Il ragionamento presuntivo nell’illecito di abuso di informazioni privilegiate

Il ragionamento presuntivo nell’illecito di abuso di informazioni privilegiate

Commento a Corte d’Appello di Torino, Sezione I Civile n.1266/2018, Presidente dott.ssa R. Silva – Consigliere Relatore dott.ssa T. Maccarone – Consigliere dott. G.P. Macagno

Abuso di informazioni privilegiate – Sanzioni Consob – Garanzie del giusto processo – Prova per presunzioni

Gli elementi presi in considerazione da Consob al fine di porre in essere un ragionamento presuntivo volto a dimostrare la sussistenza del trasferimento di informazione di natura privilegiata dal carattere cd. price sensitive da un soggetto ad un altro devono essere necessariamente univoci, non permettendo una ricostruzione in termini ulteriori delle concrete circostanze di fatto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, la Delibera Consob che accerta la sussistenza della condotta illecita irrogando la relativa sanzione deve essere annullata in quanto ha posto alla base della decisione elementi non sufficientemente idonei a fondare un ragionamento di natura inferenziale.

Con riferimento alle sanzioni Consob, la garanzia del giusto processo si può realizzare in via alternativa sia nella stessa fase amministrativa ovvero mediante sottoposizione del provvedimento reso ad un sindacato giurisdizionale pieno attuato per il tramite di un diverso e successivo procedimento di natura tendenzialmente sostitutiva conforme alle prescrizioni imposte ex Art. 6 CEDU, garantendosi pertanto la possibilità di impugnare il provvedimento davanti ad una giurisdizione indipendente ed imparziale che, conoscendo dell’opposizione, garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio.

Sommario: Premesse – 1. Conformità del procedimento sanzionatorio Consob con le garanzie del contraddittorio – 2. Inesistenza di informazione privilegiata ai sensi dell’Art. 181 T.U.F.

Premesse

La Corte di Appello di Torino, in Camera di Consiglio, è ritornata a pronunciarsi sul tema dei cd. market abuse, con particolare riferimento all’illecito utilizzo di informazioni privilegiate all’interno dei mercati regolamentati italiani e di condotte decettive degli stessi; questione, peraltro, già oggetto di dibattiti e vivaci contrasti innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, essendosi in tale sede contestate le competenze dell’Autorità di Vigilanza nazionale – la Consob –  evidenziandosi lacune nonché carenze di alcune fondamentali garanzie processuali in relazione ai procedimenti (sanzionatori e amministrativi) instaurati di fronte la stessa.[1]

Nel caso oggetto della presente analisi il ricorrente contesta – con riferimento specifico a tre diverse operazioni di acquisto di titoli di società quotata all’interno del mercato susseguitesi nella mattinata e nel corso del primo pomeriggio del 3 e del 4 febbraio 2014 e poste in essere nelle ventiquattro ore antecedenti all’annuncio dell’acquisizione, da parte di altra società, della maggioranza del capitale di omissis[2] – le sanzioni irrogate da Consob sulla base del presupposto secondo il quale dette operazioni, concluse in un periodo per così dire “sospetto”, siano state in realtà effettuate sulla base di informazioni riservate e di carattere privilegiato ex Art.187 e ss. T.U.F.

Ragionamento, quest’ultimo, di matrice inferenziale sulla scorta del quale la Commissione ha comminato ad omissis una sanzione pecuniaria (di Euro 130.000) in ragione dell’illecito profitto realizzato mediante acquisto dei titoli in data 4 Febbraio e successiva alienazione degli stessi il giorno successivo, non appena si è proceduto alla divulgazione al mercato della notizia della proposizione dell’OPA.

Sintetizzando, dunque, i motivi di doglianza del ricorrente innanzi ai giudici di secondo grado si assiste, da un lato, all’asserita violazione del principio del contradditorio/ principio di separazione tra funzioni istruttorie e decisorie in seno alla Commissione e, dall’altro, nel merito, alla richiesta di revoca del provvedimento e delle sanzioni irrogate, non ritenendosi sussistente l’esistenza di alcuna informazione privilegiata come definita dall’Art. 181 T.U.F.

In tale contesto, ed all’esito delle suesposte precisazioni, si rileva come il ragionamento dei giudici piemontesi si articoli lungo due linee direttrici.

1. Conformità del procedimento sanzionatorio Consob con le garanzie del contraddittorio.

A ben vedere, il procedimento sanzionatorio innanzi alla Consob – come da ultimo modificato con delibera n. 19158 del 2015 –  viene ritenuto, da parte del ricorrente, ancora in palese contrasto sia con l’Art.6 CEDU, sia con l’Art.24 della legge n.262/2005 ed infine anche con l’Art.24 della Costituzione, non essendo prevista la possibilità di procedere allo svolgimento di udienza pubblica davanti ai Commissari e, nel caso di specie, non essendo stato conferito alcun rilievo, e non avendo rivestito importanza alcuna ai fini dell’irrogazione della sanzione, le nuove circostanze emerse nella memoria difensiva redatta e depositata dallo stesso nonché la mancata disposizione dell’audizione dell’incolpato.

In tale scenario si inserisce la ricostruzione dei giudici d’appello i quali, nel motivare le conclusioni raggiunte, non hanno ravvisato alcun difetto di conformità del procedimento sanzionatorio rispetto alle norme appena citate, conseguendo un risultato interpretativo e sistematico di primissimo rilievo e volto a sopire, per quanto possibile, le accese divergenze susseguitesi nell’ultimo quinquennio circa le garanzie processuali del procedimento in oggetto.

La Corte, infatti, operando specifico riferimento alla pronuncia n.770/2017 della Corte di Cassazione la quale, rinviando a sua volta alle conclusioni già svolte dalle Sezioni Unite n. 20935/2009[3], ha sostenuto che la carenza della fondamentale garanzia di un contraddittorio pieno tra le parti nei procedimenti amministrativi sanzionatori davanti alla Consob risulta concretamente insussistente e priva di alcun rilievo pratico qualora sia garantita la possibilità di impugnare il provvedimento davanti ad una giurisdizione indipendente ed imparziale che, conoscendo dell’opposizione, garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio.

Pertanto, alla luce della giurisprudenza comunitaria, ed essendo gli Stati membri sostanzialmente liberi di scegliere le modalità di realizzazione delle garanzie previste ex Art. 6 CEDU – prevedendosi pertanto l’alternatività tra un contraddittorio pieno sin dalla fase amministrativa ovvero mediante sottoposizione del provvedimento reso dall’Autorità ad un sindacato giurisdizionale pieno attuato per il tramite di un diverso e successivo procedimento – e, restando inteso che i provvedimenti sanzionatori adottati da Consob sono impugnabili davanti alla Corte d’Appello competente per territorio, le regole del contraddittorio risultano – a parere dei giudici torinesi – in definitiva garantite. Giova precisare, infatti, come la possibilità di rimettere l’oggetto del contendere ai giudici di secondo grado valga ad assicurare l’effettiva formazione del complesso materiale probatorio volto a valutare la ragionevolezza, l’esattezza, l’efficacia nonché il merito dei provvedimenti adottati da parte dell’Autorità di Vigilanza.

2. Inesistenza di informazione privilegiata ai sensi dell’Art. 181 T.U.F.

L’illecita condotta rilevata da Consob avente, come già precisato, ad oggetto l’acquisto di titoli azionari a seguito della presunta comunicazione di informazioni di natura privilegiata, si inserisce in una complessa serie di eventi – intercorsi tra il primo ed il cinque febbraio 2014 – propedeutici alla finalizzazione dell’operazione di cessione della quota di maggioranza di omissis, approvata in via definitiva nelle prime ore del 5 febbraio, prima dell’inizio delle negoziazioni sul Mercato Telematico Azionario (MTA).

Data la particolare rilevanza dell’operazione, Consob, nello svolgimento della propria caratteristica attività di vigilanza preventiva, rilevò intense attività di negoziazione dei titoli di detta società nei giorni immediatamente antecedenti all’approvazione della cessione; in particolare, i rilievi e le verifiche della commissione, concentratisi sul ricorrente ed omissis – amministratore delegato della società cedente, e per tale motivo direttamente coinvolto nell’operazione nonché, sicuramente, in possesso di un patrimonio informativo di assoluto rilievo – entrambi impiegati all’interno del medesimo studio professionale con sede a Torino, si  sono focalizzati sui rapporti intercorrenti tra questi ultimi nelle ore antecedenti all’inizio delle operazioni compravendita dei titoli ritenute sospette, al fine di dimostrare se ed in quale misura si fosse verificata la comunicazione di un’informazione privilegiata successivamente utilizzata per la realizzazione di un illecito profitto a danno degli investitori; attività investigativa, quest’ultima, conclusasi – come emerge dal provvedimento – con la contestazione dell’illecito di insider trading in capo ad omissis sulla base di un ragionamento inferenziale dal carattere meramente presuntivo e basato, lo si ribadisce, sullo svolgimento, da parte dei due soggetti, della medesima attività presso il medesimo ufficio: in breve, desumendo la colpevolezza di omissis dal semplice fatto di essere nello stesso luogo, alla stessa ora di omissis.

Sulla base delle suesposte circostanze, si rileva la necessità di ripercorrere ed analizzare il percorso valutativo enucleato dall’autorità di vigilanza rispetto al dato strettamente normativo verificando se, nel caso di specie, risulti effettivamente integrato quanto previsto dal T.U.F. per considerare una determinata serie di informazioni alla stregua di un cd. sensitive intel in grado di alterare in maniera considerevole le scelte (le valutazioni) di investimento/disinvestimento di un investitore ragionevole.[4]

In primo luogo occorre rilevare che il ricorrente, investitore abituale ed in possesso di comprovata esperienza in tal senso, aveva già – in periodi antecedenti rispetto a quello considerato – effettuato operazioni di compravendita di titoli della società omissis e che, anche in tale circostanza, agì in proprio (quindi, senza servirsi di un prestanome persona fisica o giuridica), essendo peraltro perfettamente consapevole delle possibili sanzioni, sia in sede penale sia in sede amministrativa, derivanti dall’eventuale accertamento di condotte manipolative/decettive del mercato.

Ad ogni modo, appare plausibile la ricostruzione secondo la quale il ricorrente, a conoscenza della particolare solidità del titolo azionario – dato confermato peraltro da affidabili siti internet di settore – ed  ipotizzando rischi di perdita quasi nulli, abbia proceduto all’inoltro dei predetti ordini di acquisto a prescindere dall’acquisizione di informazioni di natura privilegiata, trattandosi di iniziative pienamente in linea con il suo profilo di investimento e la relativa propensione/avversione al rischio; ricostruzione, quest’ultima, tutt’altro che in linea rispetto alle conclusioni raggiunte dai Commissari Consob, fondate sull’ambivalenza degli elementi suesposti i quali, ad onor del vero, lasciano spazio a plurime interpretazioni: la mole degli investimenti, la limitazione di prezzo, l’orizzonte temporale dell’acquisto e della successiva dismissione rappresentano circostanze ambigue nello scenario complessivamente considerato.

In secondo luogo, si rileva come la ricostruzione operata da Consob risulti fallace in punto di diritto.

In effetti, all’esito di una più approfondita disamina del tema, risulta sufficientemente chiaro come – nell’ambito di un ragionamento dal carattere cd. ‘presuntivo’, finalizzato all’accertamento di un fatto ignoto attraverso le conseguenze derivanti da una pluralità di fatti cd. ‘noti’ i quali propendono tutti, indistintamente, in favore di quanto asserito – sia in sede civile, sia in sede penale ed in linea con l’orientamento giurisprudenziale prevalente, venga necessariamente previsto che il fatto (ignoto) possa ritenersi dimostrato soltanto qualora gli indizi siano “gravi, precisi e concordanti” tali dichiarare non privi di rilievo gli ulteriori elementi, scongiurando, in termini assoluti, una diversa ricostruzione delle concrete circostanze.[5]

In tale ottica, risulta indispensabile che la valutazione dei fatti noti dai quali desumere la sussistenza del fatto ignoto, non permetta interpretazioni alternative che, seppur astrattamente possibili, abbiano pari dignità rispetto alla prima.

Pertanto, pur sussistendo una certa soglia di ‘opinabilità’ (margine di opinabilità che, peraltro, non si potrà mai scongiurarsi in termini assoluti), la complessiva valutazione del panorama indiziario, debitamente coadiuvato da criteri ermeneutici di comune esperienza e di logica consequenzialità, dovrà escludere o quantomeno non suffragare le diverse alternative prospettabili.

Nel caso in analisi, gli elementi posti alla base della ricostruzione dei Commissari, anche a seguito dell’espletamento di audizioni[6] delle parti coinvolte, si fondano sulla circostanza – incontestata – che il giorno successivo alla riunione del 2/2/2014 Omissis si recò presso il ‘proprio’ studio professionale – che condivideva con il Ricorrente – e, durante tale incontro Omissis abbia condiviso con quest’ultimo le informazioni privilegiate sull’operazione appena approvata, poste alla base dell’attività di compravendita di titoli successivamente intrapresa; pertanto, sulla base di tali asserzioni, il passaggio dell’informazione privilegiata si dovrebbe desumere dalla semplice contestualità temporale dei due soggetti presso lo studio e dagli investimenti effettuati dall’attuale ricorrente lo stesso giorno.

Sulla scorta di tali rilievi pare opportuno ricordare come l’Art. 181 T.U.F. definisca ‘privilegiata’ “un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi degli strumenti finanziari”.

In particolare, con specifico riferimento al requisito della precisione, esso potrà considerarsi integrato soltanto qualora «a) (l’informazione) si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà b) (l’informazione) è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell’evento di cui alla lettera a) sui prezzi degli strumenti finanziari»; intendendosi con la lettera a) tracciare una netta linea di demarcazione tra le informazioni vere e proprie e le semplici inferenze quali studi, ricerche o semplici rumors in riferimento ad eventi la cui effettiva realizzazione non potrà essere prevista con un sufficiente grado di certezza mediante la prospettazione di un’analisi della casistica concreta.[7]

Riguardo alla tipicità della notizia, invece, lo stesso disposto del terzo comma dell’Art. 181 permette di considerare rilevanti soltanto quelle informazioni che consentano ai soggetti che ne sono in possesso di cogliere il nesso inferenziale sussistente tra la notizia ed il suo possibile effetto sul prezzo dello strumento finanziario cui afferisce, notazioni che dovranno essere necessariamente a carattere univoco con conseguente esclusione di dati generici e scarsamente dettagliati, sebbene si tenda ad escludere che l’evento debba essere necessariamente definito in ogni suo elemento. [8]

Precisione e tipicità che, dunque, rappresentano i crismi essenziali per considerare privilegiato, sensibile e riservato un determinato patrimonio informativo e che, in definitiva, non risultano essersi realizzati nel caso in analisi.

Conferisce ulteriore rilievo a quanto asserito, l’affermazione dei giudici piemontesi secondo i quali “nel contesto delineato si ritiene che gli elementi indiziari noti non siano utili a fondare un ragionamento presuntivo perché la loro concatenazione rimane equivoca e inidonea ad individuare il fatto ignoto”; in effetti, in primo luogo, la circostanza secondo la quale Omissis abbia comunicato al Ricorrente, in occasione dell’incontro avvenuto presso lo studio torinese, gli estremi dell’operazione di cessione appena approvata (ed anche in merito all’obbligatoria proposizione di offerta pubblica di acquisto totalitaria a seguito del superamento delle soglie previste dal T.U.F.) rimane circondata da margini di incertezza ed altresì da un certo grado di aleatorità.

Infatti, altrettanto indimostrato e, dunque, privo di riscontro concreto, è il fatto che Omissis abbia comunicato un’informazione dai caratteri così dettagliati e specifici tale da renderla, a tutti gli effetti, privilegiata e, pertanto, sufficiente ai fini di un suo immediato utilizzo a fini speculativi.

Pertanto, sulla base di quanto asserito nonché sulla scorta delle dichiarazioni rilevate in sede di audizione da parte dei Commissari Consob, non può escludersi in termini assoluti una diversa ricostruzione delle circostanze di fatto, essendo astrattamente possibile che le informazioni comunicate fossero manchevoli dei menzionati requisiti di precisione e tipicità, scongiurando di fatto l’esistenza di qualsivoglia operazione di investimento fondata esclusivamente su quanto appreso in occasione del menzionato incontro e giustificando – in definitiva – quanto asserito dalla Corte d’Appello in accoglimento dell’opposizione con conseguente revoca del provvedimento sanzionatorio irrogato da Consob in ragione dell’insussistenza della fattispecie di illecito contestato.


[1] Si rimanda – per una più approfondita disamina dei motivi di doglianza  – a CGUE, Grande Stevens v. Italia Ricorso n.16840/2010 ed alle allegate ipotesi di violazione del principio del contraddittorio ex Art. 6 CEDU.
[2] Operazione che, in linea con quanto previsto dall’Art.106 T.U.F., da luogo alla obbligatoria proposizione di Offerta Pubblica di Acquisto totalitaria della restante parte del capitale.
[3] Secondo l’autorevole opinione dei giudici di legittimità, rimarcata anche da Cass. Civile n. 8956 del 17 aprile 2014 «Qualora il giudice abbia rilevato d’ufficio una questione senza sottoporla al previo contraddittorio delle parti, in merito alla relativa sentenza non può essere sempre pronunziata la sua nullità processuale, ma a tal fine è necessario che la relativa rilevazione officiosa abbia determinato un’ipotesi di sviluppo della res litigiosa sino a quel momento non considerata dalle parti sotto il profilo probatorio. Ne consegue che la presunta violazione del principio del contraddittorio sarà denunziabile quale motivo di appello, senza giungere alla radicale decisione della rimessione in primo grado, salvo il caso in cui risulti irrimediabilmente vulnerato il principio del contraddittorio.»
[4] Da intendersi come un soggetto dotato delle conoscenze necessarie per porre in essere una determinata condotta, ma soprattutto in grado di agire razionalmente all’interno del  mercato stesso ponendo come base delle proprie scelte tutte le conoscenze a propria disposizione, concretizzandosi quindi l’informazione sensibile in qualsiasi dato idoneo a modificare le decisioni di tale tipologia di investitore, il quale avrà interesse alla sua conoscenza prima di intraprendere qualsiasi tipo di operazione. A tal proposito pare opportuno prendere in considerazione quanto disposto dal Considerando (14) Reg. UE n. 596/2014 a tenore del quale «un investitore ragionevole basa le proprie decisioni di investimento sulle informazioni già in suo possesso, vale a dire su informazioni disponibili precedentemente. (…) Nell’effettuare una tale analisi, occorre considerare l’impatto previsto dall’informazione alla luce dell’attività complessiva dell’emittente in questione, l’attendibilità della fonte di informazione, nonché ogni altra variabile di mercato che, nelle circostanze date, possa influire sugli strumenti finanziari (…)». Ampiamente sul punto si fa rinvio a CATERINA R., Psicologia della decisione e tutela del consumatore in Analisi giuridica dell’economia, Il Mulino n.1/2012 pp. 67 e ss. e a LEMME G., Diritto ed Economia del mercato , CEDAM, Padova (2014) pp. 367 e ss.
[5] Copiosa giurisprudenza aderisce all’orientamento appena menzioanto: ex multis Cass. n. 5374/2017; Cass. n. 9108/2012. Tuttavia, si registrano anche opinioni parzialmente contrarie, come testimoniato da Cass. n. 6387/2018 dove si è sostenuto che la valutazione degli indizi costituisce un giudizio di fatto, come tale rimesso al giudice di merito che ben può nel suo apprezzamento liberamente valutarli come idonei alla dimostrazione di un fatto determinato e porli, in concorso o meno con altri elementi significativi, a base del proprio convincimento.
[6] Omissis, in sede di audizione ha dichiarato che non condivise alcuna informazione circa i dettagli dell’operazione con i soci di studio.
[7] Ampiamente sul punto MUCCIARELLI F. in Il testo unico della finanza a cura di Fratini M. Gasparri G., UTET Giuridica (2012) pp.184-185. L’autore sottolinea come “qualora uno studio si avvalga, fra l’altro, anche di notizie di non pubblico dominio, allora verrebbe meno la componente esclusivamente intellettuale che lo connota e, conseguentemente, ci si troverebbe al cospetto di un’informazione che ben potrebbe essere tipica ex art.181 TUF”; cfr. sul punto anche il contributo fornito da GALLI S. in La disciplina italiana in tema di abusi di mercato, IPSOA, 2010, pp.140 ss.
[8] La disciplina sugli abusi di mercato: gli obblighi di comunicazione per gli emittenti. Circolare Assonime n.48/2006 in Rivista delle Società fasc.5-6 2006 pp.1125-1128 in cui si afferma che “L’attuale riferimento si basa sulla considerazione che alcune operazioni (ad esempio il lancio di un’OPA) producono quasi certamente una variazione nei prezzi, anche se non è prevedibile con certezza se essa avrà direzione positiva o negativa”; per la piena comprensione delle criticità concernenti l’esatta portata della nozione di informazione privilegiata, si rinvia a Tribunale di Milano sez. II, 25 ottobre 2006 – Giud. Meyer – Imp. C. ed altri; commento di FOLADORE C. in Il corriere del merito n.6/2007

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