenomeno, divenuto presto “virale”, ha condotto alla ormai nota “dittatura sanitaria”, giustificata dagli errori commessi e informazioni nascoste.

I negazionisti sono convinti che screditando anche uno solo degli elementi tipici della pandemia, la ricostruzione perde credibilità.

In tal senso è possibile ritenere i promotori del movimento e gli organizzatori delle manifestazioni negazioniste, passibili di accuse di rilevanza penale, soprattutto per il reato di istigazione a delinquere del delitto di pandemia colposa o dolosa.

Allora quali potrebbero essere i risvolti penali del negazionismo?

Istigazione a delinquere

L’art. 414 c.p., rubricato proprio “istigazione a delinquere”, stabilisce che: “Chiunque istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione: 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; 2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni. Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.  Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici e telematici. Fuori dei casi di cui all’art. 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.

La norma tutela l’ordine pubblico, inteso regolare andamento della vita sociale, in particolare punendo quelle condotte che, anche se non determinano la commissione di un reato specifico, provocano nella collettività un allarme sociale ingiustificato.

Tale disposizione è una deroga chiara a quanto sancito dall’art. 115 c.p., secondo il quale non è possibile punire l’istigazione se ad essa non segue la commissione di un reato.

Il discrimen però è la pubblicità dell’istigazione, poiché viene diminuita nell’opinione pubblica la fiducia nella sicurezza sociale. Per istigazione si intende la determinazione o il rafforzamento in altri individui di un proposito criminoso, o, allo stesso modo, il far insorgere un proposito dapprima inesistente o rafforzare un proposito già presente.

Il reato, poi, può essere sia commissivo che omissivo, se si tiene una condotta silenziosa in violazione degli obblighi di garanzia, e l’istigazione può avvenire anche mediante la commissione di altro reato, a fini dimostrativi, come infatti avviene nelle manifestazioni organizzate dai promotori del negazionismo.

È necessario che istigazione e fatto siano contestuali, altrimenti non sussisterebbe il presupposto dell’idoneità dell’azione.

La giurisprudenza maggioritaria qualifica il delitto come reato di pericolo concreto, in cui è necessario accertare l’idoneità concreta della condotta, in relazione al suo contenuto, ai destinatari e alle circostanze di fatto, a provocare i delitti.

Al contrario, non è necessario che l’istigazione sia indirizzata alla commissione di un reato preciso perché è sufficiente che si determinino i suoi elementi di fatto. Per questo motivo non rileva l’intervento di una causa di estinzione del reato, la carenza di una condizione di punibilità o che la persona istigata sia imputabile o meno.

È richiesto il dolo generico, è cioè sufficiente la volontà di istigare alla commissione di reati e la consapevolezza di farlo pubblicamente.

Se con più fatti si istiga la commissione di più reati, si configura un concorso materiale di reati, che possono anche essere uniti dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.).

È necessario dare rilievo al fatto che l’istigatore, qualora venga realizzato il fatto istigato, risponderà in concorso anche di questo se emerge che abbia apportato un contributo materiale o morale causalmente legato.

È chiaro dunque che non emerge alcun ostacolo alla configurabilità di entrambi i reati.

Il terzo comma dell’articolo 414 c.p., punisce l’apologia dei delitti, figura autonoma rispetto all’istigazione.

L’apologia si concreta in una particolare forma di manifestazione del pensiero che, se diretta a far commettere delitti, rappresenta un modo di istigazione indiretta.

L’apologia, a differenza di quanto detto a proposito dell’istigazione, non è diretta alla persona, ma la spinta motivazionale deriva dall’approvazione, glorificazione, esaltazione delle attività contrarie alle norme penali, idonea e sufficiente a turbare l’ordine pubblico; turbamento che necessita di essere provato.

Parte della dottrina ha qualificato l’elemento soggettivo come “dolo istigatorio”, una particolare forma di dolo specifico, costituito dalla rappresentazione del delitto istigato quale modello da seguire.

Tra le decisioni della Suprema Corte sul punto, giova ricordare quella del 2018 secondo la quale “La condotta di chi esalta un fatto di reato al fine di spronare altri all’imitazione integra il delitto di istigazione a delinquere quando, per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, sia effettivamente idonea a determinare il rischio concreto della commissione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato[…]”.

Già precedentemente la Corte aveva rilevato che “L’esaltazione di un fatto di reato, finalizzata a spronare altri all’imitazione integra il delitto di istigazione a delinquere quando, per le sue modalità, sia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti, il cui accertamento, riservato al giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato”, come infatti potrebbe verificarsi nel caso dei negazionisti, possono quindi ritenersi sussistenti i presupposti per la configurazione del delitto di istigazione a delinquere nel caso in esame per le ragioni indicate, ma possono ipotizzarsi ulteriori fattispecie di rilievo penale.

Epidemia dolosa o colposa

Per ricostruire la causalità nelle fattispecie criminose ex artt. 438 e 452 c.p. in presenza della diffusione del virus Covid-19, è opportuno riferirsi alla scienza medico-epidemiologica.

Per questo motivo si ritiene che il comportamento dei promotori, degli organizzatori e dei partecipanti alle manifestazioni svoltesi in spregio al rispetto delle norme sul distanziamento e senza l’uso della mascherina da parte dei manifestanti, possa integrare il reato di epidemia dolosa o colposa.

Gli agenti risponderanno a titolo di dolo del delitto di cui all’art. 438 c.p. se, a seguito della diffusione, cagionino un’epidemia, circostanza, però, molto difficile da provare considerando la vasta estensione della rete dei contatti.

Nel caso di tali manifestazioni, i promotori e i manifestanti possono rispondere del reato anche a titolo di dolo eventuale, perché consapevoli che, mediante la loro dissoluta condotta, possono cagionare un’epidemia mediante la diffusione dei germi e ne accettano il rischio.

È ammissibile il tentativo, configurabile se l’evento non si verifica dopo la diffusione dei germi.

L’ evento “morte di più persone” di cui al capoverso dell’art. 438 c.p., è un’ipotesi che, sebbene non improbabile, difficile da provare a causa della difficile ricostruzione dei fattori causali che legano i decessi e lo specifico focolaio esploso durante la manifestazione. Qualora si riuscisse a provare i promotori e i manifestanti sarebbero chiamati a rispondere anche con la pena dell’ergastolo.

Emerge senza dubbio che il profilo più problematico è quello che riguarda la prova del nesso eziologico tra la condotta di diffusione e l’evento epidemia. Troppe variabili incerte.

E’ più probabile, quindi, che possano verificarsi fatti riconducibili al reato di epidemia colposa.

Le condotte oggetto d’esame infatti violano i doveri di diligenza, prudenza e perizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, imposti proprio al fine di evitare il verificarsi dell’epidemia. Anche in questo caso è necessario ricostruire il percorso causale.

In ogni caso, anche se la diffusione di germi patogeni a seguito di una condotta, commissiva od omissiva, di natura colposa, come nel caso delle manifestazioni negazioniste, non dovesse essere direttamente causa di un episodio epidemico, non può considerarsi penalmente irrilevante.

La ratio delle norme poste in materia è proprio la tutela dell’incolumità pubblica, nonché la salute e la vita dei singoli.

Quindi i c.d. negazionisti che, violando le disposizioni di legge, gli ordini dell’autorità, le linee guida del settore sanitario o regole cautelari, provocano il contagio di una o più persone, senza causare un focolaio epidemico in senso scientifico, possono rispondere del delitto di lesioni colpose ex art. 590 c.p..

La lesione personale sarebbe infatti l’infezione, dalla quale deriva inevitabilmente una malattia nel corpo, con un decorso più o meno grave, che può portare anche alla morte. Il decesso è, infatti, un evento prevedibile dai manifestanti, sulla base norme igienico-sanitarie ormai note. Ciò comporta che i responsabili, anche in questo caso, possono essere chiamati a rispondere di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p..

È innegabile il grande impegno della stragrande maggioranza dei cittadini nel rispettare le norme e le restrizioni, il quale ha permesso al nostro Paese di trovarsi in una situazione più favorevole rispetto ai Paesi vicini come, ad esempio, Francia e Spagna, nonostante il contagio in questi giorni sta avendo un nuovo impulso.

In una situazione come questa fare propaganda negazionista è assolutamente inaccettabile, incomprensibile, deprecabile e non ha alcuna giustificazione.

Non si tratta di difendere e garantire le libertà dei cittadini, di circolazione, di espressione, ma di un premeditato tentativo di mettere in discussione le misure preventive e le raccomandazioni e ostacolare così il lavoro attento e preciso mediante il quale il mondo scientifico e le istituzioni cercano di proteggere la salute pubblica ed impedire le situazioni che metterebbero in ginocchio il Paese in via definitiva.

Considerare i provvedimenti del governo e del mondo scientifico una limitazione alla libertà personale e ai diritti inalienabili degli individui, a prescindere dalla responsabilità penale che comunque sussiste in alcuni comportamenti estremi, è da irresponsabili che non avendo una visione collettiva della realtà sociale, intesa come comunità, non hanno a cuore la tutela della salute pubblica sancita proprio dall’art. 32 della Costituzione come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.

Con le motivazioni illustrate emerge purtroppo che resta difficile la concreta imputazione ex. art. 452 c.p., da un punto di vista probatorio soprattutto, ma è auspicabile l’introduzione di un reato ad hoc da applicarsi alle condotte incaute dei negazionisti, che sia di mera condotta o pericolo, volto alla tutela della salute pubblica, la quale non può essere in alcun modo inficiata da parte di chi non ha messo a fuoco le regole di base del vivere civile.


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Felicita La Peccerella

Dott.ssa in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a ciclo unico presso l'Università di Roma "La Sapienza") Formazione specialistica approfondita attraverso un corso intensivo di preparazione alla magistratura (Scuola Greco-Pittella, Roma) Praticante Avvocato presso il Foro di Benevento Esperta in Psicologia Giuridica in ambito civile e penale (adulti e minori) in seguito ad un Master Universitario di II livello (Istituto Skinner- Università Europea di Roma) Socia dell'associazione CAMMINO (Camera Nazionale Avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni) Copywriter

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