Il recesso ad nutum del committente nel contratto d’appalto

Il recesso ad nutum del committente nel contratto d’appalto

Sommario: 1. L’appalto quale contratto ad esecuzione prolungata – 2. L’art. 1671 c.c.: il recesso ad nutum del committente – 3. Il recesso del committente quale diritto potestativo – 4. La rilevanza dell’intuitus personae – 5. Esercizio del diritto di recesso – 6. Gli effetti del recesso del committente

 

 

1. L’appalto quale contratto ad esecuzione prolungata

Prima di analizzare il recesso del committente nel contratto di appalto, è utile focalizzarsi su alcune disposizioni generali in tema di effetti del contratto e, in particolare, sull’art. 1372 c.c. secondo cui, una volta concluso, “il contratto ha forza di legge tra le parti” e non può essere sciolto se non per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Ciò significa che nessuna delle parti può decidere di sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale, a meno che sia previsto un diritto di recesso – in favore di una o di entrambe le parti – che tragga origine da un accordo (cd. recesso convenzionale) o da un’espressa previsione legislativa (cd. recesso legale). Occorre precisare che, pur avendo il vincolo contrattuale carattere bilaterale, il recesso unilaterale non ne configura un’eccezione bensì è in realtà uno strumento normale e fisiologico di sistemazione degli interessi contrattuali[1].

Il recesso è infatti un negozio giuridico unilaterale con il quale la parte manifesta la volontà di liberarsi dal vincolo contrattuale. In particolare, l’art. 1373 c.c. disciplina la regola generale secondo cui, se ad una delle parti è stata attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Questa regola trova applicazione per i contratti ad esecuzione immediata, in quanto il co. 2 del medesimo articolo si appresta ad affermare che nei contratti ad esecuzione periodica o continuata, l’esercizio della facoltà di recesso è consentita anche successivamente, cioè ad esecuzione iniziata. In tali casi, però, il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. Si tratta del cd. principio di irretroattività degli effetti del recesso in ipotesi di esecuzione di prestazioni continuate o periodiche[2]. Qualora, inoltre, sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita, fatto salvo il patto contrario.

Tale disciplina non trova applicazione per il contratto di appalto di cui all’art. 1655 c.c.. Questo perché il contratto di appalto rientra nella categoria dei contratti cc.dd. ad esecuzione prolungata[3], la quale ricomprende negozi caratterizzati dal fatto che l’elemento della durata non è voluto dalle parti, ma è piuttosto subito da esse in quanto legato alla natura della prestazione, o meglio, implicato dallo scopo del negozio[4]. Ciò lo contraddistingue dai contratti ad esecuzione continuata o periodica in cui “il valore della prestazione complessiva, o meglio, del complesso delle prestazioni, è in funzione diretta del tempo per il quale si protrae […] e la durata costituisce una necessità giuridica se si vuole appagare quell’interesse del creditore”[5].  Per queste categorie contrattuali, dunque, il tempo è un elemento che risponde all’interesse delle parti e da esse è voluto e non subito in quanto l’utilità da questi conseguita sarà tanto maggiore quanto più a lungo perdurerà l’esecuzione. Nei contratti ad esecuzione prolungata e, in particolare, in quello di appalto, invece, l’interesse del soggetto committente non è progressivamente soddisfatto dagli atti materiali che l’appaltatore realizza al fine di adempiere alla sua prestazione, ma sarà interamente appagato solamente con la consegna dell’opera così come stabilito dall’art. 1655 c.c.: un risultato che, tuttavia, richiede del tempo, non potendo essere raggiunto istantaneamente. Pertanto, a differenza di quanto rilevato in relazione ai contratti a esecuzione continuata e periodica, il committente non consegue alcuna utilità nel vedere l’esecuzione del contratto protrarsi nel tempo, avendo egli l’interesse a ottenere la consegna dell’opera il prima possibile. L’intervallo di tempo intercorrente tra la conclusione del contratto e la sua completa esecuzione è quindi imputabile a una semplice esigenza di natura pratica, e non giuridica, non essendo concretamente possibile per l’appaltatore fornire immediatamente all’appaltante il risultato oggetto di contratto. Dunque, a causa di tal natura ad esecuzione semplicemente prolungata[6], il contratto di appalto gode di una particolare disciplina per il recesso che risulta essere autonoma ed incompatibile con quella di recesso nei contratti ad esecuzione continuata e periodica[7].

Occorre precisare, infine, che l’assunto secondo cui l’appalto risulta inquadrabile nella categoria dei contratti a esecuzione prolungata non riveste una portata assoluta, ben potendo il negozio stipulato dalle parti essere eccezionalmente ricondotto ad un’altra delle tipologie contrattuali viste in precedenza. Per quanto concerne i contratti a esecuzioni istantanea, la riconducibilità dell’appalto alla categoria anzidetta è impedita dalla tendenziale impossibilità pratica, e non giuridica, di provvedere all’esecuzione immediata della prestazione facente capo all’appaltatore. Tuttavia, non essendo tale impossibilità assoluta, è possibile che la prestazione dovuta dall’appaltatore sia suscettibile di essere eseguita contestualmente alla conclusione del contratto, sicché in siffatta ipotesi non sussistono ragioni che impediscano questo inquadramento[8].

In merito, invece, alla possibilità di qualificare l’appalto come contratto di durata, rileva il disposto dell’art. 1677 c.c.. La norma citata, infatti, contempla espressamente il caso in cui l’appalto abbia ad oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, prevedendo che, in siffatta ipotesi, le disposizioni in materia di appalto debbano essere integrate, nella misura in cui risultano compatibili, da quelle vigenti in materia di somministrazione.

2. L’art. 1671 c.c.: il recesso ad nutum del committente

Più nel dettaglio, il recesso del committente è espressamente disciplinato dall’art. 1671 c.c., a mente del quale: “Il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”. Suddetta norma legittima, dunque, il committente a recedere dal contratto ove venga a mancare il suo interesse, anche se l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio è stata iniziata – a differenza di quanto disposto dall’art. 1373 c.c. –, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno[9]. La ratio di questa differente disciplina è da individuarsi nell’esigenza di evitare la realizzazione di un’opera non più necessaria o utile, soprattutto alla luce della rilevanza all’interno del contratto di appalto del fattore tempo che – come sopra esplicitato – non è voluto dalle parti bensì è subito dalle stesse[10].  L’art. 1671 c.c. presuppone l’esercizio di una facoltà di recesso direttamente attribuita dalla legge – dunque non di fonte convenzionale – che non richiede la sussistenza di una giusta causa[11] e dunque attribuisce al committente il diritto di recedere dal contratto ad nutum, ossia senza dover addurre alcuna giustificazione. È evidente, dunque, la differenza di tale disciplina con il recesso unilaterale ex art. 1373 c.c. che presuppone un patto espresso tale da attribuire al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che sia iniziata l’esecuzione e che, qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, ha effetto solo quando la prestazione è eseguita.

L’esercizio del diritto di recesso del committente nel contratto di appalto opera invece senza essere subordinato al pagamento di un indennizzo e può essere giustificato da qualsiasi ragione che induca il committente a porre fine al rapporto: semplice ripensamento, sfiducia nei confronti dell’appaltatore, perdita di convenienza del contratto, puro capriccio o, addirittura, inadempimento dell’appaltatore. Se il committente recede perché ha rilevato degli inadempimenti da parte dell’appaltatore, è opportuno sottolineare che, in tale ipotesi il contratto si scioglie per l’iniziativa unilaterale del committente e resta superflua ogni indagine sull’importanza o sulla gravità dell’inadempimento – a differenza di quanto accade quando si chiede la risoluzione ex art. 1453 c.c. –, ben potendo pertanto anche trattarsi di un inadempimento di scarsissima rilevanza[12]. L’indagine sull’inadempimento sarà, invece, rilevante “solo se il committente abbia chiesto anche il risarcimento del danno per l’inadempimento verificatosi già al momento del recesso”[13]. Si ritiene però che al committente che decide di recedere è proibito domandare la risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore[14]; così come il committente che domanda la risoluzione del contratto non può a sua volta invocare il recesso[15].

La Corte di Cassazione ha inoltre più volte affermato che “nessun elemento di diritto positivo consente di ritenere che tale diritto sia circoscritto alla sola ipotesi che il rapporto si svolga regolarmente; perché, anzi, l’ampiezza della formulazione della norma posta dall’art. 1671 c.c. è tale da autorizzare ad affermare che il recesso possa essere dal committente esercitato per qualsiasi ragione che lo induca a porre fine al rapporto, poiché, da un canto, non è configurabile un diritto dell’appaltatore a proseguire nell’esecuzione dell’opera, avendo, egli, diritto solo all’indennizzo previsto da detta norma, dall’altro il compimento dell’opera – risponde esclusivamente all’interesse del committente”[16]. Sulla base di ciò è ormai pacifico che, ai fini del recesso di cui all’art. 1671 c.c. non è richiesta alcuna condizione e dunque il committente può recedere anche in situazioni in cui egli stesso sia inadempiente, atteso altresì che “le conseguenze indennitarie poste a suo carico dall’art. 1671 cod. civ. sono riconducibili, quanto ad estensione, a quelle risarcitorie derivanti dall’inadempimento del committente medesimo”[17]. Si potrebbe però fondatamente ritenere che, a stregua di buona fede di cui all’art. 1375 c.c., il committente inadempiente non possa recedere quando l’appaltatore, prevenendolo, abbia già agito nei suoi confronti domandando, se non l’esecuzione almeno la risoluzione del contratto[18].

3. Il recesso del committente quale diritto potestativo

Occorre inoltre sottolineare che nel contratto di appalto – sia pubblico che privato – il recesso ad nutum del committente “rappresenta l’esercizio di un diritto potestativo riservato alla libera determinazione del recedente e sottratto al controllo di terzi e dell’appaltatore, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato, anche se consistenti nel venir meno dei presupposti dell’appalto”[19].  Nulla può fare, infatti, il destinatario per evitare gli effetti del negozio unilaterale de quo. Non si può configurare un diritto dell’appaltatore a continuare l’esecuzione dell’opera, essendo quest’ultima volta al soddisfacimento dell’interesse esclusivo del committente (e non dell’appaltatore, il cui interesse giuridicamente protetto è, invece, rivolto al conseguimento del corrispettivo)[20]. Pertanto, nel caso in cui il committente eserciti il suo diritto di recesso di cui all’art. 1671 c.c., l’appaltatore non ha la possibilità di ricorrere a un provvedimento di urgenza, ex art. 700 c.p.c., con cui ottenere dal giudice l’imposizione della prosecuzione del contratto[21].

4. La rilevanza dell’intuitus personae

In tema di differenze rispetto alla disciplina generale, è utile notare che, mentre la norma di cui all’art. 1373 c.c. è riservata ad ambedue le parti contrattuali, la disciplina speciale di cui all’art. 1671 c.c. è applicabile al solo committente.

Tale norma, per come è stata nel tempo interpretata e nonostante alcuni interventi correttivi della giurisprudenza, è infatti eccezionalmente di favore per il committente; essa trova la sua giustificazione nella rilevanza dell’elemento soggettivo nei contratti di appalto e nella fiducia riposta dal committente nelle capacità imprenditoriali dell’appaltatore. Si tratta del cd. intuitus personae che ha da sempre avuto un ruolo rilevante nei contratti di locatio operis da cui, è noto, il contratto di appalto deriva e per i quali la legge considera meritevole di protezione l’interesse del creditore (nel contratto di appalto, il committente) a uno ius poenitendi[22]  – ossia, ad un diritto di pentirsi –  qualora circostanze sopravvenute abbiano determinato il venir meno dell’equilibrio iniziale, in termini di fiducia nei confronti dell’appaltatore o di utilità stessa dell’opera e del servizio[23]. Il committente ha infatti la facoltà di recedere con un risparmio del maggior costo costituito dalle spese, ottenendo l’affrancamento da un contratto non più interessante o da una controparte nei confronti della quale non ripone più fiducia, riacquistando da subito e pleno iure la facoltà di fare eseguire ad altri l’opera o di eseguirla direttamente.

Non è mancato però chi ha ritenuto che “non è agevole trovare una ragione giustificativa del privilegio concesso al committente, che è passata dal codice abrogato – nel vigore del quale aveva dato luogo a tante discussioni – al codice vigente, più per forza d’inerzia che a ragion veduta”[24]. Ciò sulla base della considerazione, sviluppata da parte di autorevole dottrina, secondo cui l’intuitus personae non è un requisito indefettibile per la qualificazione del contratto d’appalto, sia per la natura imprenditoriale di grandi dimensioni dell’attività dell’appaltatore (che negli anni ha fatto perdere rilevanza alla persona dell’appaltatore stessa), sia per il dato normativo per cui, nella previsione della morte dell’appaltatore, la considerazione della sua persona rileva solo eccezionalmente, come causa di scioglimento del rapporto, quando ha costituito motivo determinante del contratto[25]. Ad ogni modo, il favor di questa disciplina nei confronti del committente è bilanciato dalle conseguenze economiche di maggior rigore a suo carico che lo obbligano a rimborsare all’appaltatore non solo i lavori eseguiti, ma anche le spese sostenute e i lavori non eseguiti – e non di pagare un semplice corrispettivo, se pattuito, come prevede il co. 3 dell’art. 1373 c.c.

5. Esercizio del diritto di recesso

L’art. 1671 c.c. non prescrive nulla riguardo le modalità di comunicazione del recesso del committente, si tratta pertanto di un negozio unilaterale a forma libera: il recesso può essere comunicato per iscritto o in forma orale[26].

Autorevole dottrina richiede una manifestazione espressa della volontà del committente di recedere, essendo la dichiarazione di revoca un negozio unilaterale recettizio, con la conseguenza di ritenere un recesso tacito “giuridicamente irrilevante per mancanza di comunicazione all’appaltatore”[27]. Tuttavia, la giurisprudenza[28] pare ammettere la facoltà di recedere per facta concludentia, purché la dichiarazione implicita sia non equivoca, come nell’ipotesi in cui il committente ordini all’appaltatore la sospensione dei lavori in corso e lui stesso li prosegua direttamente.[29]

La dottrina maggioritaria[30] non ritiene necessario che la dichiarazione di recesso sia anticipata da un preavviso, poiché le conseguenze pregiudizievoli per l’appaltatore sono compensate dall’indennizzo imposto al committente e poiché esso costituirebbe una limitazione indebita all’esercizio del diritto in esame. È fatta salva la possibilità per le parti di prevedere contrattualmente eventuali modalità di esercizio del recesso tra cui la forma scritta e l’obbligo di preavviso[31]. Meritevole di menzione è la decisione della Corte di Cassazione[32] che in un caso di appalto d’opera a tempo indeterminato ha ritenuto doversi applicare la disciplina posta dall’art. 1569 c.c. – richiamata per l’appalto di servizi – che prevede l’obbligo di un congruo preavviso.

6. Gli effetti del recesso del committente

Il negozio del recesso di cui all’art. 1671 c.c. esplica i suoi effetti ex nunc, “cioè dal momento in cui il recesso stesso diviene operativo, impedendo che si formino nuovi rapporti per il futuro e lasciando integri quelli che si sono compiuti”[33]. Il fondamento di questa efficacia non retroattiva si trova nella natura del recesso di essere manifestazione unilaterale di volontà costitutiva dell’effetto, creatrice di una nuova situazione giuridica che estingue il rapporto negoziale. Dunque, la nuova realtà può prendere vigore solo dal momento in cui la volontà stessa si manifesta o diviene efficace[34]. Ad ogni modo, poiché il recesso ha come finalità quella di accordare al committente la possibilità di impedire l’ultimazione dell’opera, è ritenuta esclusa la possibilità di esercitare tale facoltà dopo l’ultimazione dell’opera e prima dell’accettazione. Questo perché, anche nei casi in cui non è ancora intervenuta l’accettazione, non ha più senso parlare di recesso in quanto il committente è ormai tenuto a pagare l’intera opera al prezzo contrattuale[35].

A norma dell’art. 1671 c.c., a seguito del recesso, non spetta all’appaltatore un diritto di ritenzione dell’opera eseguita[36]: per tale ragione, venuto meno lo ius detentionis dell’appaltatore, il diritto potestativo del committente ad ottenere la restituzione del cantiere può addirittura essere tutelata in via di urgenza facendosi ricorso al sequestro giudiziale del bene o ad un provvedimento atipico ai sensi dell’art. 700 c.p.c.[37].

Inoltre, il recesso è irrevocabile: una ripresa dei lavori da parte dell’appaltatore potrebbe logicamente avvenire solo se convenuta con un nuovo appalto. In realtà, in dottrina, c’è altresì chi sembra propendere per la revocabilità almeno “fin tanto che l’appaltatore non abbia in alcun modo dimostrato di gradire lo scioglimento del contratto, regolandosi in conformità”, per esempio, sospendendo i lavori. Peraltro, secondo tale orientamento, l’appaltatore potrebbe consentire di riprendere l’esecuzione dei lavori come se nulla fosse stato[38].

Non vi sono dubbi poi sul fatto che, per ciò che concerne la natura delle conseguenze derivanti dall’esercizio del potere di recesso in capo al committente, si può osservare che l’effetto è semplicemente obbligatorio, restando limitato alle parti e non toccando mai diritti dei terzi. Questo è sicuramente uno dei caratteri che distingue il recesso da altri istituti del pari estintivi del rapporto negoziale, aventi efficacia reale[39].

 

 

 

 

 


[1] V. Ruoppo, Il contratto, in G. Iudica, P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2011, 541.
[2] F. Roselli, Il recesso dal contratto, in A. Checchini, M. Costanza, M. Franzoni, A. Gentili, F. Roselli, G. Vettori, Effetti del contratto, Torino, 2002, 686.
[3] In tal senso, U. Lorizio, Il contratto di appalto, Padova, 1939, 142 ss.; G. Osti, Voce “contratto [concetto, distinzioni], in Nuovo dig. it.,, IV, Torino, 1938, 67.
[4] E. Lucchini Guastalla, Il contratto e il fatto illecito, Milano, 2016, 137.
[5] D. Rubino, G. Iudica, Appalto, in F. Galgano (a cura di), Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca, Bologna, 2007, 198.
[6] D. Rubino, G. Iudica, Appalto, in F. Galgano (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja Branca, Bologna – Roma, 2007, 198.
[7] A. Di Majo, Recesso unilaterale e principio di esecuzione, in Riv. dir. comm., 1963, II, 116; C. M. Bianca, Il contratto, Milano, 2000, 742.
[8] F. M. Bandiera, L’appalto come contratto a esecuzione prolungata, in A. Luminoso (a cura di), Codice dell’appalto privato, Milano, 2016, 320.
[9] V. Mangini, M. Iacuaniello Bruggi, Il contratto di appalto, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale fondata da W. Bigiavi, Torino, 1997, 479-480.
[10] R. Panetta, Il contratto di appalto, in E. Lucchini Guastalla (diretta da), Collana dei Contratti, Torino, 2016, 21.
[11] C. Giannattasio, L’appalto, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1967, 300 ss.
[12] Cfr. Trib. Roma, 18 settembre 2001 in Corriere giuridico, 2001, 161, nota Filograna; Cass. civ., Sez. II, 13 luglio 1998, n.6814; Cass. civ., Sez. II, 29 luglio 1983, n. 5237.
[13] Cass. civ., Sez. II, 29 luglio 2003, n. 11642; Cass. civ., Sez. II, 30 marzo 1985, n. 2236.
[14] Cass. civ., Sez. II, 29 luglio 1983, n. 5237.
[15] Cass. civ. Sez. II, 5 settembre 1994, n. 7649.
[16] Cass. civ., Sez. II, 29 luglio 2003, n. 11642. Orientamento confermato da Cass. civ., Sez. I, 4 settembre 2012, n. 14781.
[17] Cass. civ., Sez. II, 24 agosto 1981, n. 4987.
[18] A. Magazzù, Il recesso del committente dall’appalto, in Giust. civ., fasc.12, 2009, 455 ss.
[19] Cass. civ., Sez. III, 7 agosto 1993, n. 8565. V. anche Cass.  civ., SSUU, 10 febbraio 1992, n. 1458.
[20] T. Montecchiari, I negozi unilaterali a contenuto negativo, Milano, 1996, 25; D. Callegari, Il recesso unilaterale dal contratto, Torino, 1939, 208; L. Cariota Ferrara, I negozi sul patrimonio altrui, Padova, 1936, 32.
[21] G. Musolino, Il recesso nell’appalto. Dalla disciplina generale nel codice civile alla disciplina speciale del riformato codice degli appalti pubblici, in Rivista trimestrale degli appalti, 2017, 528.
[22] Circa l’importanza dell’intuitus personae ai fini della giustificazione del diritto di recesso nell’appalto, si esprime già L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Milano, 2003, 821.
[23] E. Filigrana, Recesso ad nutum e limite della buona fede nel contratto d’appalto, in Corr. Giuridico, 2001, 12, 1614.
[24] C. Giannattasio, L’appalto, op. cit, 282.
[25] C. Giannattasio, L’appalto, op. cit., 282; G. Iudica, Il contratto di appalto, in N. Lipari e P. Rescigno (diretto da), Diritto civile, III, Milano 2009, 300 ss.
[26] Cass. civ., Sez. II, 6 giugno 2003, n. 9077.
[27] D. Rubino, L’appalto, con note di E. Moscati, in Tratt. dir. civ. Vassalli, VII, 3, Torino, 1980, 83.
[28] Cass. civ., Sez. II, 10 febbraio 1987, n. 1411; Cass. civ., Sez. I, 26 ottobre 2009, n. 22616.
[29] V. Mangini, M. Iacuaniello Bruggi, Il contratto di appalto, op.cit., 485,486.
[30]O. Cagnasso, Il contratto di appalto, in Tratt. Galgano, XVI, Padova, 1991; D. Rubino, G. Iudica, Appalto, op. cit., 500; D. Rubino, L’appalto, op. cit., 830; C. Giannattasio, L’appalto, op.cit., 303.
[31] Cass. civ., 14 giugno 1972, n. 1870.
[32] Cass. civ., Sez. II, 21 maggio 1983, n. 3530.
[33] G. Musolino, Il recesso nell’appalto. Dalla disciplina generale nel codice civile alla disciplina speciale del riformato codice degli appalti pubblici, op. cit., 527. Contra, ma isolatamente, G. Oppo, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, 246: salvo il risarcimento dovuto all’appaltatore «il contratto cade per intero, ex tunc, non ex nunc».
[34] In materia, O. Cagnasso, Appalto nel diritto privato, Torino, 1987, 175; D. Callegari, Il recesso unilaterale dal contratto, op. cit., 272.
[35] D. Rubino, G. Iudica, Appalto, op. cit., 500 ss; ma anche C. Giannattasio, L’appalto, op. cit., 284.
[36] Il diritto di ritenzione sancito dall’art.1152 c.c., essendo un mezzo di autotutela di natura eccezionale, non è applicabile in via di analogica: così Cass. civ., Sez. II, 16 novembre 1984, n. 5828; G. Musolino, Il recesso, in G. Musolino (diretto da), L’appalto pubblico e privato, Torino, 2002, 327 e 335.
[37] Da ultimo, Trib. Pescara, 11 gennaio 2008.
[38] C. Giannattasio, L’appalto, op. cit., 290 ss.
[39] D. Callegari, Il recesso unilaterale dal contratto, op. cit., 272.

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Alessandra Ruggiero

Laureata in Giurisprudenza presso l’Università Commerciale “Luigi Bocconi” con votazione 110/110 e Lode. Attualmente svolge il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Corte d’Appello di Milano e frequenta la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi di Pavia e l’Università Bocconi.

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