Il sindacato giurisdizionale sull’attività amministrativa

Il sindacato giurisdizionale sull’attività amministrativa

La discrezionalità della Pubblica Amministrazione è il potere di scegliere nell’ambito dell’agere amministrativo l’an, il quid, il quando e/o il quomodo dell’esercizio del potere nel rispetto e nei limiti degli spazi di libertà e scelta lasciati dalla norma attributiva del potere stesso.

Di converso la discrezionalità del giudice riguarda l’ampiezza dei suoi poteri e del suo sindacato in relazione a provvedimenti, atti e comportamenti della PA che siano estrinsecazione del potere amministrativo. Il giudice nell’esercizio delle sue funzioni è soggetto soltanto alla legge ai sensi dell’art. 111 Cost. e tendenzialmente è libero di giudicare in base al suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c., valevole anche per il processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’ art. 39 del c.p.a..

La questione problematica relativa all’ampiezza del sindacato e della discrezionalità del giudice in merito all’attività della PA sorge in ragione della circostanza che qui, a differenza del giudizio penale e di quello civile, il giudizio verte sull’esercizio di un potere, quello amministrativo, nonostante il nostro ordinamento sia improntato al principio di separazione dei poteri.

Il principio in parola d’altro canto va contemperato con altri principi di altrettanto rilievo costituzionale, si pensi in via esemplificativa alla pienezza ed effettività della tutela dei diritti e degli interessi legittimi ex artt. 24, 113 Cost. e 6 CEDU, alla necessaria tutela delle prerogative fondamentali della persona, al buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost..

Il tema della discrezionalità intreccia e non va confuso con quello del merito, a proposito del quale è possibile distinguere tra merito amministrativo e giurisdizionale.

Il merito amministrativo che come la discrezionalità attiene all’esercizio del potere a monte, se ne differenzia nettamente perché non è sindacabile, riguarda le valutazioni in concreto perpetrate dalla PA, l’opportunità del provvedimento stesso. Se si dovesse immaginare la struttura dell’attività amministrativa come formata da cerchi concentrici, il merito ne costituirebbe il nocciolo duro e insindacabile, mentre rispetto all’attività discrezionale e a quella vincolata, il giudice vanta poteri via via più incisivi.

Di converso la giurisdizione estesa al merito attiene ai giudizi rispetto ai quali il sindacato del giudice non si limita al controllo di legittimità, ma è esteso alle valutazioni concrete, al merito appunto. Nella giurisdizione ordinaria, il sindacato di merito è la regola, è consentito sia in primo che in secondo grado e soltanto il giudizio in Cassazione è di legittimità. Diverso è per la giurisdizione amministrativa. L’art. 7 del c.p.a. al comma terzo specifica che essa si articola in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito. Il comma sesto della norma in questione evidenzia, inoltre, che la giurisdizione estesa al merito riguarda le controversie di cui all’art. 134 c.p.a. e che in tali giudizi il giudice può sostituirsi alla PA. Le ipotesi di giurisdizione di merito sono dunque eccezionali e di stretta interpretazione, in particolare riguardano i giudizi di ottemperanza, la materia elettorale, le sanzioni pecuniarie, le contestazioni sui confini territoriali, le controversie circa il diniego di rilascio del nulla osta cinematografico.

L’ampiezza della discrezionalità della Pubblica Amministrazione e la sua stessa sussistenza, dipendono dalla portata della norma attributiva del potere in questione e dagli scopi che essa intende perseguire. L’attività amministrativa è improntata, infatti, al principio di legalità, ricavabile dall’art. 97 della Cost. che seppure ne sancisce la portata in riferimento all’organizzazione dei pubblici uffici, è pacificamente riferibile a tutta l’attività della PA. D’altro canto l’attività amministrativa, data la sua natura autoritativa, è atta a incidere unilateralmente e coattivamente sulla sfera soggettiva dei destinatari e stando ai principi costituzionali di cui agli artt. da 13- 19 e 21Cost., le libertà fondamentali non possono subire limitazioni se non in base alla legge e ai sensi dell’art. 23 Cost. nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Inoltre, l’art. 1 della normativa sul procedimento amministrativo di cui alla l. 241/1990 sancisce il principio per cui l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è esercitata nel rispetto della legge e dei principi derivanti dall’ordinamento comunitario.

La ratio della previsione del principio di legalità è dunque quella di garantire la libertà individuale ex art. 13 Cost. e le libertà fondamentali della persona in generale dall’ingerenza dei poteri, sovente molto penetranti, della PA.

La Pubblica amministrazione, infatti, agisce in posizione non paritetica rispetto ai singoli ed inoltre i provvedimenti amministrativi sono dotati di una particolare efficacia esecutiva e coattiva. Ai sensi dell’art. 21-quater della l. 241/1990 i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente e l’efficacia o l’esecuzione può essere sospesa per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, salvo poi i poteri di annullamento e revoca in autotutela. Le Pubbliche amministrazioni possono pure imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti nei casi e modi stabiliti dalla legge, ma qualora l’interessato non ottemperi, le PA previa diffida possono provvedere all’esecuzione coattiva.

Logico corollario della vigenza del principio di legalità sono la nominatività e la tipicità dei provvedimenti e dell’attività amministrativa. Tendenzialmente la legge disciplina minuziosamente i presupposti per l’esercizio del potere, le modalità attraverso il giusto procedimento, le tipologie di atti e provvedimenti che possono essere adottati ed il loro contenuto.

Anche se i provvedimenti amministrativi sono volti alla disciplina di rapporti o situazioni concrete, ma sovente rivolti ad un’ampia platea di destinatari e queste peculiarità valgono a distinguerli dagli atti normativi, che sono generali e astratti, rivolti a destinatari indeterminati e indeterminabili sia ex ante che ex post e sono suscettibili di essere applicati infinite volte, può accadere che data la complessità della realtà fenomenica o la delicatezza e l’importanza degli interessi incisi, la norma attributiva del potere non sia totalizzante, bensì lasci una più o meno ampia libertà di scelta e di valutazione alla PA deputata al suo esercizio.

Dunque è in base all’analisi e alla portata della norma attributiva del potere e all’indagine circa la natura pubblicistica o privatistica degli interessi che essa mira a tutelare che è possibile distinguere tra attività discrezionale e vincolata della pubblica amministrazione.

Se la norma è totalizzante tale da conferire alla PA un mero potere di accertamento, l’attività avrà natura vincolata. Laddove invece la norma contenga elementi elastici suscettibili di eterointegrazione, si tratterà di potere discrezionale.

Rilevanti le conseguenze derivanti dall’essere l’attività discrezionale o vincolata, in primis in termini di ampiezza del sindacato giurisdizionale, in passato parte della giurisprudenza ne faceva addirittura dipendere il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario ed amministrativo, l’art. 21-octies coma secondo della legge n. 241/1990 sui vizi ininfluenti fa riferimento alla sola attività discrezionale, l’art. 31 co. 3 del c.p.a. sui giudizi avverso il silenzio, consente al giudice di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa, ma limitatamente all’attività vincolata della PA.

Quando dunque la norma attributiva del potere è totalizzante, essa conferisce un mero potere di accertamento per cui acclarata la sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma, la PA deve adottare il provvedimento ivi previsto e col contenuto ivi tipizzato.

A ben vedere l’attività vincolata non pone particolari problemi in termini di sindacato giurisdizionale. La norma non lascia spazio ad alcuna valutazione, per cui al giudice è deputato il compito di vagliare la legittimità sostanziale del provvedimento. Si fa riferimento alla legittimità sostanziale e non a quella meramente formale, dal momento che è mutata l’essenza stessa del giudizio amministrativo, non più incentrato sull’atto, ma sul rapporto, prova ne è stata la codificazione del principio di cui all’articolo. 21 octies comma secondo della l. 241/1990 per cui i vizi ininfluenti non inficiano l’atto.

Allorquando, invece, la norma attributiva del potere contenga elementi elastici, rinvii e lacune che necessitano di essere colmati, vuol dire che è rimesso alla PA il compito di integrare la norma astratta con regole concrete da essa stessa formulate o comunque scelte, in tali evenienze viene in rilievo l’attività di natura discrezionale.

Tradizionalmente si usa distinguere tra discrezionalità amministrativa in senso stretto e discrezionalità tecnica. La prima mira a colmare lo iato sussistente tra la norma e il provvedimento. La PA nel farlo, pur avendo una certa discrezionalità non è totalmente libera, ma la sua attività è comunque preordinata alla cura e al perseguimento di interessi pubblici. La predetta peculiarità vale a distinguerla dall’attività dei privati, totalmente improntata al perseguimento di interessi personali ed egoistici e dagli atti politici, liberi per quanto attiene alle finalità perseguite.

Mentre dunque rispetto all’attività vincolata è la legge a monte a contemperare e conciliare gli interessi contrapposti sui quali il potere finirà per incidere, nelle ipotesi di attività discrezionale, tale valutazione è rimessa alla PA.

La discrezionalità tecnica mira a colmare lo iato sussistente tra norma e fatto,  nell’esercizio dell’attività discrezionale la PA deve accertare i presupposti richiesti dalla norma, facendo ricorso a scienze e parametri non esatti e opinabili.

Sono pure configurabili ipotesi di attività connotate da discrezionalità mista, sia amministrativa che tecnica.

È proprio in relazione all’attività discrezionale che si è posto con particolare rigore il problema del sindacato giurisdizionale. Per il principio di separazione dei poteri, il giudice non può sostituire alle valutazioni della PA le proprie, ingerendosi nell’esercizio del potere amministrativo. Difatti la giurisdizione amministrativa è tradizionalmente di legittimità e soltanto in limitate ipotesi previste dalla legge, la cognizione è estesa la merito. Ciononostante è necessario approntare strumenti di tutela a presidio dei diritti e degli interessi legittimi lesi dall’attività della pubblica amministrazione. Lo impongono gli artt. 24 Cost. e 6 CEDU sulla pienezza e l’effettività della tutela. L’art. 113 Cost. inoltre sancisce il principio per cui è sempre ammessa la tutela avverso gli atti della PA, senza fare distinguo alcuno tra attività discrezionale o vincolata.

Non senza poche oscillazioni la giurisprudenza maggioritaria è giunta  a sancire l’assunto per cui rispetto all’attività connotata da discrezionalità amministrativa, il sindacato del giudice è estrinseco e non sostitutivo, mentre  nelle ipotesi di discrezionalità tecnica, il sindacato è intrinseco e non sostitutivo.

Quando si distingue tra sindacato intrinseco o estrinseco, si suole fare riferimento all’ampiezza del sindacato del giudice, se cioè egli debba limitarsi a controllare la correttezza, la logicità, o la ragionevolezza del procedimento seguito dalla PA oppure possa ripetere le valutazioni perpetrate dalla stessa, riapplicando la regola o la valutazione da essa formulate o individuate al fine di colmare gli spazi di scelta e le lacune della norma attributiva del potere.

Quando invece, si fa riferimento al potere sostitutivo, anche detto sindacato debole o forte, si suole distinguere piuttosto il tipo di pronuncia che il giudice può adottare, se cioè egli debba limitarsi a censurare il contegno della PA, annullando per esempio il provvedimento impugnato o accertando la sussistenza dell’obbligo a provvedere oppure possa concedere al privato egli stesso il bene della vita cui aspira.

Dunque il sindacato è estrinseco quando verte sulla discrezionalità amministrativa, mentre è intrinseco nelle ipotesi di discrezionalità tecnica. In entrambi i casi, il giudice tendenzialmente non ha un potere sostitutivo, può solo censurare l’attività o il provvedimento posto in essere dalla PA e rimetterne alla stessa il riesercizio.

Non è una regola assoluta, vi sono ipotesi che nell’ottica della pienezza della tutela, della concentrazione ed economicità dell’attività e della ragionevolezza, suggeriscono di attribuire al giudice il potere di valutare la fondatezza della pretesa azionata dal privato. All’infuori dei casi di attività vincolata, vi sono già a ben vedere delle ipotesi legislativamente previste, in via esemplificativa si pensi all’art. 31 co. 3 del c.p.a. che facoltizza tale giudizio allorquando risulti che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori, alle ipotesi di giurisdizione estesa al merito, in cui il potere sostitutivo è previsto dall’art. 7 c.p.a.. Anche in via pretoria sono state individuate ulteriori ipotesi, si pensi ai casi di manifesta fondatezza o infondatezza della pretesa, rispetto ai quali sarebbe del tutto illogico pretendere il riesercizio del potere.

La questione relativa ai limiti del sindacato giurisdizionale in merito all’attività amministrativa ha assunto pure una rinnovata importanza in considerazione dei recenti approdi della giurisprudenza che ne hanno qualificato il travalicamento alla stregua di un eccesso giurisdizionale sindacabile innanzi alla Cassazione, difatti le sentenze del Consiglio di Stato sono ricorribili ex 111 Cost. soltanto per motivi inerenti la giurisdizione.

In conclusione la nozione di discrezionalità assume connotati differenti a seconda che la si riferisca alla PA o all’attività giurisdizionale. Nel primo caso attiene propriamente alle modalità di esercizio del potere a monte. Nelle ipotesi di attività vincolata alla PA è deputato un potere di accertamento, di converso nelle ipotesi di attività discrezionale essa è chiamata a compiere una valutazione e comparazione tra interessi contrapposti. La discrezionalità è stata tradizionalmente distinta in amministrativa e tecnica, sulla base della considerazione che a ben vedere nelle ipotesi di discrezionalità tecnica, le valutazioni della PA sono comunque controllabili e opinabili e si basano su giudizi di accertamento condotti facendo ricorso a cognizioni tecniche e specialistiche. Tale distinzione ha spinto la giurisprudenza ad ammettere che il sindacato giurisdizionale sulle attività connotate da discrezionalità tecnica possa spingersi a tal punto da essere intrinseco, mentre per l’attività discrezionale è estrinseco, il giudice può sindacare la correttezza e la ragionevolezza del procedimento, ma non procedere egli stesso alla riedizione del processo comparativo. In entrambi i casi tendenzialmente non è consentito un sindacato cd forte e cioè la prerogativa del giudice di sostituirsi alla PA e adottare egli stesso il provvedimento richiesto. È d’uopo comunque  dare atto della possibilità di rinvenire taluni temperamenti al predetto assunto, casi cioè in cui eccezionalmente tale sindacato è ammissibile. E’ d’uopo prendere atto dell’avvenuta evoluzione dalla concezione per cui l’attività della pubblica amministrazione era per sua stessa essenza sempre legittima e mai sindacabile in virtù della concezione autoritativa del potere e in ragione del soggetto da cui promana, all’idea della impugnabilità e di ipotesi di sindacato sempre più incisivo. Questo cambiamento è senz’altro dovuto alla rinnovata rilevanza delle prerogative della persona, frutto anche dell’influenza dell’ordinamento sovranazionale, dell’attenzione alla legittimità e giustizia sostanziale dell’attività amministrativa e non soltanto formale.


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Morena Campana

Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza nell'A.A. 2012/2013 presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma con tesi di Laurea su "PROFILI GIURIDICI E MEDICO LEGALI DELLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA", si è diplomata nel 2015 presso la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel 2016.

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