Il sostegno psicologico per gli operatori sanitari in epoca Covid-19

Il sostegno psicologico per gli operatori sanitari in epoca Covid-19

Sommario: 1. Cos’è il trauma emotivo nell’Operatore sanitario? – 2. Primo Soccorso Psicologico (PSP) – 3. Criticità nella prevenzione e gestione dello stress e della sindrome Burnout nell’emergenza COVID-19

 

Ricorre nuovamente una triste notizia. Il fatto non differisce dagli altri. Il gesto è lo stesso, varia la persona con la sua storia e le sue emozioni. Una Operatrice Socio Sanitaria di 32 anni si toglie la vita impiccandosi nel garage di casa. Lascia marito e due figlie. Dopo aver visto morire i suoi pazienti ed anche molti amici si abbandona a questa decisione. Come lei un altro ragazzo, Operatore Socio Sanitario di 34 anni tenta il suicidio in casa. Lavora in reparto Covid. Grazie al provvidenziale intervento di sua sorella è salvo. Molte righe potrebbero essere dedicate a simili eventi che hanno riguardato la vita e la morte di molte persone.

1. Cos’è il trauma emotivo nell’Operatore sanitario?

Nel senso comune il trauma è definito come un fattore traumatico estremo implicante l’esperienza personale diretta di un evento che causa o può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce all’integrità fisica. Si tratta di un concetto di trauma di causa-effetto che identifica come traumatici esclusivamente gli eventi di tipo fisico collocati in modo preciso nel tempo e nello spazio. Il concetto, così presentato, trascura l’aspetto traumatico che possono avere situazioni di stress costanti, come ad esempio anni di disaccordo, angherie, contatti con sofferenza e morte.

Coniugando invece l’aspetto fisico con quello psichico è possibile definire il trauma come un’esperienza di particolare gravità che compromette il senso di stabilità e continuità fisica o psichica di una persona.

In ogni tipologia di relazione vengono coinvolti, in base al personale vissuto, gli stati emotivi ed affettivi dei singoli individui. Questi stati d’animo possono trasformarsi a volte in traumi emotivi. Nel caso specifico delle relazioni d’aiuto le implicazioni emozionali difficilmente controllabili e non sempre positive possono essere causa di compromissione dell’equilibrio psichico dell’aiutante generando nello stesso una sintomatologia psicosomatica con disturbi comportamentali come la depressione, stanchezza, irritabilità, insonnia, ansia, affaticamento eccessivo, isolamento, variabilità dell’umore durevoli nel tempo e sussistenza di un vero e proprio stato di malattia. Si è descritta dunque una reazione emozionale creata dalla relazione continua con altri esseri umani che si trovano in situazioni problematiche e di sofferenza. L’Operatore sanitario è sottoposto in maniera continuativa a sollecitazioni di tal genere che a volte determinano l’insorgenza di stati emotivi responsabili della diminuzione o perdita dell’equilibrio interiore indispensabile nella performance lavorativa. La relazione d’aiuto è solitamente intesa come un rapporto a senso unico, operatore-paziente, considerando come bisogno da soddisfare soltanto quello appartenente a chi si trova nella condizione di svantaggio (malattia) trascurando le conseguenze emozionali e psicologiche della persona che lo assiste. E’ un tipo di approccio unidirezionale in cui il professionista investito del proprio ruolo tende a dissociarsi dai propri vissuti ed emozioni non accorgendosi che queste si intrecciano con la malattia del proprio assistito. Tale dissociazione, volontaria o involontaria, può condurre a sentimenti di indifferenza, distacco, cinismo, ostilità nei confronti delle persone assistite. Il rischio del verificarsi del trauma emotivo è alto e il suo protrarsi ha dei risvolti psicologici che incidono sulla sfera personale e professionale.

2. Primo Soccorso Psicologico (PSP)

Rivisitando il concetto di relazione d’aiuto intesa non più unicamente come legame a senso unico operatore-paziente, il Primo Soccorso psicologico acquista un ruolo fondamentale ai fini del sostegno psicologico dell’operatore sanitario nello svolgimento della sua attività. L’uso strutturato di tecniche di sostegno psicologico ha lo scopo di rielaborare, in ambito professionale, i vissuti emozionali dell’evento in modo da ridurre lo stress ed impedire che l’accumulo dello stesso, in associazione ad altri fattori negativi, producano un disagio personale che inciderebbe anche in ambito professionale.

Il Primo Soccorso Psicologico ( in inglese Psychological First Aid – PFA) ha la funzione di dare un riscontro immediato e ben strutturato in situazioni considerate emergenziali ed in riferimento al correlato disagio psicologico. E’ uno strumento applicabile in larga scala ma anche in casi singoli nell’ambito di un evento stressante e potenzialmente traumatico. Lo stesso è stato oggetto di raccomandazione da parte di molti gruppi di esperti nazionali e internazionali, come l’Inter Agency Standing committee (IASC) e lo Sphere Project. Il Primo Soccorso Psicologico si pone come alternativa al Debriefing Psicologico. Il Debriefing psicologico è definito come intervento breve che si realizza nei primi giorni successivi ad un evento traumatico; coinvolge un gruppo di persone che hanno vissuto la stessa esperienza e ha lo scopo di favorire il sostegno intragruppo tramite la libera espressione di sentimenti e reazioni emotive collegate all’esperienza vissuta.

Nel 2009, il Gruppo di Sviluppo delle Linee Guida mh GAP dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a seguito di alcune valutazioni ha affermato che il Primo Soccorso Psicologico riveste un ruolo primario per le persone che si trovano in grave difficoltà dopo una recente esposizione ad un evento traumatico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato nel 2011 un Manuale dal titolo Psycological First Aid: Guide for field workers, una testimonianza del fatto che sussiste un’approvazione scientifica ed internazionale in merito alla questione trattata.

Il fattore psicologico rientra nelle gestione delle emergenze nell’ambito del quadro normativo nazionale e gode di una certa rilevanza anche dal punto di vista culturale e operativo. Tuttavia, l’emergenza sanitaria a cui si assiste ha inciso in modo enorme sul carico di lavoro degli operatori sanitari, sulla loro stanchezza fisica e sul loro benessere psicologico aumentando dunque in maniera esponenziale il rischio di sviluppo della sindrome di Burnout. Non raramente i professionisti del settore sanitario sono assegnati a compiti lavorativi senza tenere conto dell’esperienza o dell’età e sottoposti a turni massacranti per mancanza di personale. Tali condizioni fanno si che si producano pericolosi episodi di stress acuto. La continua esposizione alla minaccia di trasmissione dovuta al lavoro in prima linea in concomitanza con altri fattori di cattiva gestione rendono spesso le figure sanitarie delle vittime silenziose.

3. Criticità nella prevenzione e gestione dello stress e della sindrome Burnout nell’emergenza COVID-19

Il termine burnout (in italiano bruciato, esaurito), sta ad indicare uno stato di logorio professionale dell’operatore.

Herbert J. Freudenberger, psicologo statunitense di origine tedesca, fu tra i primi a descrivere i sintomi di esaurimento professionale e a guidare un ampio studio sulla sindrome da burnout.

Il burnout è stato riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e definito come patologia della relazione di aiuto richiedente un intervento tempestivo per evitare di compromettere integralmente la salute psicofisica dei soggetti colpiti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso il burnout nella nuova versione dell’undicesima International Classification of Diseases. I sintomi sono così descritti: esaurimento fisico e mentale, distacco crescente dal proprio lavoro e ridotta efficienza. L’OMS considera il burnout un fenomeno professionale. Si tratta dunque di una psicopatologia del lavoro che influenza il lavoratore. Occorre curare l’organizzazione prima del lavoratore, privilegiando il benessere organizzativo, secondo i più recenti orientamenti della Medicina del Lavoro, e non il prestatore d’opera, come avveniva prima della promulgazione della legge 626/1994.

Secondo la dottrina medica non sussiste una precisa corrispondenza tra stress lavorativo e ambiente lavorativo. Un ambiente lavorativo può risultare stressante per un soggetto e può invece costituire un motivo di crescita professionale per un altro soggetto. Ciò significa che una condizione di stress lavorativo scaturisce dal rapporto soggettivo tra le caratteristiche individuali e il confronto con l’attività lavorativa. In altre parole, a parità di condizioni organizzative ogni operatore reagisce in maniera differente. L’interazione del singolo soggetto con la specificità dell’ambiente determina una risposta più o meno positiva in termini di adattamento.

Premesso ciò, dal punto di vista clinico è fondamentale stabilire la natura della sofferenza, individuarne gli aspetti clinici più significativi e adottare una idonea strategia di trattamento. La sindrome del burnout non si può definire improvvisa e al contempo è insidiosa e di non agevole identificazione. I segni e i sintomi del burnout sono molteplici e richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo con tendenza alla somatizzazione e allo sviluppo di disturbi comportamentali. Sempre secondo la dottrina, ad oggi, le manifestazioni sintomatologiche del burn-ut (laddove assumono una valenza clinica) possono rientrare nell’ambito del disturbo dell’adattamento e del disturbo post-traumatico da stress e più in generale nell’area delle patologie da fattori psico-sociali associate a stress (stress lavoro-correlato).

Come precedentemente sottolineato, in Italia, dal punto di vista normativo negli ultimi anni si è assistito a una profonda rivoluzione culturale che ha permesso di recepire le principali linee di indirizzo europee in tema di tutela del lavoratore, riprese nel decreto in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ( Decreto Legge n. 81/2008). Ex art. 28 del Decreto Legge, l’oggetto di valutazione dei rischi deve riguardare anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato. Questo orientamento risulta essere in linea con l’aggiornamento dell’elenco delle malattie professionali per cui è obbligatoria la denuncia. Ci si riferisce al Decreto 10 giugno 2014 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Gazzetta Ufficiale 212/2014 ove sono stati inseriti tra i nuovi agenti patogeni le disfunzioni dell’organizzazione del lavoro e le malattie ad esse correlate. Nel Gruppo 7 delle Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro le patologie identificate come malattie professionali sono il Disturbo dell’adattamento cronico (con ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta e/o dell’emotività, disturbi somatoformi) e il Disturbo post-traumatico cronico da stress.

Il tema in questione è affrontato in numerosi articoli tratti da riviste internazionali quali ad esempio Health Science Journal, Journal of Social issues, International Journal of Scientific Research. Gli autori degli approfondimenti aventi ad oggetto la sindrome di burnout ribadiscono il concetto di burnout come malattia professionale e la necessità di operare delle valutazioni individuali e di intervenire con le giuste tempistiche e strategie. Essi affermano che “Burnout syndrome is a rising complex phenomenon related to stressful working environment… The most visible impact of burnout is the decrease in employee’s work performance and in the quality of providing service. These vulnerable individuals have lost the meaning of work due to the unable to meet with the work demands. The syndrome is highly associated to excessive absenteeism, inordinate use of sick leave, wish to leave the job and decrease to overall well-being. Burnout syndrome is more frequent in certain specific professionals categories, which demand interaction with people or work with human recipients of services, such as teachers, health, professionals, social workers, policemen, and judges. Apart from work with the public, individuals working in any other environment that involves extreme or hazardous responsibility, precision at the performance of duty, severe consequences, shift work, or tasks and responsibilities not liked, are at a distinct risk for the development of burnout”.

Si legge inoltre che “in a health profession the occurrence of burnout seems to be high due to the demands form patients, superiors and the organization”.

Nell’ambito delle stesse fonti si sostiene che “a working environment which offers motivations, trust, communication, respect, personal and team support may minimize the incidence of burnout syndrome among health professionals…Additionally, enhancing awareness among supervisors about the signs and symptoms of burnout syndrome would be beneficial in order to identify the individuals at risk. Moreover, the insertion of a support-group in daily clinical practice would offer early intervention in the treatment of the syndrome and application of appopriate solutions and copying mechanisms”e che “ Early identification and intervention at the right time may minimize the impact of burnout and assure a quality life”.

In alcuni articoli della rivista Espacios (Venezuela), dedicata alla pubblicazione e diffusione di ricerche da parte di specialisti nei settori della gestione, istruzione e aree correlate, si può trovare uno studio dal titolo “Effect Covid-19: Burnout on nurse” che ha appunto ad oggetto il forte impatto della situazione pandemica sull’attività lavorativa degli infermieri dipendenti di un ospedale.

Da un estratto si legge che “Los resultados mostraron que hubo un agotamiento en los enfermeros cuando atenderion muchos pacientes afectados positivamente por el coronavirus”. I risultati raccolti hanno confermato la tesi.


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