Il testamento olografo per sopravvenienza dei figli non (sempre) è revocabile

Il testamento olografo per sopravvenienza dei figli non (sempre) è revocabile

I giudici di Piazza Cavour la scorsa estate hanno affermato che il testamento redatto dal de cuius che, al momento della sua predisposizione, già avesse figli, dei quali fosse nota l’esistenza, non è soggetto a revocazione per il caso di successiva sopravvenienza di un altro figlio, ex art. 687 c.c., attesa la natura eccezionale – e, dunque, non suscettibile di applicazione analogica o estensiva – di tale disposizione, che contempla la diversa ipotesi in cui il testamento sia stato predisposto da chi non aveva o ignorava di aver figli o discendenti.

È quel che ha deciso con ordinanza n. 18893 del 28 luglio 2017, la seconda sezione della Cassazione, riprendendo un orientamento della Cassazione, – sempre del 2017, – in tema di revoca dell’atto di liberalità per sopravvenienza dei figli o discendenti del testatore, che ha riconosciuto che la revocazione del testamento olografo, ovvero quello scritto di pugno dal de cuius (art. 602 c.c.) resta preclusa qualora il donante era già cosciente e consapevole, al tempo della formazione della disposizione solenne, dell’esistenza in vita, ovvero della sopravvenienza di un altro figlio.

Secondo il dictum degli Ermellini, in caso di sopravvenuta esistenza di un figlio o discendente del testatore, diventano prevalenti gli obblighi di solidarietà, mantenimento, educazione ed istruzione della prole, in conformità peraltro con il dettato costituzionale di cui agli artt. 3,30,31 Cost.

Ne consegue che non può esservi discrimine di trattamento e lesione dei diritti dei figli sopravvenuti il cui interesse viene tutelato in via mediata e indiretta (Cass. civ. 5345/2017). La nascita sopravvenuta di un discendente legittima la revocazione della donazione, in quanto muta l’animus donandi del donante rispetto al momento della formazione dell’atto di liberalità formale e solenne della donazione.

L’atto di disposizione testamentaria infatti non sarebbe stato ontologicamente quello redatto dal de cuius se alla data della disposizione il medesimo non fosse stato a conoscenza della nascita del figlio sopravvenuto.

Alla luce della dottrina maggioritaria è evidente che la nascita sopravvenuta di un figlio dopo l’atto di liberalità redatto in vita dal de cuius legittima la revocazione, sulla base del fatto che, mutatis mutandis, l’animus donandi non sarà necessariamente più quello che ha ispirato ab origine l’atto di liberalità nei confronti dei beneficiari-donatari, quando egli non era a conoscenza di certi fatti.

L’ordinanza della Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso presentato dagli eredi legittimi del de cuius, perdenti nei primi due gradi di giudizio dinnanzi il Tribunale di Roma e la Corte di Appello medesima, per aver eccepito la violazione dell’art. 687 c.c. per la sopravvenuta esistenza di un figlio del de cuius, già alla data delle disposizioni testamentarie che, sarebbero state a detta dei ricorrenti ex art. 687 c.c., revocabili di diritto.

In realtà, alla luce dell’interpretazione degli Ermellini, il terzo comma del suddetto articolo esclude in re ipsa che possa procedersi a revocazione quando il testatore abbia provveduto che potessero sopravvenire dei figli o abbia contemplato tale eventualità anche velatamente al momento della redazione dell’atto dispositivo, a prescindere dal fatto che, – nell’atto,- il testatore non abbia testualmente indicato il nominativo del figlio sopravvenuto.

In sostanza la mera mancanza del nominativo del figlio sopravvenuto al momento della redazione dell’atto non è sintomatica del fatto che il de cuius non era a conoscenza dell’esistenza del figlio.

Secondo il Giudice di legittimità dall’interpretazione delle disposizioni testamentarie, non si poteva escludere che il testatore avesse voluto pregiudicare i diritti dei figli legittimi nei confronti del figlio sopravvenuto e viceversa con delle sperequazioni.

Di tutt’altro avviso invece l’interpretazione dei Giudici di merito che aveva dato una lettura diversa ma secondo la Corte di Cassazione plausibile,- e, quindi non motivo di censura,- delle disposizioni del testatore, da cui il rigetto in entrambi in gradi di giudizio della domanda presentata dagli eredi legittimi del de cuius per la revoca del testamento olografo.

Gli ermellini con un’analisi di pregio della dottrina e giurisprudenza rilevante sul punto hanno affermato che la revoca della donazione per fatti sopravvenuti è rimessa ad iniziativa del donante ovvero dei suoi eredi, assoggettati ad un breve termine di decadenza, palesandosi in tal modo la perdita di efficacia della donazione, ricollegabile ad uno specifico impulso di parte; l’eventuale ripensamento del donante deve intervenire entro un determinato lasso di tempo; al contrario, la fattispecie in esame della revoca del testamento opera di diritto; anche laddove il de cuius abbia potuto fruire di un precedente testamento ed di una nuova manifestazione di volontà.

Infatti, in caso di donazione i beni rientrano nella disposizione del donante che eccettuate le regole della successione legittima e stanti le regole dell’istituto della collazione può sempre prevedere essendo il suo volere e giudizio insindacabili che gli stessi beni oggetto della donazione siano vincolati in favore dei figli sopravvenuti; nella revoca testamentaria, i beni oggetto della dichiarazione testamentaria, è impossibile che rientrino nella sfera di disponibilità del de cuius, – venendo naturalmente a mancare quest’ultimo – ed allora devono operare nel caso di sopravvenienza di figli e dei discendenti le regole della successione legittima per tutelare le loro quota di riserva rispetto agli altri eredi universali e legatari.

Nel caso di specie, invece, osserva la Corte di Cassazione, dal testamento olografo, così come è stato plausibilmente interpretato dai Giudici di merito, si evinceva la chiara volontà del de cuius di disporre esattamente una quota del testamento anche nei confronti della figlia sopravvenuta agli altri figli legittimi senza pregiudicare, ovvero la quota della disponibile corrispondente di questi ultimi come dispone l’art. 687c.c. a riguardo.

I fratelli consanguinei del ricorrente, pertanto, secondo il giudice di legittimità, non avevano subito alcuna lesione della quota di legittima riservata loro e non avevano per questo motivo alcun diritto di agire in riduzione previa la revoca del testamento olografo.

In tal modo i giudici di legittimità dell’udienza filtro hanno rigettato il ricorso con condanna contestuale della parte soccombente alle spese di giudizio.


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