Infortunio sul lavoro: condotta colposa del lavoratore e responsabilità del datore di lavoro

Infortunio sul lavoro: condotta colposa del lavoratore e responsabilità del datore di lavoro

La sicurezza sul luogo di lavoro è un tema sempre caldo.

La rincorsa al profitto, non di rado, porta gli imprenditori a non osservare tutte le norme vigenti in materia, a scapito dei lavoratori, spesso costretti ad operare in condizioni precarie.

Pertanto, il Legislatore ha previsto degli importanti istituti, diretti a disincentivare la violazione di tali regole, in specie gli artt. 437 e 451 c.p., che mirano a tutelare la salute e l’incolumità del lavoratore, e più in generale l’integrità fisica della persona umana.

Si riportano testualmente:

ART. 437 c.p.: Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro:

Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

ART. 451 c.p.: Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro

Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a cinquecentosedici euro.

I reati di cui agli artt. 437 e 451 c.p., nella loro configurazione omissiva, sono classificabili come reati propri, in quanto gli autori devono essere titolari di una particolare qualità personale, nel caso di specie, si fa riferimento ai datori di lavoro, dirigenti o preposti con specifiche funzioni in materia di sicurezza.

Ciò detto, si rileva che i Giudici di P.zza Cavour, hanno più volte escluso, l’esistenza di qualsiasi scriminante a favore del datore di lavoro, che non adotti e/o vigili sull’osservanza delle norme di sicurezza sul luogo di lavoro.

Egli risponderà dell’infortunio occorso, anche qualora lo stesso fosse da ricollegare alla condotta colposa del lavoratore, così, Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza n. 9167 del 16 aprile 2013: “Le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore; con l’ulteriore conseguenza che l’imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento. Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui la condotta del lavoratore dipendente finisca per configurarsi nell’eziologia dell’evento dannoso come una mera modalità dell’iter produttivo del danno, tale condotta, proprio perché “imposta” in ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, concretizzantesi invece nella violazione di specifiche norme antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell’ordine di eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso”.

La ratio di questa decisione è facilmente comprensibile, difatti, il lavoratore si trova soventemente in una posizione di soggezione e subalternità rispetto al datore di lavoro. L’integro, in considerazione, pure, della recente castrazione delle garanzie offerte dall’art. 18 della Legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori).

Medesimo concetto ha espresso la Suprema Corte di Cassazione, sez. lav., con sentenza n. 4879 dell’11 marzo 2015, ribadendo l’ormai consolidato principio secondo il quale, la responsabilità del datore di lavoro, insorge non solo quando quest’ultimo ometta di adottare le misure protettive, ma anche laddove non accerti e vigili che il dipendente utilizzi di fatto le misure antinfortunistiche.

E’ da escludere dunque qualsivoglia forma di concorso del lavoratore, salvo la sua condotta “presenti i caratteri dell’abnormità, dell’inopinabilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute”. Deve, quindi, essere integrata la colpa grave o gravissima, definibile come profonda imprudenza, estrema superficialità o inescusabili negligenza e disattenzione.


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