Il R.T.I., un istituto ricco di perplessità

Il R.T.I., un istituto ricco di perplessità

Sommario: 1. I caratteri del r.t.i. – 2. La non-modificabilità del raggruppamento (la tesi restrittiva) – 3. La rimessione all’Adunanza Plenaria – 4. Il  cd. “concordato in bianco” e la rimessione all’ Adunanza Plenaria

 

1. I caratteri del r.t.i.

Il raggruppamento temporaneo tra imprese (R.T.I.) è uno strumento che supplisce alla eventuale carenza di alcuni dei requisiti speciali, ossia tecnici, che la PA richiede al proprio partner contrattuale. In particolare, coloro che ambiscono a tale ruolo e, quindi, in via preliminare, a prendere parte ad una procedura ad evidenza pubblica, debbono possedere determinate caratteristiche. Spesso, tuttavia, accade che le piccole/medie imprese, se considerate singolarmente, non siano in grado di soddisfare gli standard, per lo più di tipo finanziario, che il bando di gara presuppone. Di qui la ratio per cui, l’art. 3, comma 1, lett. p) del d.lgs. 50/2016, consente il raggruppamento di persone ed enti. Dunque, l’analisi della fattispecie, deve essere condotta in una prospettiva oggettivistica, in quanto essa è funzionalizzata al soddisfacimento delle pretese della PA. Tali imprese, infatti, ferma la loro autonomia giuridica, in sede di gara, si impegnano a presentare un’unica offerta.

Il d.lgs. 50/2016 stabilisce che, tra gli operatori economici, debba essere selezionata l’impresa mandataria, ossia l’interlocutrice diretta della P.A. Sicché, l’organizzazione interna del fenomeno si plasma su una logica tendenzialmente gerarchica.

Appaiono, ictu oculi, le affinità con l’istituto regolamentato ex art 2359 c.c. Preme evidenziare, tuttavia, che nel caso del r.t.i., a differenza di quanto stabilito nell’ambito della disciplina civilistica, il legame che si instaura tra le imprese è temporaneo oltreché finalizzato al raggiungimento di uno scopo ben preciso. A tal proposito si rammenta che, l’Adunanza Plenaria ha sacralizzato il principio della necessaria corrispondenza tra la quota di qualificazione e la quota di esecuzione della prestazione dichiarata ab origine[1]. Dunque, i giudici, hanno confermato che, il requisito di qualificazione, lungi dall’integrare una caratteristica del gruppo, debba essere valutato in relazione al singolo operatore. Di qui l’inevitabile conclusione per cui la stabilità e, quindi, l’identità di ciascuna impresa non può ritenersi dissolta nel gruppo.

2. La non-modificabilità del raggruppamento (la tesi restrittiva)

Uno dei criteri che governa il fenomeno del raggruppamento è quello della non-modificabilità della compagine soggettiva. Tuttavia, l’art 48 del d.lgs. 50/2016 prevede alcune deroghe alla regola generale. Nello specifico, i commi 17 e 18, prevedono, rispettivamente, ciò che accade nelle ipotesi in cui la mandataria e la mandante siano destinatarie di particolari eventi pregiudizievoli. Si sostiene che l’asimmetria che connota i predetti ruoli si ripercuota in sede di interpretazione della normativa de quo. In altri termini, secondo alcuni, qualora la vicenda di crisi o di estinzione interessi la mandataria, in luogo della medesima, non potrà subentrare un soggetto terzo. Dunque, nel caso in cui venga meno la suddetta partecipazione e le restanti imprese non siano in possesso dei requisiti richiesti, è inevitabile che si verifichi l’esclusione dell’intero gruppo [2]. Analoghe restrizioni non sussistono, invece, laddove la patologia riguardi una delle mandanti.

3. La rimessione all’Adunanza Plenaria[3]

L’ordinanza di rimessione evidenzia che, in realtà, non può essere sottaciuto quell’orientamento che milita in una direzione opposta rispetto a quello da ultimo citato. L’approccio meno rigoroso, del resto, il quale fa leva su una interpretazione dinamica dell’art. 48, comma 17, è suggerito dalla spiccata matrice pro-concorrenziale che anima la disciplina del raggruppamento. Invero, si specifica, sarebbe irragionevole escludere l’intero r.t.i. in ossequio al verificarsi di un evento che coinvolge una sola impresa (mandante o mandataria). Rispetto a tale sopravvenienza, infatti, non può essere ascritto alcun tipo di responsabilità nei confronti degli altri operatori. Vi è di più, è verosimile che questi neppure fossero a conoscenza della situazione di crisi[4].

La soluzione prospettata in questa sede, peraltro, si armonizza sia con il principio di celerità che con gli approdi della Corte di Giustizia. Quest’ultima sostiene che, ciò che conta, affinché il mutamento additivo della compagine sia legittimo, è che l’impresa, al momento della presentazione dell’offerta, fosse in possesso della totalità dei requisiti di selezione.

Tale orientamento, a livello sistematico, trova conferma in virtù di quanto stabilito ex art. 89, comma 3, del d.lgs. 50/2016. In tema di avvalimento, infatti, il legislatore ha esplicitamente previsto l’eventuale sostituzione dell’impresa ausiliaria. Fermo che tale istituto rappresenti un aliud rispetto al fenomeno in esame, è analoga la ratio che sottende le predette operazioni giuridiche, ovvero la necessità di ampliare la platea dei potenziali aggiudicatari di una commessa pubblica. Alla luce di ciò, non rileva che la funzione svolta dall’impresa ausiliaria sia assimilabile a quella del fideiussore e che, nel caso di avvalimento, si realizzi una sostanziale “presa in prestito” dei requisiti tecnici riferibili ad altro operatore.

4. Il  cd. “concordato in bianco” e la rimessione all’ Adunanza Plenaria[5]

Premesso che, le imprese mandanti, nei confronti della PA, rivestano il ruolo di semplici “interlocutrici secondarie”, si è demandato, all’Adunanza Plenaria, quale debba essere la sorte del r.t.i. nel caso in cui, una di esse, abbia presentato ricorso di concordato preventivo ai sensi dell’art 161, comma 6, Legge Fallimentare (cd. in bianco). Nulla quaestio circa la mera estromissione dell’impresa de qua allorquando i restanti operatori, mediante il cumulo dei loro requisiti, soddisfino i criteri pre-stabiliti. Vi è di più, qualora le condizioni finanziarie della mandante dovessero assumere tratti patologici, è legittima, laddove necessaria, la sostituzione della medesima con un soggetto esterno. Altrettanta flessibilità, invece, a giudizio dei rimettenti, deve essere negata nel caso in cui il pregiudizio riguardi la mandataria. Ciò, essenzialmente, in virtù di una interpretazione strictu sensu dell’art 48, comma 17; si specifica che, l’alterazione soggettiva della compagine, anche in fase di gara, rappresenti un’ipotesi eccezionale, la quale, pertanto, è avulsa dal terreno dell’analogia. Del resto, precisano i giudici, una soluzione di segno opposto cozzerebbe con il principio della par condicio (cfr. supra).

Una volta delucidata la questione relativa ai dibattiti che orbitano attorno all’art. 48, commi 17 e 18, d.lgs. 50/2016, occorre chiedersi se, nella fattispecie concreta, sussistano i presupposti per l’applicabilità della norma.

A tal fine, innanzitutto, è opportuno chiedersi quale sia la natura giuridica del predetto ricorso[6]. A differenza del concordato con continuità aziendale[7], questo, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. b) del codice dei contratti pubblici, integra una delle ipotesi di esclusione dalla gara. L’istituto legittima il deposito, da parte dell’operatore che versi in una condizione di dissesto economico, della domanda di ammissione al concordato preventivo, ferma, per tale soggetto, la riserva di esplicitarne il contenuto entro un lasso temporale pre-stabilito. L’espletamento della procedura determina, a danno dei creditori, la sostanziale paralisi delle loro azioni esecutive.

Vi è un indirizzo giurisprudenziale che, in luogo del subentro di un soggetto terzo, auspica che l’impresa, sebbene si trovi in uno stato di transizione, permanga nell’associazione temporanea. Ciò, per lo meno, allorquando il pre-concordato sia integrato da una domanda prenotativa per la continuità aziendale. Sicché, secondo tale impostazione, sussistono i presupposti affinché si crei una positiva equiparazione tra la fattispecie enucleata dall’ art. 161, comma 6 e quella prevista ex art. 186 bis L. Fall.

Una soluzione di questo tenore, la quale è senza dubbio conforme al principio di celerità, porta con sé il rischio che, in forza di una “ammissione al buio”, si creino ingiustificati favoritismi. Sostenere che gli interpreti possano spingersi sino ad espungere il pre-concordato dall’alveo dell’art. 80, comma 5 lett. b), oltre che uno iato con la voluntas legis, comporterebbe l’attribuzione, a beneficio dell’impresa depositaria del mero ricorso, di un indebito vantaggio.

In generale, si afferma che le predette lacune derivino dal fatto che, l’istituto del concordato “in bianco”, il quale è di origine statunitense, sia estraneo alla nostra tradizione giuridica; sicché è fisiologico che vi siano  taluni difetti di coordinamento normativo.

Delle due tesi, o l’una o l’altra. Sull’altare del bilanciamento vi sono due valori che fungono da contrappeso; da una parte vi è l’esigenza che la PA possa confidare sulla solidità finanziaria dei propri collaboratori; dall’altra, invece, si vuole evitare che l’operatore, potenzialmente idoneo allo svolgimento dei propri incarichi, venga estromesso.

In sintesi, si opterà per una teoria tradizionale/restrittiva o, viceversa, per una teoria evolutiva che tende a dilatare i margini di operatività dell’istituto?!

 

 

 

 

 


[1] Cons. Stato, Ad. Plenaria, 27.03.2019, n.6.
[2] La modifica “in riduzione” viene consentita.
[3] Cons. giust. amm. Sicilia, (ud. 13-01-2021) 20.01.2021, n. 37.
[4] Nell’ordinanza di rimessione si afferma che tale conclusione è confermata anche dal punto di vista letterale. I commi 17 e 18, dunque, sono espressivi della medesima regola.
[5] Cons. St., sez. V, ord., 8.01.2021, n. 309.
[6] L’art. 161, comma 6, della legge fallimentare prevede, in particolare, la possibilità per l’imprenditore di presentare un ricorso contenente la domanda di concordato allegando soltanto “i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi” e “l’elenco nominativo dei creditori”, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la  documentazione richiesta dai commi 2 e 3 dell’art. 161 entro il termine (prorogabile) fissato dal giudice.
[7] Art. 186 bis Legge Fallimentare.

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