Infedeltà e abbandono del tetto coniugale: quando è possibile ottenere l’addebito della separazione a carico del coniuge?

Infedeltà e abbandono del tetto coniugale: quando è possibile ottenere l’addebito della separazione a carico del coniuge?

I doveri reciproci dei coniugi derivanti dal matrimonio

<<Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.>> così recita il primo comma dell’articolo 143 del nostro codice civile. A seguire, il secondo comma elenca i suddetti doveri individuandoli nell’obbligo dei coniugi alla reciproca fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione in famiglia nel precipuo interesse della stessa e alla loro coabitazione.

In altre parole, marito e moglie sono chiamati ad essere fedeli l’uno nei confronti dell’altra nel rispetto del principio della monogamia, in ossequio al quale si caratterizza il nostro ordinamento in materia di matrimonio.

I coniugi devono, altresì, sostenersi moralmente e finanziariamente, nonché provvedere ai bisogni della famiglia in qualità di consorti e/o di genitori, ciascuno contribuendo secondo le proprie sostanze e capacità di tipo professionale o casalingo.

L’articolo in commento fa riferimento, infine, al dovere di coabitazione. I coniugi, infatti, salvo esigenze impeditive di natura lavorativa, devono rispettare il dovere di convivenza presso la medesima residenza, in modo costante e continuato, in ordine ai valori di comunione spirituale e materiale in cui affonda le proprie radici il concetto di famiglia, ai sensi dell’articolo 29 della Costituzione Italiana.   Al fatidico “sì”, dunque, i nubendi, consci dei diritti e dei doveri che vengono loro comunicati, si impegnano vicendevolmente al rispetto degli stessi per tutta la durata del loro vincolo coniugale.

Ciò posto, se da una parte è la nostra Costituzione a riconoscere i diritti e ad imporre il rispetto dei suddetti doveri, dall’altra certamente trasgredirli potrebbe comportare ripercussioni non indifferenti, soprattutto in sede di separazione dei coniugi, qualora questi non intendessero più mantenere in vita il vincolo coniugale che li lega.

In tale contesto, l’articolo 151 comma 2 c.c. dispone espressamente che, su richiesta di parte ed in presenza di determinate circostanze, il giudice dichiara a quale coniuge addebitare la separazione, in relazione all’avvenuta violazione di uno dei doveri sanciti dall’articolo 143 c.c.

L’addebito della separazione e le sue conseguenze

In cosa consiste l’addebito della separazione in capo ad uno dei coniugi?

Per addebito della separazione si intende la dichiarazione giudiziale secondo la quale la crisi del vincolo matrimoniale tra due coniugi sia riconducibile alla responsabilità esclusiva di uno dei due. Trattandosi di una decisione del giudice pronunciata con sentenza, l’addebito de quo può essere attribuito solo in sede di separazione giudiziale, su richiesta di parte, dal momento che non é consentito che marito e moglie scelgano concordemente, in sede di separazione consensuale, chi tra loro debba essere ritenuto responsabile della crisi coniugale.

Inoltre, in capo al coniuge che ne abbia fatto richiesta grava l’onere di provare che il consorte sia responsabile della fine del matrimonio per aver violato uno o più doveri coniugali, affinché il giudice possa esprimersi in merito all’addebito. Non solo, a ciò si aggiunga che il richiedente deve anche dimostrare che la fine del matrimonio non fosse preannunciata dagli eventi o dall’andamento del rapporto di coppia e che, dunque, il fallimento del vincolo coniugale fosse assolutamente inaspettato.

Tanto premesso, una volta giunti alla sentenza di separazione giudiziale con addebito, alcune ripercussioni di carattere patrimoniale, a discapito del coniuge responsabile, saranno consequenziali. Esse riguarderanno principalmente la perdita del diritto all’assegno di mantenimento, a differenza del diritto agli alimenti, che si potrebbe continuare a vantare nell’esclusivo caso in cui il consorte responsabile versasse in situazione di necessità materiale per i bisogni primari.

Si verificherà, in aggiunta, la perdita dei diritti successori. In questo caso, l’unico diritto del coniuge responsabile sarebbe quello all’assegno vitalizio qualora questi, prima della morte del coniuge, fosse già titolare dell’assegno alimentare.  Connessa all’addebito sarà, altresì, la perdita dei diritti alla pensione di reversibilità e alle altre indennità e prestazioni previdenziali riconosciute al consorte defunto.

Inapplicabilità dell’addebito

Tutto ciò considerato, è indubbio e pressoché notorio che i comportamenti violativi dei doveri coniugali generino l’eventualità che si configuri un illecito civile e penale, ma attenzione, non è sempre così. Occorre analizzare e valutare il caso concreto.

A questo proposito, con specifico riferimento ai doveri di fedeltà e di coabitazione, la Suprema Corte di Cassazione si orienta in direzione univoca ormai da diversi anni.

Muovendo dal ragionamento di base che mira alla tutela del coniuge leso – il quale ha visto fallire il proprio progetto matrimoniale a causa dell’altro che ha palesemente infranto i doveri coniugali – giungiamo erroneamente a ritenere che all’abbandono del tetto coniugale, oppure all’instaurazione di una relazione extraconiugale ad opera del coniuge fedifrago, consegua necessariamente e automaticamente l’addebito della separazione a carico del coniuge responsabile della crisi.

Così sarebbe se non si analizzassero le vicende caso per caso.  Lo hanno precisato a chiare lettere gli Ermellini in innumerevoli e recenti sentenze con le quali hanno dichiarato che <<il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi – e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono – che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto>>. (Cass. sez. I del 3/08/2007 n. 17056; Conformi: Cass. sez. I n. 10719/2013; Cass. sez. VI n. 2539/2014).

Ancora, con una sentenza del 14 agosto 2015, i giudici di legittimità hanno confermato tale orientamento imputando la fine del matrimonio di due coniugi alla loro incompatibilità caratteriale, che nel tempo ha reso invivibile il loro rapporto e la convivenza. La sussistenza di una crisi già in atto, infatti, ha reso irrilevante la violazione dell’obbligo di fedeltà di uno dei due coniugi ai fini dell’addebito della separazione. In altre parole, malgrado uno dei due coniugi fosse stato infedele, tale fatto non ha rappresentato la causa della separazione. Tra i coniugi serpeggiava da diverso tempo una profonda crisi matrimoniale, di talché il comportamento infedele di uno dei due è stato ritenuto una mera conseguenza di una relazione già incrinata in tempi antecedenti. (Cass. Civ. sez. I n. 16859 del 14/08/2015).

Del pari, il coniuge che abbandona il tetto coniugale a crisi inoltrata non subisce l’addebito della separazione tutte le volte in cui la convivenza era già intollerabile indipendentemente da detto comportamento. In buona sostanza, la responsabilità per la separazione è attribuita a chi viola le regole in materia di matrimonio, salvo che risulti che la coppia fosse già in crisi. È necessario, cioè, che sussista un nesso causale tra la violazione del dovere matrimoniale e la crisi coniugale, altrimenti il coniuge che avesse violato il dovere non andrebbe incontro all’addebito della separazione.

Si pensi ad una coppia che, da tempo, litiga quotidianamente finché uno dei due consorti abbandona la residenza comune per via della convivenza divenuta ormai intollerabile, non sarà questo singolo comportamento a determinare l’addebito della separazione a suo carico; è evidente, infatti, che la causa della crisi matrimoniale sia da imputare ad una incompatibilità dei coniugi tale per cui la convivenza non è più sostenibile ed è quindi una soluzione legittima abbandonare la casa coniugale.

Da ultimo, con un’ordinanza del 23/06/2020, la Suprema Corte ha precisato ulteriormente quando l’addebito della separazione non opera in caso di abbandono del tetto coniugale.

Nel caso specifico, i Giudici hanno rilevato che poco dopo il matrimonio, i consorti vivevano già una profonda crisi coniugale poiché a causa di entrambi mancava << il rapporto fatto di affezione, progettualità di coppia e condivisione>>, di conseguenza la causa della separazione non era imputabile alla donna che aveva abbandonato il tetto coniugale, giacché questo comportamento si era realizzato a seguito della intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Di fatto, i due coniugi non erano stati capaci di costruire un progetto di vita matrimoniale. (Cass. Civ. Sez. VI. Ord. n. 12241/2020 del 23/06/20). È evidente, di conseguenza, che la crisi coniugale si fosse determinata anteriormente alla scelta della donna di non convivere più con il marito.

In conclusione, alla luce di tali pronunce, testimonianze di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, è possibile affermare che – per quanto il principio generale propenda per l’addebito della separazione a carico del coniuge responsabile per aver violato uno o più doveri coniugali – é necessario analizzare ciascun singolo caso, dal momento che le ragioni di una separazione possono essere rinvenute in tempi ed in comportamenti antecedenti a quelli violativi dei doveri coniugali, vale a dire quando una crisi matrimoniale non solo fosse già preannunciata ma addirittura ampiamente insediata nella coppia e tale da rendere la convivenza intollerabile. In tale ipotesi,  pertanto, non è contemplato l’addebito della separazione a carico del coniuge trasgressore.


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