Il reato di tortura in Italia: tanto desiderato, poco attualizzato

Il reato di tortura in Italia: tanto desiderato, poco attualizzato

Il reato di tortura oggi in Italia esiste. Con la l. 14/07/2017 n°110 in G.U. 18/07/2017 è stata pubblicata la nuova legge che ha chiuso un iter parlamentare durato ben quattro anni. Il ddl venne presentato dal parlamentare Luigi Manconi (PD) nel 2013 e inizialmente prevedeva un reato (forse) più innovativo rispetto all’evoluzione ricevuta negli anni. L’accelerazione dei tempi, forse dovuta alla condanna ricevuta dall’Italia, nell’aprile del 2015, dalla Corte Europea dei Diritti Umani che disapprovò i famosi episodi del G8 di Genova, ne ha dato una sferzata negativa. Questa corsa, difatti, ne ha sminuito l’intenzione iniziale dello stesso parlamentare che con il ddl era intento a limitare gli abusi di potere.

Innanzitutto il contenuto del disegno di legge è possibile trovarlo nel nuovo art. 613-bis c.p. il quale punisce con il carcere da 4 a 10 anni <<Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa […] se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona>>.

La fattispecie è aggravata, da 5 a 12 anni di reclusione, se i fatti di cui sopra <<sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio>>. La legge ha portato anche alla modifica all’art. 191 c.p.p. in tema di prove illegittimamente acquisite: il nuovo comma 2-bis stabilisce <<la inutilizzabilità delle dichiarazioni o delle informazioni ottenute mediante il delitto di tortura, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale>>.

In realtà prima della copiosa modifica del 2015, la tortura era intesa come reato proprio, penalmente illecito, applicabile solamente ad una persona che con una certa “qualifica” lo commettesse, facendo riferimento a chiunque rivesta un ruolo di pubblico ufficiale o servizio. L’attuale legge, invece, lo ha trasformato in un vero e proprio “reato comune” applicabile a qualsiasi persona: si tratta di una vera contraddizione in sé, vista la prospettiva iniziale proiettata unicamente alla limitazione dei poteri pubblici. Il testo, oltretutto, prevede che il reato è realmente verificabile solo se in presenza di “violenze e minacce”. Oltre a ciò, il requisito delle violenze “reiterate” è stato sostituito con l’espressione “più condotte”: in questo caso il singolo atto di violenza potrebbe non essere punito e la verifica, di volta in volta, della sostanziale presenza delle stesse, comporterebbe una limitazione fattuale. Il passaggio da “cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche” a “cagiona acute sofferenze fisiche a un verificabile trauma psichico” implica il necessario riscontro dei presupposti di reato che potrebbero essere stati causati molti anni addietro, limitando poi l’efficace applicazione della pena. L’elemento psicologico, infatti, è una sorta di “limitazione temporale” per la ricostruzione sostanziale del reato e in questa fattispecie determinerebbe la difficile efficacia della pena stessa.

Quello che rimane dell’iniziale intenzione della legge lo si trova solamente nell’art. 613-ter che prevede la reclusione da 6 mesi a 3 anni al pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio <<il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso>>.


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