Indennizzo per vaccinazioni: è incostituzionale la decadenza cd. tombale?

Indennizzo per vaccinazioni: è incostituzionale la decadenza cd. tombale?

Cass. civ., sez. lavoro, Ord. 17 gennaio 2022, n. 1308

E’ stata sollevata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, L. n. 210/1992 dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con Ordinanza interlocutoria n. 1308, dal giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale ed alla Corte d’Appello di Milano.

La controversa trae origine dalla domanda di indennizzo presentata ai sensi dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie (anti morbillo, parotite e rosolia) e per le patologie della I categoria A allegata al DPR n. 834 del 1981 (trasfusioni e somministrazione di emoderivati).

Ad una bambina veniva somministrato vaccino trivalente anti morbillo, parotite e rosolia; dopo una decina di giorni la piccola accusava alcuni sintomi, che inducevano a ricovero. A distanza di alcuni giorni, la bambina mostrava disturbi della deambulazione con disequilibrio e perdita delle forze dell’arto inferiore e superiore sinistro, accompagnata da sonnolenza, irritabilità, ridotto interesse per il contesto e regressione del linguaggio. Da tali sintomi, a seguito di ricovero e ripetuti esami, era derivata la diagnosi di encefalopatia post vaccina.

La domanda amministrativa di riconoscimento dell’indennizzo della L. 210 era, però, presentata oltre il termine triennale di decadenza previsto.

La Corte territoriale, rigettando il motivo d’impugnazione relativo alla decadenza definitiva del diritto alle prestazioni, confermava la sentenza del Tribunale la quale aveva dato atto che il Ministero aveva riconosciuto il nesso causale tra il vaccino inoculato e la patologia indicata in ricorso e che la natura assistenziale del diritto in questione ne determinava l’imprescrittibilità e la operatività della decadenza limitatamente al triennio antecedente alla presentazione della domanda; conseguentemente, aveva riconosciuto il diritto a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

Avverso tale sentenza ricorreva per cassazione il Ministero della Salute, il quale censurava l’art. 3 comma 1, L. n. 210/1992, inerente ai termini per accedere all’indennizzo, poiché la Corte territoriale aveva ritenuto che la decadenza prevista dalla predetta norma è riferita al solo triennio antecedente la presentazione della domanda amministrativa, anziché ritenere del tutto estinto il diritto per l’intervenuta decadenza.

Con il suddetto unico motivo di ricorso, il Ministero della Salute lamentava quindi la violazione e falsa applicazione della sopracitata legge. Secondo il Ministero la sentenza impugnata non ha tenuto conto del fatto che la domanda di indennizzo è stata presentata tardivamente rispetto al termine perentorio di tre anni, decorrente dal momento in cui gli interessati acquisiscono conoscenza del danno e del nesso di causalità tra la vaccinazione ed il danno. La Suprema Corte, però, non ha condiviso l’interpretazione della norma ed ha sostenuto che la motivazione addotta dai giudici d’Appello è erronea.

Invero, come hanno sottolineato gli Ermellini, la formulazione della norma è chiara nel definire che la domanda di indennizzo L. 210, deve essere presentata entro il termine perentorio di tre anni dalla conoscenza del danno, ma è altrettanto vero che in materia previdenziale la giurisprudenza ha introdotto l’operatività della c.d. decadenza mobile (vd. da ultimo, Cass. SS.UU. n. 10955 del 2002; Cass. n. 17430 del 2021) nella specifica ipotesi della decadenza dalle azioni giudiziarie volte ad ottenere la riliquidazione di una prestazione pensionistica parzialmente riconosciuta.

In tale contesto si è ritenuto che, in considerazione della natura della prestazione, la decadenza possa cadere solo sulle differenze dei ratei maturati precedentemente al triennio e non riguardo ad ogni differenza comunque dovuta per il titolo in relazione al quale è richiesto l’adeguamento o il ricalcolo (decadenza cd. tombale). Si è considerato che pur dovendosi tener conto che l’istituto della decadenza persegua evidenti finalità di certezza sulla sorte di diritti che comportano aggravio di spesa pubblica, anche nell’interesse della stabilità dei conti pubblici, il fondamento costituzionale della prestazione pensionistica, che le conferisce il carattere della non prescrittibilità, impone di salvaguardare la medesima prestazione nel suo nucleo essenziale.

Invero, l’interpretazione che limita ai ratei l’applicazione dei termini di prescrizione e decadenza anche nel caso di riliquidazioni è in linea con i principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale, che ha sempre ritenuto il diritto a pensione come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza, in conformità di principio costituzionalmente garantito che non può comportare deroghe legislative (tra le altre, Corte Costituzionale 26 febbraio 2010, n. 71; Corte Costituzionale 22 luglio 1999, n. 345; Corte Costituzionale 15 luglio 85, n. 203).

Può, dunque, certamente affermarsi che l’art. 38 Cost. impedisce alla legge ordinaria, mediante il meccanismo della decadenza, di attaccare il nucleo essenziale della prestazione pensionistica.

La Suprema Corte ha, poi, rilevato che: <<…il complesso normativo relativo all’indennizzo oggetto della presente controversia, compresa la specifica previsione della decadenza di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 3, è certamente, per struttura e per funzione, profondamente diverso dal sistema pensionistico e ciò non consente che si possa procedere ad una estensione analogica dei principi espressi dagli arresti giurisprudenziali appena descritti; tuttavia, è innegabile che sia il diritto alle prestazioni pensionistiche previdenziali che quello all’indennizzo per cui è causa siano prestazioni fondate sugli obblighi di solidarietà sociale fissati dalla Costituzione; in particolare, quanto alla L. n. 210 del 1992, è innegabile che la stessa si caratterizza per il suo fondamento costituzionale…>>.

Va altresì tenuto in considerazione che la L. 210/1992 prevede, oltre ad un importo a titolo risarcitorio da fatto illecito, anche un assegno reversibile  della durata di quindici anni, volto a mitigare gli effetti negativi della menomazione dello stato di salute.

In proposito, la Corte ha evidenziato che: <<…si tratta, evidentemente, di una misura che tende ad attenuare, con sostegni distesi temporalmente e periodici, soprattutto nel caso di vaccini inoculati a bambini in tenera età, le difficoltà di gestione dello stato patologico mediante la corresponsione di importi mensili nell’arco temporale di un quindicennio, con la conseguenza che l’operatività di un effetto decadenziale unitario e definitivo che non prevede (come oggi impone il testo della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1) la limitazione dell’effetto estintivo del diritto ai soli importi mensili maturati precedentemente al triennio dalla domanda (con i consequenziali effetti riduttivi sull’importo una tantum), realizza in concreto la piena frustrazione dello scopo dell’indennizzo e crea una vistosa ed irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di tale misura ed i pensionati che, invece, possono contare sulla garanzia della misura della prestazione riconosciuta o pagata almeno per il nucleo essenziale della prestazione…>>.

La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto <<…non manifestamente infondato il dubbio sul rispetto dell’art. 3 Cost. da parte della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, posto che secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale (vedi, tra le altre, sentenze n. 89 del 1996, n. 5 del 2000 e n. 441 del 2000), al fine di stabilire se una disposizione sia tale da determinare una irragionevole differenziazione di situazioni meritevoli di eguale tutela, il relativo giudizio va incentrato sul “perché” la legge operi, all’interno dell’ordinamento, quella specifica distinzione (ovvero, a seconda dei casi, quella specifica equiparazione), sì da trarne le dovute conclusioni circa il corretto uso del potere normativo; nel caso di specie, tale vaglio non pare conduca a risposte ragionevoli, giacché non si comprende perché la categoria dei percettori di pensione può, per effetto della decadenza prevista dalla legge, al più vedere estinto il diritto a talune prestazioni periodiche relative al diritto a pensione, in sé imprescrittibile, mentre i destinatari dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 1, certamente protetti dalla Costituzione in ragione del grave ed irreparabile vulnus subito a causa delle vaccinazioni e dei trattamenti previsti dalla medesima legge, debbano vedersi estinto il diritto a tutte le prestazioni periodiche nonostante la distensione temporale delle medesime prestazioni periodiche superi di gran lunga il termine triennale di decadenza previsto dalla legge…>>.

Pertanto, il giudizio è stato sospeso in attesa della decisione della Corte Costituzionale.


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