Inadempimento delle obbligazioni professionali e rischio della causa ignota

Inadempimento delle obbligazioni professionali e rischio della causa ignota

L’inadempimento consiste nella mancata esecuzione della prestazione dovuta da parte del debitore, ovvero nella inesatta esecuzione sotto il profilo quantitativo, qualitativo, territoriale, temporale, soggettivo.

Ai sensi dell’art. 1218 cc. sul debitore grava una responsabilità per l’inadempimento della propria obbligazione che viene comunemente detta “responsabilità contrattuale”, tuttavia si sottolinea come l’illecito possa avere anche una fonte diversa consistente in ogni altra obbligazione preesistente, come disposto dall’art.1173 cc, purché non si tratti di un fatto illecito. Dall’inadempimento sorge un’obbligazione secondaria di risarcimento del danno, cd. perpetuatio obligationis, che consiste nel sostituire all’obbligazione originaria inadempiuta una diversa obbligazione avere ad oggetto il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno.

La ratio della responsabilità in esame è quella di allocare beni e risorse conformemente all’aspettativa del creditore, ponendolo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’obbligazione fosse stata adempiuta, nota in dottrina come funzione dinamica della responsabilità da inadempimento.

Quanto agli elementi costitutivi della responsabilità predetta, l’art.1218 cc. Individua espressamente l’elemento oggettivo nell’inadempimento, sotto forma di esecuzione non esatta della prestazione, da parte del debitore prevedendo che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa a questi non imputabile estingue l’obbligazione e lo esonera da responsabilità, inserendo, in tal modo, l’elemento soggettivo dell’imputabilità dell’inadempimento. In tal senso dispone, altresì, la relazione al codice civile ove si afferma che l’assenza di colpa riguardo al verificarsi dell’evento e al conseguente impedimento ad adempiere costituisce l’elemento soggettivo che deve concorrere con quello oggettivo dell’impossibilitò della prestazione affinché il debitore inadempiente vada esente da responsabilità.

Quanto al nesso eziologico fra il comportamento del debitore e l’evento inadempimento, la cd. causalità materiale, è retto da regole di struttura che si innestano sui principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 cp e regole di funzione “del più probabile che non, mentre al fine di individuare il danno derivato dall’inadempimento, le conseguenze “immediate e dirette” subite dal creditore, interviene la causalità giuridica che utilizza il criterio della causalità adeguata o regolarità causale oltre a quello della preponderanza dell’evidenza.

In particolare, quanto al danno il legislatore non specifica che debba trattarsi di un danno ingiusto come, invece, emerge dalla lettura dell’art. 2043 cc. Che disciplina la responsabilità extracontrattuale, in quanto il danno da inadempimento è di per sé ingiusto: è il contratto come fonte dell’obbligazione che conferisce rilevanza giuridica all’interesse del creditore che viene leso dall’inadempimento e, pertanto, anche in questa ipotesi di responsabilità da inadempimento ricorre l’ingiustizia del danno.

Dal raffronto dell’art. 1218 cc con la disposizione cardine in tema di responsabilità extracontrattuale, art. 2043 cc., si può osservare che la prima non fornisce delle indicazioni univoche circa il riparto dell’onere della prova relativo ai precitati elementi costitutivi. Tanto non può dirsi con riferimento all’art. 1312 del codice civile previgente ove si disponeva che “chi domanda l’esecuzione di una obbligazione deve provarla, e chi pretende di essere liberato deve, dal canto suo, provare il pagamento”. Questa norma introduceva una presunzione di inadempimento in quanto è il debitore che deve provare il pagamento adempimento e non il creditore a dover provare il fatto negativo dell’inadempimento. Il creditore può limitarsi a fornire la prova dell’obbligazione, l’inadempimento si presume, mentre il creditore deve provare l’adempimento.

Tale principio di presunzione dell’inadempimento è correlato, sul piano processuale, a quello di riferibilità, vicinanza, disponibilità della prova: per il creditore provare l’inadempimento significa provare un fatto negativo, prova difficoltosa, mentre sul debitore grave l’onere di provare un fatto positivo, l’adempimento.

Ai sensi dell’art. 1218 cc sul debitore incombe, altresì, l’onere di provare la non imputazione dell’inadempimento in quanto il rischio della causa ignota ricade sullo stesso debitore poiché se questi non fornisce la prova che l’inadempimento non è a lui imputabile, se la causa dell’inadempimento è ignota, data la presunzione di imputazione il debitore risponde x art 1218 cc.

Questa allocazione del rischio della causa ignota sul debitore trova conferma nel riparto dell’onere della prova del nesso di causalità materiale. Invero, la lesione dell’ interesse del creditore è il danneggiamento, l’inadempimento è la lesione dell’interesse del creditore, allora l’inadempimento è il danno evento. Pertanto, pur essendo distinti, sul piano della struttura, inadempimento, nesso causale, imputazione e danno evento, sul piano pratico dottrina e giurisprudenza sottolineano come vi sia assorbimento fra la causalità materiale e l’inadempimento: se c’è inadempimento c’è lesione, se vi è lesione c’è danno evento, se c’è inadempimento c’è danno evento.

Ne deriva che, in quanto ai sensi dell’art. 1218 cc, l’inadempimento del debitore si presume, il nesso di causalità non solo non va provato, ma non necessita neppure di allegazione in quanto  assorbito nell’inadempimento. L’allegazione dell’inadempimento vale come allegazione del nesso presunto di causalità. Il creditore, pertanto, è sollevato dall’onere di provare la causalità materiale e questo conferma che il rischio della causa ignota dell’inadempimento grava sul debitore.

Tema di prova del creditore resta solo quello della causalità giuridica, oltre che della fonte del diritto di credito.

Tale forma del rapporto fra causalità materiale e responsabilità attiene, tuttavia, allo schema dell’obbligazione di dare o di fare contenute nel codice civile, mentre non opera nel diverso territorio del facere professionale.

Invero, a favore del ceto di debitori professionisti intellettuali che, nell’adempiere le loro obbligazioni, concorrono al progresso culturale, scientifico, tecnico e tecnologico, l’oggetto delle obbligazioni di facere professionale ha subito un oggettivo restringimento in quanto non includerebbe la soddisfazione dell’interesse che ha mosso il creditore all’acquisto del diritto di credito, detto interesse primario o presupposto, arrestandosi, piuttosto, alla produzione di un’utilità intermedia, per lo più identificata con una certa qualità professionale e tecnica dell’attività dovuta.

La prestazione oggetto dell’obbligazione non è, pertanto, la guarigione dalla malattia o la vittoria della causa, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interessa del creditore. Il danno evento, inteso come aggravamento del quadro clinico o insorgenza di nuove patologie, attinge allora non l’interesse affidato all’adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute.

L’interesse perseguito dalla prestazione oggetto di obbligazione ha natura strumentale rispetto ad un interesse primario o presupposto che non ricade, tuttavia, fra i motivi soggettivi irrilevanti dei contraenti, ma costituisce motivo comune rilevante al livello della causa del contratto.

Invero, non può parlarsi di obbligazione di diligenza professionale del medico o dell’avvocato se non in vista, per entrambe le parti, della guarigione dalla malattia o della vittoria della causa.

Posto che il danno evento riguarda l’interesse presupposto, la causalità materiale non è assorbita dall’inadempimento in quanto questo coincide con la lesione dell’interesse strumentale che non significa, necessariamente, lesione dell’interesse presupposto.

Allegare l’inadempimento non significa allegare anche il danno evento che potrebbe essere riconducibile ad una causa diversa dall’inadempimento.

La violazione delle regola della diligenza professionale non produce necessariamente l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove malattie che potrebbero avere una diversa eziologia

Sostenere che anche nell’inadempimento dell’obbligazione di diligenza professionale non emerga un problema pratico di causalità materiale e danno evento, come può ritenersi, invece, per le obbligazioni di dare e di fare a schema classico, significherebbe riconoscere che oggetto della prestazione è lo stato di salite in termini di guarigione o impedimento del sopraggiungere di nuove patologie, violando quanto disposto dall’art. 1176, comma 2 cc, che fornisce il parametro per valutare se vi è stato inadempimento dell’obbligazione professionale. Specificatamente, il contenuto della prestazione è determinato dal comportamento idoneo per il conseguimento del risultato utile.

Il tal senso, un’autorevole dottrina riteneva che la guarigione , la vincita della causa “dipendono troppo poco dalla volontà del medico e dell’avvocato, oltre che dalla collaborazione dell’ammalato e del cliente, affinché possano essere dedotte in obbligazione”. Queste integrano la causa del contratto, ma l’obbligazione rimane di diligenza professionale.

Sotto il profilo dell’onere della prova ne deriva che non si può più affermare che nelle obbligazioni professionali il nesso di causalità fra inadempimento e danno evento si presume: l’inadempimento è lesione dell’interesse strumentale, mentre il danno evento è lesione dell’interesse primario presupposto. Non vi è più assorbimento della causalità materiale nell’inadempimento.

Pertanto, ferma la presunzione di inadempimento che opera a favore del creditore i accordo con il principio generale sul piano processuale di vicinanza, riferibilità, diponibilità della prova, questi deve provare la causalità materiale, il nesso eziologico fra inadempimento e danno evento, ovvero fra l’inadempimento del professionista e la lesione dell’interesse primario.

Il creditore ha l’onere di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento o insorgenza di nuove patologie, la condotta del medico e ha l’onere di provarne la connessione, eventualmente anche avvalendosi di presunzioni. Ne consegue che il rischio della causa ignota grava sul creditore: se questi non prova il nesso di causalità materiale, manca un elemento costitutivo della responsabilità da inadempimento.

Una volta che il creditore abbia provato, anche mediante presunzioni semplici, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e l’aggravamento del quadro clinico, sorgono gli oneri probatori a carico del debitore il quale, per andare esente da responsabilità, deve provare o l’adempimento oppure che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile.

Emerge così un duplice ciclo causale: uno relativo all’evento dannoso, a monte l’altro relativo all’impossibilità di adempimento a valle. Quest’ultimo incombe sul debitore professionale che deve provare il nesso eziologico fra causa esterna, imprevedibile e inevitabile alla stregua dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 1176, comma 1, cc. Ed impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale ex art 1218 cc.

Se la prova della causa di esonero è stata raggiunta significa che l’aggravamento o l’insorgenza di una nuova patologia è sì eziologicamente riconducibile alla condotta, all’intervento del sanitario, ma il rispetto delle leges artis è, nella specie, mancato per causa non imputabile al debitore professionale, medico.

Ne discende che, se resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l’imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore.

Tali osservazioni si collocano nell’ambito delle regola sull’onere della prova: la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza o insussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione rispettivamente dei fatti costitutivi o di quelli modificativi o estintivi.

Viene data così continuità all’orientamento giurisprudenziale prevalente che ritiene incomba sul paziente l’onere di provare il nesso di causalità fra la condotta del sanitario e l’evento di danno quale fatto costitutivo della domanda risarcitoria non solo nel caso di responsabilità da fatto illecito, ma anche qualora si tratti di responsabilità contrattuale.


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Francesca Marinello

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