Il tempus commissi delicti

Il tempus commissi delicti

Il perfezionamento e la consumazione rappresentano due momenti cronologici del reato attraverso i quali è possibile ricostruire l’ubi consistam del tempus commissi delicti nonché le conseguenze applicative sul piano processuale e sostanziale.

In particolare, il reato si definisce perfetto nel momento in cui può ritenersi tipico, antigiuridico e colpevole.

Il perfezionamento indica, quindi, che tutti gli elementi della fattispecie giuridica penalmente rilevante sono stati posti in essere dal reo e il reato è produttivo di offesa.

L’offensività del reato consente di apprezzare la particolare discrasia temporale che talune volte si registra tra il momento del perfezionamento e quello della consumazione.

Quest’ultima, infatti, rappresenta il segmento temporale in cui il reato cessa di esistere perché è esaurita integralmente l’offesa che dallo stesso è idonea a scaturire.

L’individuazione del momento in cui il reato può definirsi perfezionato e/o consumato risente infatti della struttura che la fattispecie criminosa presenta, a seconda che si tratti di un reato di mera condotta invece che di un reato di evento, ovvero di un reato omissivo invece che di un reato in forma commissiva o, infine, di un reato di durata invece che istantaneo.

In linea generale, specie nei reati cd. istantanei, si suole ritenere che il momento del perfezionamento e quello della consumazione coincidono, di talchè la stessa distinzione tra i due sarebbe superflua anche alla luce del codice penale.

In particolare, si evidenzia come il legislatore quante volte abbia voluto riferire l’applicabilità di taluni istituti a un dato momento temporale, ha sempre fatto riferimento alla consumazione, senza nulla soggiungere in merito a una sua possibile distinzione dalla perfezione.

A ben vedere, l’art. 158 c.p. ricollega il dies a quo del calcolo del termine di prescrizione al momento della consumazione del delitto; l’art. 151 c.p. rimette, implicitamente, l’applicabilità dell’amnistia alla consumazione del reato purché la stessa sia avvenuta nel giorno precedente la data del decreto salvo diversa data dallo stesso stabilita; l’art. 380 c.p.p. individua la flagranza del reato che determina l’obbligatorietà dell’arresto nel momento in cui il delitto è consumato ovvero tentato, in quest’ultimo caso la consumazione coincide con il tentativo stante l’innesto nel decorso causale, cui ha dato luogo il reo, di una causa interruttiva.

Queste argomentazioni, ancorché valevoli per i reati cd. istantanei, ossia quei reati in cui la condotta è istantanea e la sua attuazione determina la massima soglia dell’offesa, di talchè la consumazione coincide con l’ultimo atto offensivo, costitutivo del reato, posto in essere dal reo, vacillano in riferimento a reati caratterizzati dalla persistenza in essere o frazionabilità della condotta offensiva.
In questi ultimi casi, infatti, il proporzionale accrescimento della soglia dell’offesa per effetto del decorso temporale consente di apprezzare un’asimmetria tra perfezionamento e consumazione.

In particolare, ciò si verifica nei cc.dd. reati permanenti e reati a condotta frazionata.

I primi sono tutti quei reati in cui la tipicità del fatto postula il perdurare in essere della condotta offensiva dell’agente.

Si tratta dell’ipotesi in cui il reo pone in essere una condotta offensiva, lesiva del bene giuridico presidiato dalla norma incriminatrice e volontariamente la mantiene in essere determinando un avanzamento, in termini di intensità, dell’offesa, proporzionale al lasso di tempo in cui la condotta è mantenuta in essere.

E’ una particolare forma di condotta che si sviluppa nel tempo e che incide su un bene giuridico, qual è la libertà personale, idoneo a essere assoggettato a una offesa prolungata senza che questa possa comprometterlo; diverso il caso del patrimonio o della salute, sui quali ogni singola offesa assume carattere unitario e autonomo, integrando un’offesa che, considerata in concreto e in uno specifico momento, assume carattere di definitività[1].

Un esempio classico è il sequestro di persona, disciplinato dall’art. 605 c.p.

Il delitto in questione offende la libertà personale, comprimendola sino al momento della liberazione della persona offesa.

Si è discusso nel tempo dell’ubi consistam del delitto di sequestro di persona e, quindi, dei reati permanenti in genere.

Una prima tesi soleva scindere la condotta cd. primaria, quella che dava luogo all’offesa determinando l’iniziale privazione della libertà personale, dalla condotta cd. secondaria o manutentiva con cui il reo si limitava a mantenere in essere uno status cui aveva dato luogo, tuttavia, con un’azione precedente, esauritasi nel momento della privazione della libertà personale.

Una seconda impostazione, oggi maggioritaria, suole ricondurre il delitto a uno schema unitario connotato dalla permanenza in essere della condotta offensiva.

I diversi approcci esegetici consentono di apprezzare il diverso atteggiarsi della perfezione e della consumazione.

Infatti, accedendo alla prima tesi e scindendo le condotte in primaria e secondaria, per entrambe il perfezionamento e la consumazione non coincideranno in un unico momento temporale.

La condotta primaria dovrà ritenersi perfezionata e consumata nel momento in cui il reo restringa la libertà personale della vittima atteso che in questo frangente la condotta raggiunge la massima soglia dell’offesa che la stessa può generare; la condotta manutentiva, invece, dovrà ritenersi perfezionata nel momento in cui il reo si adopera per mantenere in essere l’offesa, ossia la privazione della libertà, e consumata nel momento in cui il diritto di libertà si riespande per effetto della cessazione della condotta.

Questa asimmetria temporale tra perfezione e consumazione, nell’una e nell’altra condotta, entrambe costitutive del medesimo delitto, genera notevoli problemi applicativi in punto di prescrizione, amnistia, arresto nonché in riferimento anche alla disciplina successoria cui avere riguardo.

Nel dettaglio, se per la condotta primaria si può affermare, infatti, che la restrizione della libertà della vittima rappresenta il momento cronologico a partire dal quale quel segmento del delitto è cessato; viceversa, nella condotta manutentiva affinché vi sia consumazione occorrerà attendere la cessazione definitiva dell’offesa con la riespansione del bene giuridico.

Sicché, laddove si seguisse la tesi duale, testé esposta, occorrerà interrogarsi su come gli istituti citati si atteggeranno in relazione alla differente collocazione della consumazione nel medesimo delitto.

La tesi unitaria, invece, consente di risolvere le problematiche applicative atteso che, combinando la condotta primaria con quella manutentiva, il delitto dovrà ritenersi perfezionato nel momento in cui il reo determini l’offesa del bene giuridico; mentre la consumazione coinciderà con il momento della cessazione della condotta atteso che, dal momento della privazione della libertà personale a quello della sua riespansione, l’intensità dell’offesa aumenterà proporzionalmente al tempo in cui il reo mantiene in essere la propria condotta.

Sicché, in riferimento agli istituti della prescrizione e dell’amnistia, il dies a quo cui l’interprete deve fare riferimento è quello della cessazione della condotta offensiva, rectius consumazione; in riferimento, invece, agli istituti dell’arresto in flagranza di reato e della successione di leggi nel tempo di norma di sfavore, quello del perfezionamento.

I reati a condotta frazionata, viceversa, sono quei delitti in cui l’offensività è ripartita in singoli segmenti di condotta che complessivamente intesa integra la lesione del bene giuridico presidiato.

Tra i delitti a condotta frazionata la giurisprudenza ha soffermato la propria attenzione in riferimento alla corruzione di cui all’art. 319 c.p. e all’usura, prevista dall’art. 644 c.p.

In particolare, la corruzione è il reato del pubblico ufficiale che riceve un’utilità ovvero ne accetta la promessa al fine di omettere o ritardare un atto dovuto del proprio ufficio ovvero per aver compiuto un atto contrario ai doveri del suo ufficio.

La giurisprudenza suole definire la fattispecie in esame come delitto a schema alternativo.

L’art. 319 c.p., infatti, è suscettibile di integrazione tanto nel caso in cui il soggetto riceva l’utilità indebita quanto nel caso in cui ne accetti esclusivamente la promessa.

Questa duplicità dello schema integrativo del delitto in esame si ripercuote sul piano della configurazione del perfezionamento e della consumazione del delitto.

Nel dettaglio, l’offesa stigmatizzata dalla disposizione codicistica si perfeziona nel momento in cui il pubblico ufficiale accetta la promessa di utilità indebita per ritardare od omettere un proprio atto dovuto; tuttavia, se a questa accettazione consegue la concreta dazione dell’utilità, la soglia dell’offesa si innalzerà aumentando la propria intensità.

Ebbene, la consumazione del delitto coincide con la perfezione nel caso in cui il pubblico ufficiale non riceva l’utilità indebita; viceversa, determinandosi una maggiore offensività, la consumazione coincide con il momento in cui il reo riceve l’utilità, quest’ultima rappresentando la cessazione dell’efficacia offensiva di un delitto già perfetto al momento dell’accettazione della promessa.

La giurisprudenza sul punto ha precisato che accettazione e ricezione dell’utilità rappresentano una forma di progressione dell’offesa idonea a scindere il momento del perfezionamento da quello della consumazione atteso che la ricezione, lungi dall’integrare un’ipotesi di post factum non punibile, determina un aumento dell’intensità dell’offesa già verificatasi per effetto dell’accettazione della promessa.

Ulteriore campo d’indagine della giurisprudenza in merito alla asimmetria temporale tra perfezionamento e consumazione si registra in riferimento al delitto di usura.

L’art. 644 c.p., ante riforma, puniva il fatto di chi, approfittando dello stato di bisogno in cui versava la vittima, induca la stessa a stipulare un accordo contemplante interessi usurari.

Il delitto di usura è stato riformato dalla legge 108/96 che ha provveduto a stigmatizzare la cd. usura oggettiva, ampliandone il perimetro applicativo.

L’odierno delitto, dunque, sanziona la condotta di chi, nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, si fa «dare o promettere» vantaggi che, messi a confronto con la valutazione preventivamente effettuata dal legislatore o con l’esame delle concrete circostanze del caso svolto a posteriori dal giudice, appaiono sproporzionati rispetto al corrispettivo offerto o prestato, così da dar luogo ad un’alterazione del sinallagma di livello tale da essere disapprovata dall’ordinamento e da essere presidiata dalla comminazione di una sanzione penale[2].

L’usura è stata oggetto di interesse giurisprudenziale e legislativo anche con riferimento alla possibile sussunzione al suo interno, specie in ambito civilistico, del fenomeno della cd. usura sopravvenuta.

È il caso in cui il tasso convenzionalmente pattuito al momento dell’accordo è lecito ma la sopravvenienza economica, data dalla rideterminazione trimestrale del tasso soglia, ne determina l’illiceità per effetto del superamento del limite massimo pattuibile.

A fronte di un contrasto giurisprudenziale, sorto in merito alla riconducibilità della fattispecie di usura sopravvenuta nel dettato dell’art. 644 c.p. e, in particolare, nella locuzione del “si fa dare” che evocherebbe una scissione temporale tra il momento dell’accordo e quello dell’adempimento dell’obbligazione, il legislatore è intervenuto con d.l. 394/00 escludendo l’applicabilità degli artt. 644 c.p. e 1815, co. 2 c.c. alle ipotesi di usura sopravvenuta atteso che per effetto della norma di interpretazione autentica devono ritenersi usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono convenuti a prescindere dal momento del loro pagamento.

Posta questa breve premessa, anche in relazione al tema dell’individuazione del tempus commissi delicti si è assistito a un dialogo tra orientamenti giurisprudenziali divergenti.

Una prima lettura, muovendo dal dettato dell’art. 644-ter c.p. ha osservato che il delitto di usura sarebbe caratterizzato da una scissione temporale tra il momento del perfezionamento e quello della consumazione.

In particolare, essendo il reato a condotta frazionata, il perfezionamento dovrebbe coincidere con il momento in cui nasce l’accordo illecito; la consumazione, invece, con il momento in cui il reo acquisisce l’ultimo rateo del tasso usurario atteso il progressivo innalzamento della soglia dell’offesa per effetto del maggior arricchimento indebito perpetrato dal reo.

Una seconda lettura, in aperto contrasto con l’assunto in precedenza espresso, ha osservato che il legislatore ha individuato il perfezionamento e la consumazione dell’offesa nella circostanza della pattuizione degli interessi, non attribuendo, invece, rilevanza al momento del  loro pagamento.

Così opinando, quindi, il pagamento del rateo usuraio rappresenta un post factum non punibile poiché non integrante il reato in termini di offesa, già a monte consumata per effetto dell’accordo illecito.

A questa impostazione si è osservato in senso critico che la ratio della norma di interpretazione autentica, d.l. 398/00, andrebbe individuata nel tentativo del legislatore di fugare i dubbi interpretativi sorti in giurisprudenza in merito alla possibilità di ricondurre il fenomeno dell’usura sopravvenuta nel dettato codicistico dell’art. 644 c.p.

Conseguentemente, la diversità dell’oggetto giuridico presidiato, nel caso di usura cd. originaria la libertà negoziale mentre nel caso di usura sopravvenuta la proporzionalità dello scambio, non consentirebbe di utilizzare la norma di interpretazione autentica quale argomento valido ai fini dell’individuazione del tempus commissi delicti che, in assenza di eccezioni codicistiche, soggiace alla regola generale secondo cui il momento consumativo del reato va individuato in quello in cui il delitto ha cessato di produrre effetti offensivi nei confronti del bene giuridico.

Ulteriore ambito di esame in cui si sono registrati contrasti giurisprudenziali per l’individuazione del tempus commissi delicti è inerente alla distinzione tra reati di condotta e reati di evento.

In particolare, l’attenzione della giurisprudenza è rivolta nei confronti di questi ultimi; ci si chiede, in specie, se il tempus commissi delicti vada accertato avendo in considerazione il momento della condotta ovvero quello dell’evento.

La prima impostazione è seguita da quanti osservano che il momento del perfezionamento e della consumazione andrebbe ravvisato nell’ultimo atto controllabile da parte del reo; si è evidenziato che solo in questo caso il reato può ritenersi voluto dal soggetto agente e lo stesso essere chiamato a rispondere personalmente del fatto.

La tesi in esame, pur presentando il pregio di valorizzare l’elemento soggettivo del reato e il principio di personalità della responsabilità penale, non è stata tuttavia condivisa dall’opposto orientamento che, al contrario, individua nella verificazione dell’evento il momento in cui il reato si perfeziona e consuma.

A sostegno di questa soluzione si è affermato che, diversamente opinando, si incorrerebbe nel paradosso di qualificare come perfezionato un reato che manca di un fondamentale elemento costitutivo, rappresentato dall’evento; si osserva inoltre che, aderendo alla teoria della condotta, non sarebbe agevole qualificare la condotta del reo in termini di reato consumato o di tentativo sino a quando non si abbia certezza della verificazione o mancata verificazione dell’evento, che può avvenire anche a notevole distanza di tempo.

Le medesime argomentazioni sono state opposte avverso i sostenitori di una terza teoria, definita mista, secondo cui la consumazione dei reati d’evento dovrebbe essere individuata nel momento della cessazione della condotta qualora l’evento non si verifichi e, in caso contrario, nel momento di verificazione dell’evento.

Si è tuttavia osservato che siffatta impostazione produce maggiori incertezze e non consente di qualificare correttamente la fattispecie penale commessa dal reo, con un elevato rischio di lederne il diritto di difesa e di compromettere, specularmente, l’obbligatorietà dell’azione penale da parte del pubblico ministero[3].

Sicché la giurisprudenza sembrerebbe preferire la tesi dell’evento rispetto a quella della condotta stante la maggiore certezza dalla stessa garantita.

Il medesimo contrasto tra i fautori della teoria della condotta e quelli della teoria dell’evento è scaturito con riferimento ai reati cd. omissivi.

Anche in questo caso minori problemi pongono i reati omissivi di mera condotta, rispetto ai quali rileva il momento in cui il reo avrebbe dovuto porre in essere l’azione imposta dall’ordinamento, che consente di individuare nel contempo il perfezionamento e la consumazione del reato.

Non è infatti ipotizzabile un frazionamento dell’omissione, posto che il disvalore penale è incentrato nel mancato compimento dell’azione dovuta entro il termine espressamente o implicitamente indicato dal legislatore, che da solo assume rilevanza al fine di stabilire il tempus commissi delicti.

Meno agevole è, invece, la determinazione del momento di perfezionamento e di consumazione del reato allorché si tratti di reati omissivi impropri.

Anche in questo caso, tuttavia, deve ritenersi preferibile la soluzione elaborata dai sostenitori della teoria dell’evento, che consente di prevenire le incertezze di cui si detto in precedenza[4].

In conclusione, gli interventi giurisprudenziali in materia di tempus commissi delicti hanno dimostrato come la linea guida seguita dalla interprete nell’individuare il momento del perfezionamento e quello della consumazione è l’offensività della condotta: l’origine dell’offesa determina il perfezionarsi del delitto; la cessazione, la sua consumazione; il frangente tra l’una e l’altra, il permanere in essere del reato e la consequenziale maggiore intensità della stessa.


[1] Salerno A., Il sistema del diritto penale, cit. 15 ss.

[2] Enna L., Studium iuris, 1/2018, cit. 37 ss.

[3] Salerno A., op. cit.

[4] Salerno A., op. cit.


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Nato a Reggio Calabria nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel maggio 2012, presso l'Università degli Studi di Reggio Calabria, discutendo una tesi in diritto civile dal titolo la "Destinazione patrimoniale nell'interesse della famiglia", relatore Prof. Sebastiano Ciccarello. Nell'ottobre 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Reggio Calabria discutendo una tesi in diritto penale dal titolo la "Natura giuridica delle linee guida e grado della colpa nella giurisprudenza successiva al decreto Balduzzi", relatore Prof. Avv. Patrizia Morello. Ha svolto la pratica forense presso lo studio legale dell'Avv. Mario De Tommasi, foro di Reggio Calabria, presso cui ha approfondito lo studio del diritto amministrativo. Ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato nell'ottobre 2015; da allora svolge la professione forense, interessandosi di questioni giuridiche afferenti il ramo del diritto civile e del diritto amministrativo.

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