Ingiurie protratte nel tempo, per la Cassazione possono configurare il reato di atti persecutori

Ingiurie protratte nel tempo, per la Cassazione possono configurare il reato di atti persecutori

La Quinta Sezione Civile della Cassazione, con la Sentenza n°1172/2021, depositata in Cancelleria lo scorso 13 gennaio 2021, ha affermato che, ai fini della valutazione in ordine alla configurabilità del delitto di atti persecutori, legittimamente sono annoverabili tra le condotte rilevanti le ingiurie rivolte dall’agente alla persona offesa in specie in luoghi pubblici o alla presenza di terzi, qualora le stesse, considerate nel complesso, assumano consistenza, ripetitività ed incidenza tali da conferire loro una connotazione molesta, idonea a determinare, unitamente ad altre condotte aggressive contemplate dall’articolo 612-bis del Codice Penale, uno degli eventi tipici del reato.

La vicenda processuale. Gli Ermellini si sono trovati di fronte al ricorso presentato da un cittadino italiano contro la decisione della Corte d’Appello di Lecce che aveva confermato la sentenza di condanna per atti persecutori nei confronti di una sua condomina del suo stabile, inflitta all’imputato in primo grado.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, l’imputato aveva prestato del denaro alla propria vicina di casa. Successivamente a tale prestazione aveva iniziato a assillare la donna per la restituzione del prestito, giungendo anche a minacciarla. A corollario delle varie minacce l’imputato aveva regolarmente rivolto alla stessa delle parole ingiuriose ed insolenti fino a quando la stessa, stanca delle continue ingiurie, non gli restituì la somma precedentemente prestata. D’altra parte, l’imputato, in una successiva riunione condominiale svoltasi due anni dopo l’avvenuta restituzione del prestito ingiuriò pesantemente la donna.

I motivi di ricorso addotti dal difensore dell’imputato. Il difensore dell’imputato ha basato il suo ricorso davanti alla Suprema Corte di Cassazione sostenendo, in primo luogo, l’erronea applicazione degli articoli 124 e 612-bis del Codice Penale. Il difensore di fiducia del ricorrente, in relazione al termine per presentare querela, ha fatto notare che, come si deduce dalle dichiarazioni della stessa persona offesa i presunti atti persecutori sarebbero cessati due anni prima di quando la persona offesa ha sporto querela. Di conseguenza, è il ragionamento della difesa dell’imputato, il fatto contestato non sarebbe minimamente collegabile con gli avvenimenti di due anni prima, ma rappresenta un fatto a sé stante con motivazione ed origine diversa. Nella specie sarebbe, spiega la difesa, sarebbe sorto un contrasto, in sede di assemblea condominiale, circa l’utilizzo degli spazi comuni. Nello stesso tempo, i fatti contestati dalla persona offesa, secondo il difensore di fiducia dell’imputato, avrebbero una differente qualificazione giuridica in quanto il reato di ingiuria sarebbe, ormai, depenalizzato. Di conseguenza, la qualificazione di tali fatti non sarebbe idonea a spostare in avanti il termine semestrale di proposizione della querela. Termine che, quindi, sarebbe spirato ben due anni prima.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha ritenuto non meritevole di accoglimento il ricorso dell’imputato. I giudici di legittimità, infatti, hanno rigettato la tesi difensiva secondo cui non sarebbero rilevanti, per la tempestività della querela, gli atti persecutori posti in essere dopo l’insorgenza, per fatto del reo, di uno degli eventi previsti dall’articolo 612/bis del Codice Penale.

Secondo la Cassazione, infatti, la verificazione dell’evento costituisce un elemento della fattispecie, indispensabile per la configurabilità del reato, ma non rende irrilevanti gli atti successivi i quali, saldandosi con quelli precedenti, approfondiscono ed estendono l’offesa al bene protetto ed assumono, pertanto, rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della querela all’ultimo atto della serie.

Secondo la Cassazione, sostenere l’opinione contraria, come ha fatto la difesa dell’imputato, significherebbe creare una zona franca a favore del persecutore. Questi, infatti, si avvantaggerebbe della tolleranza o dello spirito di sopportazione della vittima allorché questa si risolvesse a proporre querela dopo l’ennesimo, e forse più grave, atto persecutorio quando fossero già cambiate le sue abitudini di vita o fosse già insorto in lei un grave e perdurante stato di ansia e di paura. Con l’ulteriore effetto paradossale, secondo la Cassazione, che, proprio nei casi più gravi, il reo potrebbe tentare di anticipare nel tempo l’evento del reato al fine di dedurre, eventualmente, l’intempestività della querela.

Ugualmente infondata, secondo la Suprema Corte, è la pretesa del ricorrente di escludere l’ingiuria dal novero degli atti persecutori.

La Corte riconosce che il delitto di ingiuria è stato espunto dal Codice Penale, dove era ricompreso tra i delitti contro l’onore. Tuttavia, nello stesso tempo, gli Ermellini riconoscono che, tuttora, l’ingiuria costituisce una delle forme più frequenti di aggressione all’onore, sanzionato civilmente. Inoltre, tale illecito costituisce una delle più frequenti forme di molestia, soprattutto quando è posto in essere in luogo pubblico o alla presenza di altre persone. E questo proprio perché è idoneo a incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla condizione psichica della vittima. Da ciò consegue che, secondo la Cassazione, ove le ingiurie costituiscano fatto isolato, che non si inserisce in un più ampio contesto di aggressione alla sfera psichica e morale della persona, l’autore delle stesse sarà sanzionabile solo civilmente.

Mentre, quando le ingiurie assumono consistenza, ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito previste dall’articolo 612/bis del Codice Penale, uno degli eventi previsti da detta norma, l’agente risponderà del reato di atti persecutori. Pertanto, il giudice di merito, ha, secondo la Cassazione, operato correttamente tenendo conto anche delle ingiurie per giudicare del reato contestato all’imputato sia sotto il profilo dell’integrazione del reato che della tempestività della querela.


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