Il rapporto tra il concepito e l’ordinamento giuridico italiano

Il rapporto tra il concepito e l’ordinamento giuridico italiano

Sommario: 1. Introduzione – 2. La condizione del concepito nell’ordinamento giuridico italiano – 3. Conclusioni

 

1. Introduzione

L’articolo 1 del codice civile recita: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”.

La nozione di capacità giuridica sconosciuta sia al diritto romano sia al diritto comune (X-XIX secolo), è stata introdotta nell’ordinamento giuridico italiano dal legislatore del 1942 quale norma di apertura del codice civile per indicare “la posizione generale del soggetto in quanto destinatario di effetti giuridici”.

La capacità giuridica, configurante l’attitudine ad essere titolari di poteri e doveri giuridici, sorge con la nascita di ogni soggetto giuridico, ossia per le persone fisiche come definite dal Titolo I, con il distacco del feto dal grembo materno e si perde soltanto al momento della morte.

Secondo il criterio scientifico, si ha la nascita del neonato quando ricorrono due importanti presupposti: la fuoriuscita del feto dall’alveo materno ed il compimento di un atto respiratorio.

Sono i due connotati che delineano l’autonomia vitale del nascituro, pertanto la giurisprudenza italiana si è adeguata a tale criterio di accertamento della nascita, ritenendo sufficiente la separazione materiale dalla madre ed il primo respiro. Alla tradizionale e semplicistica concezione che vede nella nascita il momento di inizio di una nuova soggettività si contrappongono, ad oggi, questioni bioetiche che coinvolgono l’esistenza umana, in particolare la rilevanza della vita prenatale.

2. La condizione del concepito nell’ordinamento giuridico italiano

Dal punto di vista giuridico, il concepito è l’essere umano che vive nel ventre materno. Il tema della capacità giuridica del concepito e, dunque, del riconoscimento della titolarità di diritti in capo a chi non è ancora nato, oggi si ripropone in maniera sempre più insistente.

L’integrità psico-fisica del concepito compromessa per effetto di azioni poste in atto durante la fase endouterina ha trovato riconoscimento nella sentenza n. 16754 del 2 ottobre 2012. La Corte di Cassazione ha riconosciuto al nato, per la prima volta nell’ordinamento italiano, il diritto al risarcimento del danno iure proprio da nascita malformata, a causa dell’omessa o errata diagnosi prenatale.

La massima è la seguente: Il risarcimento del danno c.d. da nascita indesiderata, scaturente dall’errore del medico che, non rilevando malformazioni congenite del concepito, impedisca alla madre l’esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, spetta non solo ai genitori del bimbo nato malformato, ma anche ai suoi fratelli.

Nel caso in cui il medico ometta di segnalare alla gestante l’esistenza di più efficaci test diagnostici prenatali rispetto a quello in concreto prescelto, impedendole così di accertare l’esistenza di ‟una una malformazione congenita del concepito, quest’ultimo, ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza ha diritto, fondato sugli art. 2, 3, 29, 30 e 32 Cost., ad essere risarcito da parte del sanitario del danno consistente nell’ ‟essere nato non sano, rappresentato dall’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità. [1]

Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, la legittimità della richiesta risarcitoria riguardo lo stato di infermità e la condizione di vita con handicap trova riconoscimento nella concezione del diritto a nascere e a nascere sano, che va inteso nell’accezione secondo cui nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie.

Contrariamente, nella sentenza n. 25767 del 2015, le SS.UU. discostandosi dall’orientamento precedente, hanno posto alla base della risarcibilità del danno tre condizioni: l’onere probatorio del fatto costitutivo del risarcimento del danno spetta alla madre; la legittimazione del nato a chiedere il risarcimento viene acquisita solo dopo la nascita poiché il concepito non è un soggetto di diritto ma oggetto di tutela; bisogna accertare il nesso di causalità tra la condotta omissiva del medico e il danno ingiusto. [2]

La Corte di Cassazione, sez. III civ., con la sentenza n. 1252/2018, chiarisce che l’onere della prova a dimostrazione del danno subito è a carico della gestante, la quale è tenuta a stilare un ipotetico catalogo di gravi fatti che avrebbero giustificato il ricorso all’aborto (legge n.194/1978), ossia se fosse stata preventivamente informata dal medico, avrebbe potuto interrompere la gravidanza e attuare il proprio diritto di autodeterminazione. Per tale ragione, la legittimazione a chiedere il risarcimento spetta principalmente alla madre, altresì, il diritto ad agire per la pretesa risarcitoria è riconosciuto al padre, ai fratelli e alle sorelle. [3]

Nonostante quest’ultima pronuncia rappresenti l’ordinamento dominante, quello minoritario riconosce, invece, la legittimazione del soggetto con handicap ad ottenere il risarcimento del danno ingiusto, laddove la condotta del medico non abbia permesso la realizzazione del diritto di autodeterminazione della madre e quindi, l’interruzione volontaria di gravidanza.

Se da un lato, nell’ordinamento giuridico italiano la condizione del concepito è oggetto di contrasti giurisprudenziali, dall’altro la rilevanza giuridica dello stesso è assodata riguardo determinati interessi patrimoniali e non.

Il concepito ha capacità di succedere ai sensi dell’art. 462 c.c., il quale recita: “Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione. Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell’apertura della successione chi è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta”. [4]

Sono, quindi, capaci di succedere anche coloro che, al momento dell’apertura della successione, erano soltanto concepiti. Si presumono tali coloro la cui nascita interviene entro trecento giorni dalla morte del soggetto della cui successione si tratta. Tale previsione ha natura eccezionale, in quanto riconosce la capacità di succedere a chi è ancora privo della capacità giuridica. La disposizione non viola l’articolo 1 c.c. poiché, al riguardo la capacità di succedere dei concepiti si intende comunque subordinata all’evento della loro nascita, quindi in perfetta aderenza con il disposto di cui all’art.1, 2º comma del codice civile. In tal caso, la capacità di succedere viene ricostruita come una fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona solamente con la nascita dell’istituito.

Al pari di una disposizione testamentaria, una donazione può esser fatta a favore o di chi è soltanto concepito, oppure dei figli che saranno concepiti da una determinata persona vivente al tempo della donazione. Il concepito può essere destinatario di una donazione ex art. 784 c.c., il cui 1° e 2°comma recitano: “La donazione può essere fatta anche a favore di chi è soltanto concepito, ovvero a favore dei figli di una determinata persona vivente al tempo della donazione, benché non ancora concepiti. L’accettazione della donazione a favore di nascituri benché non concepiti, è regolata dalle disposizioni degli articoli 320 e 321”. [5]

Ai sensi dell’art. 320 del c.c., l’accettazione spetta ai genitori congiuntamente o a quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, previa autorizzazione del giudice tutelare. Ove i genitori non possano o non vogliano accettare l’eredità, può essere nominato un curatore speciale, art. 321 del c.c.

Nonostante, attualmente, la legge non riconosca capacità giuridica a chi non è ancora nato, sono previste le cosiddette riserve di diritti: non si attribuisce, cioè, al momento, alcun diritto ad un soggetto che ancora non esiste, ma in vantaggio di questo soggetto futuro si conservano quei diritti che si vogliono a lui attribuire e che, se fosse già nato, acquisterebbe immediatamente. Il concepito ha, quindi, una capacità giuridica subordinata all’evento della nascita, con la quale soltanto così viene ad assumere la qualifica di persona.

A riprova dell’assodata rilevanza giuridica del concepito, vi è l’articolo 254 c.c. che recita: “Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio è fatto nell’atto di nascita, oppure con un’ apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo”.

La disposizione prevede la possibilità che il figlio naturale sia riconosciuto prima della nascita e il riconoscimento ha due scopi specifici: è funzionale all’organizzazione della capacità patrimoniale del nascituro concepito prima del matrimonio e attribuisce lo status di figlio naturale al concepito.

3. Conclusioni

Considerando che la modifica dell’art. 1 c.c. non è, ancora, un progetto legislativo realizzabile, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale sembra possibile ritenere che esista una differente concezione, quella della rilevanza giuridica che sebbene non sia paragonabile alla capacità giuridica è comunque fondamentale per garantire tutela nell’ordinamento giuridico di tali soggetti.

L’ordinamento giuridico italiano, dunque, riconosce al concepito “diritti condizionati” all’evento nascita che conferiscono un acquisto progressivo ma, d’altra parte, ammette che possa essere titolare di molteplici interessi personali quali il diritto alla vita, alla salute, all’onore, all’identità personale, ad una nascita sana.

 

 

 

 

 


[1] Cass. Civ. sez. III, n.16754/2012
[2] Cass. Civ. SS.UU., n. 25767/2015
[3] Cass. Civ. sez. III, n. 1252/2018
[4] https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-i/capo-ii/art462.html.
[5] https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-v/capo-iii/art784.html

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Sara Azam

Dott.ssa Magistrale in Giurisprudenza con tesi intitolata “L’embrione: aspetti biologici, etici e giuridici” in quanto attenta alle tematiche bioetiche combinate al diritto costituzionale e civile. Attualmente dedita allo studio di argomenti legati alla gestione della privacy e al trattamento dei dati personali con riferimento alla normativa nazionale ed europea.

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