Infortuni sul lavoro: imprenditore non sempre responsabile (Cass. n. 146/18)

Infortuni sul lavoro: imprenditore non sempre responsabile (Cass. n. 146/18)

Un importante chiarimento in tema di infortuni sul lavoro e responsabilità civile dell’imprenditore è stato fornito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 146 del 5/1/18.

La pronuncia riguarda l’infortunio occorso ad un operaio, avvenuto con le seguenti modalità: una squadra di operai aveva appena terminato i lavori di impianto di alcuni pali elettrici, quando notava che un ramo di un albero poggiava su di un cavo. A questo punto la squadra di operai, guidata dal ricorrente, decideva di tagliarlo. Quest’ultimo, nello svolgere l’operazione, cadeva al suolo a causa del crollo della scala e riportava lesioni.

Durante l’istruttoria del giudizio di primo grado, era emerso che gli operai avevano l’obbligo di interpellare il personale addetto, nel caso in cui si fosse prospettato, nel corso dell’attività lavorativa, un ostacolo imprevisto. Questa condotta non era stata tuttavia posta in essere dagli operai. Era stato altresì dimostrato che la società aveva messo a disposizione una piattaforma aerea per eventuali lavori in quota.

A fronte di ciò, la Corte d’Appello di Bologna rigettava la domanda del lavoratore infortunato, in quanto  non era stata fornita la prova del fatto costituente l’inadempimento della società datrice di lavoro e della correlazione causale di tale inadempimento col danno patito.

Il lavoratore infortunato ricorreva in Cassazione facendo leva sull’articolo 2087 c.c., norma aperta che prevede un obbligo generale del datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore. In particolare, assume il ricorrente, che sul lavoratore graverebbe il solo onere di allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione nonché allegare la nocività/pericolosità dell’ambiente di lavoro.

Il caso appena narrato dà l’opportunità di fare il punto sull’importante questione della responsabilità civile del datore di lavoro per gli infortuni dei lavoratori.

Il Legislatore ha improntato una corposa e stringente normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (in particolare D.Lgs. N. 626/1994, poi abrogato dal T.U. della sicurezza sul lavoro) che individua l’imprenditore come soggetto reponsabile, il quale non deve limitarsi a rimuovere le situazioni di pericolo, ma deve anche agire per prevenire i possibili rischi . Tale impianto normativo vede come norma di chiusura proprio l’articolo 2087 c.c., il quale statuisce che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

La giurisprudenza considera la responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., come contrattuale, in quanto egli stesso ha un vero e proprio “debito di sicurezza” (come viene definito in dottrina) nei confronti del lavoratore. Più nello specifico la Cassazione afferma che il contratto di lavoro viene integrato, ai sensi dell’articolo 1374 c.c., dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e “lo inserisce nel sinallagma contrattuale” (Cass. 146/2018).

Ne consegue che l’art. 2087 c.c. non integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Diversamente il riparto degli oneri probatori è così disposto, in conformità all’articolo  1218 c.c.: il lavoratore deve dimostrare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione. Il datore di lavoro, per non incappare in responsabilità, deve provare di non essere venuto meno al predetto credito di sicurezza e, quindi, di aver apprestato tutte le misure possibili per evitare il danno. (Cass. 146/2018).

La giurisprudenza di legittimità ha inoltre precisato che la normativa in tema di infortuni sul lavoro impone al datore di lavoro anche obblighi di prevenzione di situazioni pericolose è quindi impone al datore di lavoro non solo l’obbligo di adottare le idonee misure protettive, ma avrà anche l’obbligo di accertare e vigilare affinchè le medesime vengano osservate ed applicate effettivamente dal lavoratore. In altri termini, il datore di lavoro non potrà andare esente da responsabilità nel caso in cui il lavoratore violi le prescrizioni in materia di sicurezza e dunque concorra nella verificazione dell’evento, a meno che la condotta posta in essere dal lavoratore presenti i “caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità e dell’eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.” ( ex multis  Cass. 14629/16; Cass. n. 1994/2012; Cass. n. 21694/11).

In particolare, il datore di lavoro che violi una norma antinfortunistica o una regola di comune prudenza, non potrà nemmeno invocare il concorso di colpa del lavoratore dipendente, nel caso in cui quest’ultimo sia stato imprudente o negligente. Questo perchè la condotta espletata dal lavoratore è stata imposta in ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa (Cass. n. 5024/2002; n. 3213/2004; n. 1994/2012)

Terminato questo breve excursus sulla responsabilità civile del datore di lavoro, possiamo passare all’analisi del caso oggetto della recente sentenza della Suprema Corte.

Si potrebbe senz’altro affermare che la squadra di operai della quale faceva parte l’infortunato, ha colposamente omesso di seguire le direttive del datore di lavoro, il quale aveva prescritto che venisse notiziato il personale addetto, nel caso in cui si fosse manifestato un ostacolo imprevisto. Nonostante ciò, teoricamente si potrebbe ribattere che, essendo stato un comportamento non rientrante nella nozione di inopinabilità e di abnormità, il datore di lavoro aveva comunque l’obbligo di approntare misure di sicurezza e di prevenzione di infortuni e che quindi il datore di lavoro avrebbe dovuto tutelare il lavoratore anche dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione e, inoltre, dalla sua imperizia, negligenza ed imprudenza (Cass. n. 1994/2012).

Nonostante tale considerazione, la Suprema Corte ha esentato da colpa l’imprenditore. E l’ha fatto non tanto perché la condotta del lavoratore è da considerarsi inopinabile, abnorme o del tutto eccezionale, ma perchè la prestazione lavorativa posta in essere dal dipendente non era stata richiesta ma anzi, era stata effettuata successivamente alla prestazione effettivamente pretesa, peraltro svolta senza dare all’imprenditore una preventiva comunicazione come da accordi.

In Pratica gli Ermellini hanno posto il focus sul fatto che l’attività posta in essere dal lavoratore non era stata richiesta e quindi imposta dal datore di lavoro, pertanto non era collocata all’interno del rapporto di subordinazione tra i due soggetti, dunque non ricadeva sulla società datrice di lavoro l’obbligo di controllare che il lavoratore eseguisse in sicurezza l’intervento non previsto e non richiesto. Tale rilievo viene considerato decisivo dalla Cassazione, la quale conferma la decisione della Corte di Appello e rigetta il ricorso del lavoratore.

La Corte, ritenendo la questione di particolare importanza ha ritenuto di enunciare il  principio di diritto seguente, ai sensi dell’articolo 384, comma 1, c.p.c.: <<alla stregua dell’art. 2087 c.c., non è ipotizzabile a carico dell’imprenditore un obbligo di sicurezza e prevenzione anche in relazione a condotte del dipendente che, pur non rientranti nella nozione di inopinabilità e di abnormità, siano state poste in essere successivamente al compimento della prestazione lavorativa richiesta, perchè non rientranti nella suddetta prestazione e perchè effettuate senza darne allo stesso preventiva comunicazione secondo le direttive impartite. Corollario di tale principio è che la parte datoriale non incorre nella responsabilità di cui alla norma codicistica per non avere fornito le attrezzature necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione nè di non avere esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti>> (Cass. 146/2018).


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