In crisi (coniugale) ma con salvezza dei benefici fiscali sull’acquisto della casa famigliare

In crisi (coniugale) ma con salvezza dei benefici fiscali sull’acquisto della casa famigliare

Sommario: 1. Premessa – 2. Crisi coniugale e mantenimento dei benefici fiscali – 2.1. La posizione dell’Agenzia delle Entrate – 2.2. La posizione della Suprema Corte di Cassazione – 3. Profili operativi e tecnico-giuridici alla luce delle SS.UU. 21761/2021

 

1. Premessa

Tizio e Caia, coniugati, decidono di acquistare un immobile da destinare ad abitazione famigliare (prima casa). Dopo poco, la coppia entra in una insanabile crisi coniugale ed i coniugi decidono, di comune accordo, di separarsi. Tra le varie questioni che la coppia si trova a dover affrontare, i profili di maggiore complessità sono rappresentati dalla titolarità dell’immobile in comproprietà, dalla sua (eventuale) vendita e dalla perdita dei benefici fiscali. Quid iuris?

2. Crisi coniugale e mantenimento dei benefici fiscali 

Fonti e giurisprudenza consultate: – D.P.R. n. 131/1986 – Nota II-bis; – Art. 19, L. 74/1987 [1]; – Art. 5, L. 162/2014 [2]; – Circolare Agenzia delle Entrate n. 27/2012; – Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 80/E/2019; – Interpello Agenzia delle Entrate n. 634/2021; – Cassazione Civile n. 2111/2016; – Cassazione Civile n. 17612/2018; – Cassazione Civile n. 7966/2019

L’acquisto della c.d. “prima casa”, purché vengano soddisfatte alcune condizioni stabilite dalla legge, comporta notevoli benefici fiscali; tuttavia, la nota II-bis del D.P.R. n. 131/1986 prevede la decadenza dagli stessi e l’applicazione di una sovrattassa del 30% delle imposte ove l’abitazione principale venga ceduta prima che siano decorsi 5 anni dal suo acquisto (c.d. speculazione).

L’ambito di applicazione di tale norma ha posto importanti problemi di coordinamento con l’art. 19 L. 74/1987 che prevede una generale esenzione da ogni imposta o tassa per tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di separazione e divorzio.

In particolare, ci si è chiesti se gli accordi intervenuti in occasione della separazione o del divorzio aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari tra gli stessi coniugi (od anche soggetti terzi) fossero idonei ad escludere la decadenza dal beneficio fiscale per l’acquisto della prima casa.

2.1. La posizione dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, già per mezzo della circolare n. 27/2012, aveva chiarito che il regime di favore designato dall’art. 19 cit. trova applicazione anche per i benefici fiscali di cui alla Nota II-bis del D.P.R. n. 131/1986. In particolare, è stato precisato che “che tale regime di favore possa trovare applicazione anche al fine di escludere il verificarsi della decadenza dalle agevolazioni ‘prima casa’ fruite in sede di acquisto, qualora in adempimento di un obbligo assunto in sede di separazione o divorzio, uno dei coniugi ceda la propria quota dell’immobile all’altro, prima del decorso del termine quinquennale”; ciò indipendentemente dal fatto che il coniuge cedente intenda o meno acquisire una nuova abitazione. Più di recente (v. risposta n. 80/E/2019) l’Agenzia delle Entrate ha specificato che i suddetti benefici si mantengono anche nel caso in cui la “prima casa” venga venduta a terzi indipendentemente dal fatto che i coniugi acquistino una nuova abitazione (quale nuova prima casa) entro il termine di un anno dalla suddetta vendita.

2.2. La posizione della Suprema Corte di Cassazione

Come noto, la giurisprudenza reputa che i coniugi, con le condizioni di separazione o la domanda congiunta di divorzio, possano regolare come meglio credono i reciproci rapporti patrimoniali (salva l’eventuale indisponibilità dei diritti).

A tal proposito, la dottrina soleva distinguere tra contenuto essenziale degli accordi conclusi a causa dell’intervenuta crisi coniugale e contenuto meramente eventuale, ovvero occasionato dalla volontà di separarsi. Tuttavia, un distinto orientamento dottrinale ha aspramente criticato detta distinzione reputando che anche gli accordi che hanno ad oggetto trasferimenti patrimoniali tra coniugi debbano essere ricondotti nell’alveo delle condizioni di separazione, atteso quel  “carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale, attribuendo quindi a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati “contratti della crisi coniugale”, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi” (Cass. civ., sent. n. 2111/2016).

Diversamente detto, la separazione o il divorzio costituiscono l’occasione per regolare in funzione solutorio-compensativa i rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi (al di là del mero assegno di mantenimento o divorzio e dell’assegnazione della casa coniugale, ove applicabili); ciò non esclude che tali pattuizioni debbano dirsi non solo parte integrante, ma anche necessaria dell’accordo dei coniugi in veste di parti contraenti [3]. Del resto, la dottrina e parte della giurisprudenza sono ormai concordi nell’affermare che i negozi di diritto familiare sono soggetti in misura sempre più pregnante alla volontà dei coniugi tanto da affermare che il contenuto “eventuale” di tali accordi è riconducibile all’art. 1322, co. 2 c.c. (cfr. Cass. civ., sent. n. 16909/2015).

Se, dunque, le condizioni di separazione devono essere globalmente intese senza distinzioni alcuna, di necessità l’art. 19, L. 74/1987 deve dirsi applicabile anche ai trasferimenti patrimoniali disposti dai coniugi in sede di separazione; del resto, questi ultimi non avrebbero avuto necessità di regolare dati profili economico-patrimoniali tra loro nello svolgimento fisiologico del rapporto coniugale.

Tant’è vero che già con le pronunce n. 7493/2002 e n. 16171/2003, la Corte di Cassazione aveva riconosciuto “l’applicabilità dell’esenzione di cui alla L. 74/1987, art. 19 a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge”. Difatti, la ratio della norma richiamata non è altro che quella di agevolare la sistemazione dei rapporti tra coniugi possibilmente in modo completo e definitivo; ne consegue, che l’applicazione delle sanzioni di cui alla Nota II bis del D.P.R. n. 131/1986 si porrebbe in insanabile contrasto con le finalità perseguite dal già citato art. 19. A ciò si aggiunga che la norma in commento ha una portata talmente generale da non potersi fare alcun fondato distinguo a seconda dello specifico contenuto delle condizioni di separazione o della domanda congiunta di divorzio. Tutto quanto sopra è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione con le sent. n. 2111/2016, sent. n. 17612/2018 e sent. n. 7966/2019.

3. Profili operativi e tecnico-giuridici alla luce delle SS.UU. 21761/2021

Fonti e giurisprudenza consultate: – Art. 29, co. 1 bis, L. 52/1985; – Cass. civ. n. 2700/1995; – Cass. civ. n. 4306/1997; – Cass. civ. n. 24087/2020; – Cass. civ., SS.UU., n. 21761/2021

Atteso che è consentito ai coniugi cedere l’immobile adibito a casa coniugale (c.d. “prima casa”) anche a terzi senza perdere i benefici fiscali e senza essere “costretti” ad acquistare un nuovo immobile entro un anno da detta cessione, non rimangono che da valutare i profili tecnico-pratici per raggiungere il risultato sperato.

In primo luogo, ci si deve domandare se il verbale contenente le condizioni di separazione consensuale (omologato dall’Autorità giudiziaria) o la sentenza di divorzio siano idonei a trasferire il diritto reale in questione o se la volontà in tal sede espressa o recepita valga quale mera promessa di vendita (alla stregua di un contratto preliminare di compravendita); ove ciò risulti sufficiente (cioè non sia necessario l’intervento del notaio), rimane di fondamentale importanza individuare quali documenti, atti e/o dichiarazioni siano richiesti a pena di nullità (e d’intrascrivibilità) dell’atto di trasferimento.

Con riferimento al primo profilo, si sono contrapposti per lungo tempo due distinti orientamenti giurisprudenziali.

Un primo orientamento (Cass. civ., sent. n. 2700/1995) reputava che, sebbene i patti aventi ad oggetto la sistemazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi in occasione della separazione fossero validi, fosse comunque necessario l’intervento del notaio per realizzare il trasferimento del diritto reale. Secondo questa pronuncia il verbale di separazione, purché omologato, poteva essere equiparato ad una qualsiasi scrittura privata, come tale idoneo a dare vita ad un mero preliminare di compravendita; successivamente, per completare la fattispecie negoziale avuta di mira dai coniugi, sarebbe stato necessario “ripetere” il contenuto del verbale contenente le condizioni di separazione omologato in un atto pubblico redatto da notaio (necessario per procedere alla trascrizione nei registri immobiliari).

Viceversa, un differente orientamento giurisprudenziale, formatosi a distanza di pochi anni dalla suddetta pronuncia, reputava che il verbale d’udienza (all’interno del quale si trovano le condizioni di separazione), in quanto redatto da un ausiliario del giudice (il cancelliere che è anche pubblico ufficiale) e poi omologato dal Tribunale, costituisse atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c. e che, come tale, fosse idoneo alla trascrizione nei pubblici registri (Cass. civ., sent. n. 4306/1997).

Ancor più di recente è stato affermato che il verbale di conciliazione giudiziale ex art. 185 c.p.c. presenta tutti gli elementi propri ed essenziali di un atto di compravendita né, ai fini della trascrizione dell’atto, osterebbe l’assenza del notaio ove sol si consideri che il giudice, al pari del notaio, è un pubblico ufficiale (cfr. Cass. civ., sent. n. 24087/2020).

La questione, a differenza di quanto potrebbe apparire di primo acchito, non è di così semplice soluzione.

L’art. 29, L. 52/1985 dispone, infatti, che “Negli atti con cui si concede l’ipoteca o di cui si chiede la trascrizione, l’immobile deve essere designato anche con l’indicazione di almeno tre dei suoi confini. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

Dal tenore della norma parrebbe dunque necessario l’intervento del notaio a cui viene demandata specificamente la verifica della corrispondenza tra gli intestatari catastali e quelli risultanti dai registri immobiliari: da qui la querelle giurisprudenziale (e i dubbi degli avvocati) sull’idoneità del solo verbale di udienza omologato (o della sentenza di divorzio) ai fini del trasferimento del diritto reale e la conseguente possibilità di ottenere la sua trascrizione [4].

Il dibattito giurisprudenziale, resosi sempre più serrato, ha portato la prima sezione civile della Corte di Cassazione a rimettere la questione di massima particolare importanza all’esame delle Sezioni Unite per mezzo dell’ordinanza interlocutoria n. 3089/2020.

Si è dato atto dell’esistenza di due difformi orientamenti in merito alla necessità dell’intervento del giudice per la realizzazione del trasferimento del diritto reale e la conseguente trascrizione dell’atto attestante la produzione di tale effetto giuridico.

L’orientamento più restrittivo, pur riconoscendo la piena validità delle pattuizioni con cui i coniugi in sede di separazione e/o divorzio trasferiscono diritti reali su beni immobili, reputava che tali accordi potessero produrre effetti meramente obbligatori; stante la lettera dell’art. 29 cit. non sarebbe possibile trasferire il diritto reale senza l’intervento del notaio.

L’orientamento contrapposto reputa che siano molteplici le ragioni che consentono di affermare il contrario:

– l’art. 29 cit. stabilisce che i dati catastali e le dichiarazioni rilasciate dalle parti devono risultare tanto negli atti pubblici che nelle scritture private senza compiere distinzioni di sorta tra le due tipologie di atti. Si ricordi infatti che ai sensi dell’art. 1350 c.c. devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, a pena di nullità, i contratti e gli altri atti che trasferiscono la proprietà su beni immobili;

– i verbali redatti ai sensi dell’art. 185 c.p.c. e le sentenze rese ai sensi dell’art. 2932 c.c. che costituiscono, trasferiscono o importano rinuncia a diritti reali immobiliari vengono trascritti nei registri immobiliari senza che alla loro redazione abbia partecipato un notaio;

– l’art. 29 cit. introduce nell’ordinamento una ipotesi di nullità testuale di carattere oggettivo che prescinde totalmente dalla veridicità dei dati catastali indicati e delle dichiarazioni rese dalle parti: la nullità è determinata dalla semplice mancanza di tali elementi. Diversamente detto, se la nullità dell’atto è connessa all’assenza di tali dati (e non alla loro intrinseca veridicità) ciò prescinde totalmente dalla figura professionale che tale atto redige. A fronte di tali osservazioni, si potrebbe ribattere che la norma qui in commento demanda al notaio l’individuazione degli intestatari catastali e la loro corrispondenza alle risultanze dei registri immobiliari. Tale argomento, preso in considerazione dalle SS.UU., non è stato reputato dirimente: da un lato, la norma non sanziona la mancata conformità soggettiva con la nullità dell’atto; dall’altro, non pare sostenibile desumere dalla norma la necessaria presenza del notaio per il confezionamento delle suddette operazioni negoziali. In altri termini, il legislatore avrebbe fatto riferimento alla figura del notaio a titolo meramente esemplificativo; diversamente, si dovrebbe sostenere che i verbali di conciliazione giudiziale o le sentenze rese ai sensi dell’art. 2932 c.c. non possono essere trascritte senza un preventivo controllo notarile. Una simile interpretazione è stata smentita dallo stesso legislatore: difatti, l’art. 5 della L. 162/2014 (c.d. “negoziazione assistita”), applicabile anche ai conflitti familiari, dispone che gli accordi conclusi con l’assistenza di un avvocato, ove siano soggetti a trascrizione ai sensi dell’art. 2643 c.c., devono essere previamente autenticati da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (quindi non necessariamente un notaio).

– l’art. 2657 c.c., rubricato “titolo per la trascrizione”, dispone che essa non possa essere eseguita se non in forza di una sentenza, di un atto pubblico, di una scrittura privata autentica o accertata giudizialmente. Questa norma risulta di fondamentale importanza: in primo luogo, una scrittura privata può essere autenticata anche da un soggetto diverso da un notaio (si pensi alla rinuncia all’eredità resa dinanzi al cancelliere del tribunale); in secondo luogo, una scrittura privata oggetto di “mero” accertamento giudiziale è “sufficiente” ai fini della trascrizione; infine, atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli fede nel luogo dove l’atto è formato.

Alla luce di tutto quanto sopra, non vi è chi non veda che il verbale d’udienza contenente le condizioni di separazione – purché omologato – soddisfa le condizioni richieste dall’art. 1350 c.c. (forma scritta) e dell’art. 2657 c.c. (atto pubblico redatto da pubblico ufficiale a ciò autorizzato). Come affermato dal Supremo Consesso “Il cancelliere, esattamente come il giudice, riveste la qualifica di pubblico ufficiale e lo svolgimento delle formalità relative all’udienza, ivi compresa la stesura del verbale, rientra nell’esercizio di una pubblica funzione (art. 357 c.p.); ciò sta a significare che gli atti redatti o formati con il suo concorso, nell’ambito delle funzioni al medesimo attribuite e con l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici ai sensi dell’art. 2699 c.c. e, conseguentemente, rientrano nella previsione di cui all’art. 29, comma 1- bis, l. n. 52/1985 e sono titoli idonei alla trascrizione ex art. 2657 c.c.”.

Come a tutti noto, la legge richiede che gli atti che hanno ad oggetto il trasferimento di diritti reali immobiliari debbano contenere, a pena di nullità, una serie di dati, dichiarazioni e certificati. Ma quali sono?

A prescindere delle specificità del caso concreto (che il professionista deve sempre aver cura di valutare – es. fabbricati ricadenti nel regime di edilizia agevolata etc.), sarà di fondamentale importanza che il verbale d’udienza redatto dal cancelliere ed omologato dal Tribunale contenga: – manifestazione della volontà di procedere rispettivamente alla vendita e all’acquisto del fabbricato (o terreno) ai sensi e per gli effetti dell’art. 1376 c.c.; – dati personali dei coniugi; – indicazione del diritto reale trasferito, della sua provenienza, dell’identificazione dell’immobile per mezzo della categoria di appartenenza, foglio, mappale, subalterno, rendita catastale e di almeno tre (3) dei suoi confini; – indicazioni di oneri, servitù, pignoramenti, ipoteche o altri pesi gravanti sull’immobile (in caso di mutuo bancario per l’acquisto della casa famigliare fare le opportune precisazioni: es. uno solo dei coniugi, previa autorizzazione della banca, si assume per intero l’onere di pagare la parte rimanente del mutuo con la conseguente sistemazione dei rapporti dare-avere tra i coniugi etc.); – dichiarazione resa dalla parte alienante sull’esistenza e la regolarità dei titoli edilizi in base ai quali il fabbricato è stato costruito o successivamente modificato (prestare attenzione alle dichiarazioni da inserire a seconda che l’immobile sia stato costruito prima o dopo il 01.09.1967); indicazione del rilascio del certificato di agibilità; dichiarazione della conformità degli impianti alla vigente normativa in materia di sicurezza (ove applicabili); – dichiarazione resa dalla parte all’alienante sulla conformità oggettiva tra le risultanze catastali e lo stato di fatto del bene immobile (v. art. 19, co. 14 D.L. 78/2010) – tale attestazione viene di norma resa da un tecnico specializzato all’uopo abilitato (non è quindi necessario l’intervento notarile); – dichiarazione dell’acquirente relativa al rilascio dell’Attestato di Prestazione Energetica (D.Lgs. 192/2005); – indicazione del prezzo d’acquisto, le modalità di pagamento e l’eventuale intervento di un mediatore (si consideri che potrebbe anche non esserci un “vero e proprio” prezzo ove la cessione del bene immobile avvenga nell’ottica di una globale sistemazione dei rapporti economici tra le parti – tuttavia si deve escludere che il trasferimento del diritto avvenga per spirito di liberalità); – presa d’atto che il cancelliere si limita a ricevere le dichiarazioni rese dalle parti nel verbale senza assumersi alcuna responsabilità in relazione all’esattezza dei dati catastali, della titolarità dell’immobile, della provenienza del diritto trasferito, dell’esistenza di oneri, vincoli o altri pesi gravanti sul fabbricato/terreno, della conformità urbanistica, della regolarità impiantistica o quant’altro; – dichiarazione d’impegno a fare quanto necessario per consentire il trasferimento del diritto reale; in particolare, indicare che le parti – sotto la propria ed esclusiva responsabilità – si impegnano ad estrarre copia conforme all’originale del verbale per procedere alla trascrizione presso la competente Agenzia del Territorio, ad eseguire la voltura catastale e a depositare in cancelleria copia della suddetta richiesta di trascrizione entro il termine dalle stesse parti stabilito (o a quello indicato negli eventuali protocolli esistenti presso i tribunali competenti).

Infine, le parti devono allegare a detto verbale il certificato di destinazione urbanistica, certificato di agibilità/abitabilità, planimetrie catastali, A.P.E., varie ed eventuali.

 

 

 

 

 


Note: 
[1] “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”. La Corte Costituzionale con la sent. n. 154/1999 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 “nella parte in cui non estende l’esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”.
[2] “Esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione e trascrizione: l’accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Costituisce illecito deontologico per l’avvocato impugnare un accordo alla cui redazione ha partecipato”.
[3] E’ a tutti noto che qualsiasi accordo di natura contrattuale è composto da elementi essenziali e come tali necessari per la sua stessa configurabilità; tuttavia, in aggiunta ad essi, possono darsi ulteriori elementi che le parti contraenti, secondo gli scopi e gli obiettivi perseguiti, possono parimenti reputare essenziali “in concreto” pena la mancata conclusione del contratto.
[4] Lo stesso potrebbe dunque dirsi per la sentenza emessa in ottemperanza al disposto di cui all’art. 2932 c.c..

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Gemma Giammattei

Laureata in Giurisprudenza con lode presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Abilitata all'esercizio della professione forense dall'ottobre 2021, collabora con lo Studio Legale Giammattei.

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