Il potere di ordinanza del Sindaco. Natura, funzioni e profili giurisdizionali

Il potere di ordinanza del Sindaco. Natura, funzioni e profili giurisdizionali

Il tema delle ordinanze di competenza dei Sindaci rappresenta un argomento di indubbio interesse, oggetto di numerosi dibattiti sia dottrinali che giurisprudenziali.

Le problematiche sottese al tema delle ordinanze sindacali sono, infatti, molteplici e di notevole rilevanza sia sul piano teorico che pratico.

Come è noto, l’ordinamento degli enti locali trova una disciplina unitaria – a livello di legislazione ordinaria statale – nel d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Tale testo normativo contiene la disciplina delle ordinanze sindacali promiscuamente negli artt. 50 e 54, il primo intitolato “Competenze dei Sindaci e dei Presidenti delle Province”, il secondo “Attribuzioni del Sindaco nelle funzioni di competenza statale”.

Diverse leggi settoriali (alcune delle quali risalenti, come il testo unico delle leggi sanitarie di cui al R.d. 27 luglio 1934, n. 1265), prevedono, poi, varie fattispecie in cui si radica il potere di ordinanza (dei Sindaci e, talvolta, di figure dirigenziali) in relazione a oggetti ben determinati e a specifiche esigenze (es. impedire epidemie o diffusione di malattie, preservare la salubrità ambientale ecc.).

In generale, va detto che le ordinanze, nella loro accezione più lata, si classificano nella categoria degli “ordini”, ossia di quegli atti con cui la pubblica amministrazione – sulla base di una potestà di supremazia – fa sorgere, a carico di un soggetto, un dovere di condotta positivo (comando) o negativo (divieto) la cui inosservanza espone l’obbligato ad una sanzione.

Gli atti contingibili e urgenti segnano una deroga ai principi di tipicità e nominatività e si connotano per un’atipicità contenutistica, peraltro necessaria per assicurare quella elasticità di manovra che si vuole riconoscere all’amministrazione perché la stessa possa adeguatamente fronteggiare situazioni eccezionali (non predeterminabili in via normativa). Al verificarsi di esse, spetta all’amministrazione, quindi, definire le misure adeguate a fronteggiarle, dando così corpo al provvedimento da adottare. La mancanza di prefigurazione del contenuto è giustificata (rectius: imposta) proprio dalla finalità tipica del potere speciale di ordinanza che è quella di consentire alla pubblica amministrazione di fare fronte rapidamente ad evenienze per le quali non è possibile dettare preventivamente una normazione apposita.

Per questi motivi, le norme generali attributive della facoltà di adottare provvedimenti contingibili e urgenti sono accompagnate da limitazioni che attengono o alla materia o alla finalità (non però al contenuto dispositivo). Infatti, esse si limitano a determinare i presupposti e il fine ma non precisano che cosa la pubblica amministrazione può disporre; all’opposto, autorizzano i soggetti investiti dei poteri di ordinanza a compiere, eseguire, far eseguire, ordinare, vietare tutto quello che contingentemente appare necessario ed indispensabile per il raggiungimento dell’obiettivo fissato.

La disposizione chiave di quest’ultimo tipo di ordinanze, nell’ordinamento comunale, è rappresentata dall’art. 54, comma 4 ([1]), del citato d.lgs. n. 267/2000 ([2]).

Tuttavia in quest’ultimo testo normativo sono contemplati altri casi in cui possono essere adottate ordinanze contingibili e urgenti da parte dei Sindaci.

L’art. 50, comma 5, primo periodo, dello stesso decreto legislativo, infatti, radica una competenza sindacale specifica “in particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”. In evenienze del genere possono essere adottate ordinanze contingibili e urgenti dal Sindaco che agisce, diversamente da quanto previsto dall’art. 54, comma 4, “quale rappresentante della comunità locale”.

Il comma 6 del citato art. 54 prevede una fattispecie del tutto peculiare di ordinanze sindacali che si discosta dai caratteri generali propri di queste ultime, essendo le stesse definite nei presupposti e nell’oggetto, con limitazioni anche in riferimento al contenuto dispositivo. La norma recita: “in casi di emergenza connessi con il traffico o con l’inquinamento atmosferico o acustico ovvero quando, a causa di circostanze straordinarie, si verifichino particolari necessità dell’utenza o per motivi di sicurezza urbana, il Sindaco può modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d’intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 4”.

Nel campo di applicazione dell’art. 54, comma 4, T.U.E.L, vengono in rilievo, quindi, provvedimenti chiamati ad operare in situazioni eccezionali ed imprevedibili che richiedono atti indifferibili da parte delle autorità amministrative per far cessare o ridurre gli inconvenienti già verificatisi o che possono ancora accadere. I provvedimenti in esame, dunque, devono rappresentare la extrema ratio ovvero devono essere adottati nei casi in cui non sia assolutamente possibile attivare gli ordinari rimedi predisposti dall’ordinamento ([3]).

Tanto premesso, deve ora farsi cenno all’importantissimo intervento della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza 7 aprile 2011, n. 115, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 54, comma 4, T.U.E.L., nella parte in cui comprende la congiunzione “anche” prima delle parole “contingibili ed urgenti”.

La Corte, in particolare, ha esaminato i profili censurati legati all’ampiezza della discrezionalità nell’esercizio del potere di ordinanza, soffermandosi su quelli attinenti alla violazione degli articoli 23, 97 e 3 Cost. e ritenendo assorbiti gli altri. La Consulta ha ritenuto la norma censurata innanzitutto “lesiva della riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge”.

Sull’estensione di tale principio – in relazione al caso specifico – la Corte ha voluto richiamare quanto già precisato in più occasioni, cioè l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale posto a base dello Stato di diritto. Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa.

In relazione poi all’art. 23 Cost. la Corte ha sostenuto che la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci (in qualità di ufficiali del Governo) non limitato ai casi contingibili e urgenti – pur non attribuendo agli stessi il potere di derogare, in via ordinaria e temporalmente non definita, a norme primarie e secondarie vigenti – viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati.

La Corte ha ritenuto la norma illegittima anche in relazione all’art. 97, comma primo, della Costituzione, il quale “… istituisce anch’esso una riserva di legge relativa, allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto in via generale è previsto dalla legge. Tale limite è posto a garanzia dei cittadini, che trovano protezione, rispetto a possibili discriminazioni, nel parametro legislativo, la cui osservanza deve essere concretamente verificabile in sede di controllo giurisdizionale. La stessa norma di legge che adempie alla riserva può essere a sua volta assoggettata – a garanzia del principio di eguaglianza, che si riflette nell’imparzialità della pubblica amministrazione – a scrutinio di legittimità costituzionale. La linea di continuità fin qui descritta è interrotta nel caso oggetto del presente giudizio, poiché l’imparzialità dell’amministrazione non è garantita ab initio da una legge posta a fondamento, formale e contenutistico, del potere sindacale di ordinanza. L’assenza di limiti, che non siano genericamente finalistici, non consente pertanto che l’imparzialità dell’agire amministrativo trovi, in via generale e preventiva, fondamento effettivo, ancorché non dettagliato, nella legge”.

Tanto premesso circa la natura, la funzione e l’evoluzione del potere di ordinanza, può a tal punto passarsi alla disamina di alcuni profili giurisdizionali.

La problematica principale sottesa a numerosi ricorsi aventi ad oggetto le ordinanze sindacali riguarda la differente tipologia di ordinanze, quelle emesse dal Sindaco in qualità di Ufficiale di Governo e quelle emesse dal Sindaco in qualità di capo dell’Amministrazione Comunale.

Come più volte chiarito dalla giurisprudenza del Supremo Consesso di giustizia amministrativa, un provvedimento contingibile e urgente adottato dal Sindaco quale ufficiale di Governo – sebbene soggetta a regole diverse da quelle ordinariamente applicabili agli atti del Sindaco come capo dell’amministrazione comunale – è pur sempre un atto redatto e deciso dagli uffici comunali.

In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che “non può essere condivisa l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione passiva del Comune rispetto all’impugnazione di ordinanze contingibili e urgenti, adottate dal sindaco quale ufficiale di governo (secondo l’appellante , legittimato passivo sarebbe il Ministero dell’interno), tenuto conto che, pur agendo il sindaco in veste di organo dello Stato (ufficiale del governo) e quindi di organo a servizio di più enti, egli opera nel quadro del complesso organizzatorio comunale quale elemento di tale complesso con la conseguente responsabilità del comune, e non dello Stato, degli atti posti in essere dal sindaco nella suddetta qualità” ([4]) ([5]).

Al riguardo, quindi, la giurisprudenza ([6]) è decisamente orientata nel senso di ricondurre natura e attività del Sindaco-Ufficiale di Governo nell’orbita istituzionale del Comune, con tutte le necessarie conseguenze in campo processuale, tra cui, nel caso di specie, la legittimazione passiva del Comune anziché del Ministero dell’Interno in relazione all’impugnazione di un’ordinanza sindacale contingibile ed urgente emessa dal Sindaco quale Ufficiale di governo. Secondo tale giurisprudenza, infatti, “(…) nel caso del Sindaco che agisce, nell’adempimento di alcune sue funzioni, quale Ufficiale del Governo (…) si ha soltanto un fenomeno di imputazione giuridica, per taluni o per tutti gli effetti, dell’atto dell’organo del Comune all’Ente-Stato. Ma non per questo il Sindaco diviene parte di una “amministrazione dello Stato” giacchè, anche quando svolge tali funzioni, il Sindaco rimane incardinato nel complesso organizzativo dell’Ente locale senza che il suo status rimanga modificato (…) l’atto emanato dal Sindaco quale Ufficiale di Governo è pur sempre un atto istruito, redatto e deciso dagli uffici dell’amministrazione comunale”.

In definitiva, per le controversie che involgano l’esercizio (ovvero l’omesso esercizio) del potere di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, che il Sindaco emette in qualità di Ufficiale di Governo, la legittimazione a resistere nel relativo giudizio spetta non allo Stato, ma all’amministrazione comunale. Se, dunque, l’atto sindacale (ovvero, più in generale, l’esercizio del relativo potere d’ordinanza extra ordinem) “è istruito, redatto ed emesso dagli uffici dell’amministrazione comunale”, l’amministrazione statale dev’essere ritenuta estranea alla vertenza, per come ripetutamente sostenuto dalla costante giurisprudenza anche della Suprema Corte ([7]). Si realizza, dunque, una mera vicenda di imputazione giuridica in capo allo Stato dell’attività posta in essere dal Sindaco nella qualità di Ufficiale di Governo, che rimane pur sempre incardinato nel complesso organizzatorio dell’ente locale senza che il suo status venga minimamente modificato. Del resto, sotto un profilo strettamente organizzativo, lo Stato si giova dell’apparato organizzatorio comunale allorché il Sindaco operi in qualità di ufficiale di governo (si pensi agli uffici comunali che coadiuvano il Sindaco in tale attività). Proprio in ragione del fatto che, pur quando agisce in veste di organo dello Stato, il Sindaco opera nel quadro del complesso organizzatorio comunale e in quanto elemento di tale complesso, è da escludersi che possa farsi risalire allo Stato, anziché al Comune, la responsabilità civile per gli atti posti in essere dal Sindaco nella veste di Ufficiale di Governo.


([1]) “il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato, provvedimenti contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono tempestivamente comunicati al Prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
([2]) Novellato dall’art. 6, d. l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla l. .25 luglio 2008, n. 125 e dall’intervento “correttivo” della Corte costituzionale impresso con sent. 7 aprile 2011, n. 115.
([3])  Cfr Cons. St., sez. V, 30 marzo 1993, n. 443, T.A.R. Piemonte, sez. II, 13 febbraio 1995, n. 97; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 15 gennaio 1998, n. 12; Cons. St., sez. IV, 24 marzo 2006, n. 1537; T.A.R. Marche, sez. I, 4 febbraio 2003, n. 26; Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 3 maggio 2006, n. 3905; Cons. St., sez. V, 4 febbraio 1998, n. 125; Cons. St., sez. V, 16 febbraio 2010, n. 868; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 10 dicembre 2012, n. 2266, tutte in www.giustizia-amministrativa.it
([4]) Cons. St., sez. V, 31 maggio 2010, n. 3424, in www.giustizia-amministrativa.it
([5]) Ne consegue che, nel caso di impugnativa di un’ordinanza contingibile ed urgente emessa dal Sindaco quale ufficiale di Governo, la notificazione del ricorso dev’essere effettuata al Sindaco presso la sede del Comune, anziché presso l’Avvocatura dello Stato, poiché nemmeno l’esercizio da parte del Sindaco, organo di vertice di un Ente locale territoriale, di funzioni di Ufficiale di governo è sufficiente perché risultino applicabili le norme di cui al R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611 (sulla rappresentanza in giudizio dello Stato) e successive modificazioni, che attribuiscono all’Avvocatura dello Stato (ai sensi dell’art. 11, citato R.D., anche domiciliataria ex lege) la rappresentanza in giudizio delle amministrazioni statali e di quelle ulteriori specificamente indicate da disposizioni di legge.
([6]) Cons. St., sez. VI, 27 ottobre 1986, n. 568, alla quale si richiama la più recente giurisprudenza amministrativa; in tal senso, si vedano, ancora: T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 5 dicembre 2007, n. 12584; Cons. St., sez. V, 13 agosto 2007, n. 4448; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 30 maggio 2007, n. 570; in precedenza, T.A.R. Veneto, sez. III, 10 settembre 2004, n. 3256; Cons. St., sez. VI, 12 novembre 2003, n. 7266; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 30 maggio 2000, n. 1717; Trib. Sup. acque pubbl., 19 maggio 2000, n. 56; T.A.R. Lombardia, Brescia, 21 febbraio 2000, n. 134; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 7 giugno 1999, n. 364; T.A.R. Campania, Napoli, 24 gennaio 1997, n. 85; T.A.R. Lombardia, Milano, 21 maggio 1996, n. 632; Cons. St., sez. IV, 10 aprile 1995, n. 221; T.A.R. Campania, Salerno, 17 febbraio 1995, n. 143; Cons. St., sez. IV, 28 marzo 1994, n. 291; T.A.R. Campania, Salerno, 29 dicembre 1989, n. 411; T.A.R. Liguria, 12 luglio 1988, n. 463; Cass. 5 agosto 1982, n. 9268; Cons. St., sez. IV, 7 febbraio 1978, n. 72; Cons. St., sez. V, 19 giugno 1973, n. 576, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
([7]) Ex pluribus, Cass. civ., sez. un., 10 marzo 1992, n. 2857; Cass. 18 febbraio 1992, n. 132; Cass. civ., sez. un., 6 novembre 1991, n. 11851, in banca dati De Jure.

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