Il tema migranti alla luce della Convezione di Montego Bay e del Trattato di Dublino

Il tema migranti alla luce della Convezione di Montego Bay e del Trattato di Dublino

Colonialismo o non colonialismo? Noi coloni e loro barboni.

Qualcuno parla di post – colonialismo , ma gli accordi di cooperazione e riammissione  tra Ue e Paesi terzi  contengono tutti gli elementi per far pensare che lo scambio coloniale non si sia mai concluso.

Nel 2016, l’Europa ha stanziato circa 1,8 miliardi di euro in un “Fondo fiduciario di emergenza per la stabilità e per affrontare le cause profonde della migrazione illegale in Africa”.

Ad oggi si aggiungono i soldi stanziati dalla Commissione europea che ha  proposto un considerevole aumento dei finanziamenti per il rafforzamento delle frontiere e la migrazione. Per il prossimo bilancio a lungo termine dell’UE (2021-2027) la Commissione propone quasi di triplicare i finanziamenti per la migrazione e la gestione delle frontiere portandoli a 34,9 miliardi di euro, rispetto ai 13 miliardi del periodo precedente.

A questi soldi si aggiungono quelli dei singoli paesi negli accordi bilaterali.

A chi va questo denaro? Una parte ai Paesi ospitanti ed in parte tornano al mittente tramite commesse alle aziende europee. La politica degli accordi di riammissione inizia con le prime migrazioni.

Di seguito gli accordi di riammissione stipulati dall’Italia: Albania 2008 – Implementazione di accordi europei; Algeria  2009 – Accordi di polizia; Libia 2017 –  Memorandum d’intesa; Marocco  1998 – Accordo; Tunisia  2017 –  Accordo quadro; Egitto –  Accordo di polizia firmato il 18/06/2000 ed entrato in vigore 09/01/2007; Turchia 2001 –  Accordi di polizia; Ghana  2010 – Memorandum d’intesa; Niger    2010 – Memorandum d’intesa; Nigeria 2011 – Memorandum d’intesa; Senegal  2010  – Memorandum d’intesa; Sudan   2016 – Memorandum d’intesa; Gambia   2010 – Accordi tra polizie; India      2000 – Accordi tra polizie; Pakistan 2000  – Accordo; Filippine  2004  – Accordo.

La lista è lunga e forse poco coerente con la chiusura dei porti tanto auspicata e soprattutto poco coerente con una normativa ratificata, voluta e firmata anche dal nostro Paese.

Se non si può assistere inermi alla tratta di migranti ed a un flusso sconfinato di uomini, donne e bambini, altrettanto non si può rimanere in silenzio dinnanzi alla mancanza di applicazione di regole di diritto interno e di diritto internazionale.

In tema migranti non si può non menzionare, infatti,  il c.d.  “sistema di Dublino”,  istituito dalla omonima Convenzione di Dublino, firmata il 15 giugno 1990 ed  entrato in vigore il successivo 1 settembre 1997 per i primi dodici stati firmatari (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito), il 1 ottobre 1997 per Austria e Svezia e il 1 gennaio 1998 per la Finlandia.

A questo è seguito un nuovo regolamento (2003/343/CE), conosciuto come Dublino II, quest’ultimo ha sostituito la precedente convenzione  ed è stato adottato da tutti gli Stati membri dell’UE, con  l’eccezione della Danimarca, che ha esteso con un accordo successivo l’applicazione del regolamento anche all’interno del proprio territorio solo nel 2006.

Nel dicembre 2008 è stato proposto dalla Commissione europea una modifica al regolamento approvata solo nel 2013 con il REG. 2013/604/C.

Uno degli obiettivi principali del regolamento di Dublino è impedire ai richiedenti asilo di presentare domande in più Stati membri , il c.d. asylum shopping.

Il primo paese di arrivo è incaricato di trattare la domanda, attualmente, coloro che vengono trasferiti in virtù di Dublino non sempre sono in grado di accedere a una procedura di asilo. Questo mette a rischio le garanzie dei richiedenti  di ricevere un trattamento equo e di vedere le proprie richieste d’asilo prese in adeguata considerazione.

Se questa è la normativa in tema di soccorso ai migranti, vale la pena evidenziare un altro punto fondamentale: in caso pericolo di morte qualsiasi Stato è obbligato ad intervenire in virtù della Convezione di Montego Bay.

Tutto ciò premesso, non si può fare a meno di far un riferimento anche alle c.d. Sar, ovvero, le  “search and rescue”, cioè le aree di ricerca e soccorso. Una di queste è coordinata dall’Italia. Lo Stato responsabile dell’area marina deve coordinare tutte le attività di soccorso e nel caso in cui sia una nave di un’organizzazione autonoma a compiere il salvataggio, questa deve essere condotta nel porto più sicuro dell’area Sar. Nel caso dell’Italia, uno di questi è rappresentato dal porto di Lampedusa.


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