Il rivoluzionario orientamento della Cassazione in materia di assegno divorzile

Il rivoluzionario orientamento della Cassazione in materia di assegno divorzile

È ormai noto come fino a qualche anno fa, in sede di divorzio, venisse riconosciuto a favore dell’ex-coniuge, che si trovasse in una condizione economica svantaggiosa, un contributo definito assegno divorzile la cui finalità consisteva nel mantenimento del precedente stile e tenore di vita usufruito nel corso dell’unione matrimoniale. Tale criterio del “tenore di vita”, goduto in costanza di matrimonio, ha subito nel corso del tempo un importante evoluzione, che al giorno d’oggi ha determinato l’instaurarsi di un orientamento giurisprudenziale improntato a tutelare non solo l’avente diritto all’assegno divorzile ma anche il coniuge che risulti obbligato al pagamento di tale contributo.

Nel 2018 la Corte Suprema di Cassazione ha definito i nuovi criteri e parametri che attualmente fungono da perno ai fini della determinazione dell’an e del quantum dell’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge.

La prima modifica in tale ambito, disciplinato all’interno dell’art.5 della L.898/1970, è stata apportata da una fondamentale sentenza della Suprema Corte di Cassazione (sez. I civile, sentenza del 10/05/2017 n° 11504), che è stata riconosciuta dalla giurisprudenza maggioritaria come innovativa in quanto ha slegato il diritto al riconoscimento a favore dell’ex coniuge dell’assegno divorzile dal parametro del “tenore di vita” sussistente durante l’unione matrimoniale, ormai superato nella società odierna. La sentenza recita infatti che:

Il giudice del divorzio, in relazione alla statuizione sull’assegno di mantenimento, dovrà informarsi al “principio di autoresponsabilità” economica di ciascuno degli ex coniugi, riferendosi soltanto alla loro indipendenza o autosufficienza economica. L’esclusivo parametro per il giudizio d’inadeguatezza dei redditi o dell’impossibilità oggettiva di procurarseli è quello dell’indipendenza economica del richiedente. L’autosufficienza può essere desunta dal possesso di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, della disponibilità di una casa di abitazione e della capacità e possibilità effettive di lavoro personale.

Successivamente alla sua pubblicazione, si è provveduto al riconoscimento dell’assegno divorzile al coniuge che “per motivi oggettivi e mancanza di mezzi adeguati” risultasse privo di adatte e sufficienti risorse economiche, necessarie al fine del godimento di uno stile di vita dignitoso. L’onere della prova ricade in capo al coniuge richiedente l’assegno divorzile, tenuto a dimostrare non solo l’assenza di risorse reddituali e patrimoniali adeguate al godimento di un dignitoso stile di vita ma anche l’impossibilità di conseguirle per motivi di natura oggettiva ( es. età del richiedente; limitatezza o assenza delle sue capacità processuali e reddituali; totale mancanza di esperienze professionali ecc.). Solo a seguito di tale verifica si provvede alla determinazione del quantum debeatur, tenendo in considerazione una molteplicità di fattori e parametri delineati con maggiore precisione dalla sentenza n.18287/2018.

Tale giurisprudenza si è consolidata nella successiva sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione del 11 luglio 2018 (sent. 18287/2018). In tale occasione la Suprema Corte ha provveduto a delineare, in maniera chiara e precisa, le finalità che si intendono perseguire con il riconoscimento a favore dell’ex coniuge dell’assegno divorzile, delineato come condizione necessaria al fine del godimento di una vita dignitosa. Tale contributo mira alla realizzazione di una funzione perequativa e riequilibratrice dovendo garantire all’avente diritto uno stile e tenore di vita dignitoso e contestualmente riconoscere e valorizzare il ruolo svolto all’interno del nucleo familiare, oltre alle opportunità professionali sacrificate ai fini della cura della casa e della famiglia.

Tale provvedimento ha portato con sé un’importante innovazione dal punto di vista sia della individuazione del soggetto titolare del diritto all’assegno divorzile sia della sua determinazione quantitativa. È stato totalmente abolito e superato il criterio del godimento del medesimo tenore di vita posseduto nel corso dell’unione coniugale, che è stato sostituito dalla necessità di garantire all’ex coniuge, che si trovi nell’impossibilità di procurarsi per motivi oggettivi un reddito adeguato al soddisfacimento delle proprie esigenze di vita, un contributo tale da permettergli di sostenersi in maniera autonoma e autosufficiente. Per quanto concerne il quantum debeatur, esso è stato ancorato ad una pluralità di variabili, che devono essere necessariamente considerate e valutate da parte dell’organo giurisdizionale in riferimento al caso concreto, quali: contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex coniuge, la durata del matrimonio, l’età dell’avente diritto, la sua possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro e la eventuale rinuncia a opportunità professionali (qualora avvenuta sulla base di un accordo tra i coniugi).

Si è in tal modo voluto modificare in maniera drastica la funzione storicamente svolta dall’assegno divorzile; infatti si è, da una parte, valorizzata l’importanza del lavoro casalingo, della cura della casa e delle necessità della famiglia, qualora siano il frutto di una decisione presa di comune accordo tra i coniugi in costanza di matrimonio; d’altra parte il diritto all’assegno divorzile non dipende più dal mero possesso in capo al richiedente di un reddito inferiore a quello dell’ex-coniuge, essendo necessario che la sua situazione reddituale e patrimoniale sia tale da impedirgli il soddisfacimento autonomo delle proprie basilari esigenze di vita.  Tale impossibilità non può inoltre dipendere da motivi di natura soggettiva, che si verificano per esempio nel caso in cui il coniuge richiedente non si sia attivato ai fini del reperimento di una occupazione lavorativa a seguito dello scioglimento del matrimonio. In conformità con tali considerazioni, è possibile sostenere che il coniuge richiedente non avrà diritto a tale contributo qualora, seppur usufruisca di un reddito inferiore rispetto a quello detenuto da controparte, disponga di un reddito sufficiente ed adeguato al proprio sostentamento.


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