Interesse e vantaggio ex d.lgs. n. 231/2001 nei reati colposi per violazione della normativa antinfortunistica. Un problema probatorio?

Interesse e vantaggio ex d.lgs. n. 231/2001 nei reati colposi per violazione della normativa antinfortunistica. Un problema probatorio?

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il caso – 3. La clausola di irresponsabilità dell’ente – 4. Le nozioni di interesse e di vantaggio – 5. Interesse e vantaggio nei reati colposi

 

1. Introduzione

L’aggiornamento alle Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2021, n. 231 di Confindustria e la recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. IV, 8 giugno 2021, n. 22256 forniscono lo spunto per la ricostruzione della nozione di interesse e vantaggio rilevanti ai fini della responsabilità dell’ente ex D.lgs. n. 231/2001 in relazione ai reati di omicidio colposo e di lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela e sicurezza sul lavoro previsti dall’art. 25 septies D.lgs. n. 231/2001.

La pronuncia è degna di nota per la ricostruzione dei concetti di interesse e vantaggio e per l’affermazione che tali criteri di imputazione debbono necessariamente essere provati al fine di impedire automatismi nell’applicazione delle norme ogni volta che si verifichi la mancata adozione di misure di prevenzione.

2. Il caso

La vicenda riguarda un infortunio avvenuto in un impianto di selezione di rifiuti ai danni di un autista che, sceso dal mezzo di trasporto, nel rimuovere il telo del cassone al fine di consentire lo scarico del materiale, veniva urtato dal muletto condotto da un lavoratore dipendente della società di selezione di rifiuti. L’autista riportava lesioni personali gravi.

Venivano tratti a giudizio e condannati in primo e secondo grado sia il datore di lavoro sia la società.

Alla società veniva contestato l’illecito di cui all’art. 5 co. 1 lett. a) e all’art. 25 septies co. 3 D.lgs. n. 231/2001, in relazione al delitto di lesioni personali colpose aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ex art. 590 co. 3 c.p.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso per cassazione presentato dalla società e annullava la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la responsabilità amministrativa dell’ente rinviando ad altra sezione della Corte d’appello.

La vicenda è interessante perché nel ricorso proposto nell’interesse della società, veniva dedotta la violazione dell’art. 5 lett. b) D.lgs. n. 231/2001 in relazione ai criteri di imputazione oggettiva dell’interesse o vantaggio della società: si censurava il vizio del difetto di motivazione della sentenza nella parte in cui riteneva che la condotta omissiva addebitata al datore di lavoro fosse stata posta in essere nell’interesse e/o a vantaggio della società.

3. La clausola di irresponsabilità dell’ente

La c.d. clausola di irresponsabilità dell’ente, prevista dall’art. 5 co. 2 D.lgs. n. 231/2001, stabilisce che “l’ente non risponde se le persone indicate al comma 1, hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

Occorre precisare, prima di procedere con la trattazione, che elementi costitutivi dell’illecito dell’ente derivante da reato sono: a) l’interesse e il vantaggio, b) la commissione di uno dei reati-presupposto tassativamente indicati dal legislatore, c) la sussistenza di rapporto qualificato tra la persona fisica che ha commesso il reato-presupposto e la società (soggetti apicali e persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti apicali).

In particolare, l’interesse e il vantaggio costituiscono criteri di imputazione oggettivi necessari per l’affermazione di responsabilità nei confronti dell’ente. Infatti, l’art. 5 co. 1 D.lgs. 231/2001 prevede la responsabilità dell’ente nel caso in cui i reati siano stati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio”.

Il legislatore, dando rilevanza alle conseguenze che l’ente può ottenere dalla altrui condotta delittuosa, ha ritenuto insufficiente fondare la responsabilità dell’ente solo sull’esistenza del rapporto che lega il soggetto persona fisica alla persona giuridica (rapporto di dipendenza o di immedesimazione organica).

La sussistenza di tali criteri di imputazione è necessaria al fine di rispettare, anche in tale ambito, il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., in modo da prevenire qualsiasi automatismo nei confronti della società ogniqualvolta sia commesso un reato da un soggetto qualificato.

Infatti, è l’analisi delle conseguenze derivanti dalla commissione del reato nei confronti della società che consente di comprendere le conseguenze che ne derivano alla società stessa dall’altrui condotta delittuosa, ossia se l’azione del singolo vada riferita alla posizione che questo riveste all’interno della società o se si sia invece in presenza di una condotta tenuta in assoluta autonomia ed anche in spregio agli obblighi di gestione societaria.

Ad esempio, se non vi è dubbio che – in considerazione della c.d. teoria della immedesimazione organica – debba rispondere anche l’ente per la condotta dell’amministratore che abbia presentato dichiarazioni e documenti falsi per conseguire finanziamenti dallo Stato, lo stesso non può dirsi nel caso in cui l’amministratore commetta un falso in bilancio per appropriarsi illecitamente degli utili.

In questo secondo caso la società non avrebbe alcun beneficio dalla condotta della persona fisica, anzi tale condotta determinerebbe la rottura del rapporto di immedesimazione organica e, quindi, non si comprende perché la società dovrebbe rispondere per il fatto illecito altrui.

È in tale ottica che il legislatore ha previsto l’art. 5 co. 2 D.lgs. 231/2001 secondo cui la società non è responsabile per il reato commesso dalla persona fisica quando questa ha agito nell’interesse proprio o di terzi, cioè esclusivamente per un tornaconto personale o di soggetti terzi diversi dalla società.

Con tale previsione si è voluto impedire il sorgere della responsabilità in capo all’ente per la sola presenza di una colpa di organizzazione o di difetto di vigilanza.

La previsione della clausola di c.d. irresponsabilità dell’ente non comporta che in mancanza di un tornaconto personale della persona fisica che ha commesso il reato o di un terzo l’ente risponda automaticamente. L’accertamento della mancanza di un tornaconto personale o di terzi non fonda alcun automatismo di rimproverabilità nei confronti dell’ente, poiché deve sempre essere verificata la sussistenza dei requisiti dell’interesse o del vantaggio in capo all’ente come richiesto dall’art. 5 co. 1 D.lgs. 231/2001.

Pertanto, in assenza dei criteri oggettivi di imputazione dell’interesse o del vantaggio, la responsabilità della persona giuridica dovrebbe essere esclusa.

4. Le nozioni di interesse e di vantaggio

Come esposto nel paragrafo che precede, l’art. 5 co. 1 D.lgs. n. 231/2001 prevede che “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio […]”.

La definizione di tali criteri di imputazione è frutto della giurisprudenza, poiché il D.lgs. n. 231/2001 non contiene alcuna precisazione al riguardo.

È ormai indiscusso, dalle Sezioni Unite riguardante il caso Thyssenkrupp in poi, che interesse e vantaggio esprimono concetti alternativi e concorrenti tra loro.

Tale interpretazione trova fondamento nel testo legislativo: in primo luogo, all’art. 5 D.lgs. n. 231/2001 viene utilizzata la congiunzione disgiuntiva “o” tra i termini “interesse” e “vantaggio”, che indica il significato diverso e non sovrapponibile dei due termini; in secondo luogo, l’art. 12 co. 1 lett. a), nel prevedere la riduzione della sanzione pecuniaria nel caso in cui l’autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o ne abbia ricavato un vantaggio minimo, rappresenta l’ipotesi in cui il reato potrebbe essere commesso nell’interesse dell’ente, ma senza che derivi allo stesso alcun vantaggio.

Quindi, affinché l’ente sia ritenuto responsabile ex D.lgs. n. 231/2001 può rilevare, alternativamente, che il reato sia stato commesso nell’interesse dell’ente oppure che l’ente abbia tratto vantaggio dalla commissione del reato.

Stabilito che si tratta di due concetti distinti, la giurisprudenza ha elaborato le seguenti definizioni: l’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del reato e si verifica quando la persona fisica ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un beneficio per la persona giuridica mediante la commissione del reato, mentre il concetto di vantaggio implica l’effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato e, dunque, valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivanti dalla realizzazione dell’illecito.

Interesse e vantaggio si distinguono per il fatto che ai fini dell’interesse l’agente deve aver commesso il reato allo scopo di conseguire un’utilità per la persona fisica a prescindere dall’effettivo conseguimento del beneficio per l’ente; invece, ai fini del vantaggio deve realizzarsi l’effettivo conseguimento di un beneficio per l’ente senza che sia necessario che l’agente abbia volontariamente violato le regole cautelari allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente. La mancanza di tale volontà ai fini dell’integrazione del vantaggio rappresenta la sostanziale differenza rispetto all’interesse.

5. Interesse e vantaggio nei reati colposi

Quando il catalogo dei reati presupposto contenuto nel D.lgs. n. 231/2001 è stato ampliato con i reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 25 septies) e con i reati ambientali (art. 25 undecies) si è posto un problema di compatibilità del criterio dell’interesse o vantaggio con i reati colposi.

Ora è principio pacifico nella giurisprudenza che nei reati colposi di evento interesse e vantaggio si riferiscono alla condotta colposa, ossia all’inosservante delle norme cautelari e non certo all’evento morte o lesioni derivatone, che non può esprimere l’interesse dell’ente o tradursi in una situazione vantaggiosa per lo stesso.

Interesse e vantaggio sono intesi in una prospettiva patrimoniale e, in tal senso, potrebbe derivare un vantaggio per l’ente anche quando la persona fisica non abbia agito nell’ interesse dell’ente.

In tale prospettiva, ricorre l’interesse quando l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, mentre sussiste il vantaggio quando la persona fisica ha violato le misure precauzionali per consentire una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto o della produzione indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso.

In altri termini, l’interesse e il vantaggio si ricollegherebbero al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’aumento di produttività che ne può derivare per l’ente nel velocizzare i tempi dell’attività lavorativa dovuta alla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, tale attività avrebbe “rallentato” quantomeno nei tempi.

Per esempio, anche laddove i presidi collettivi ed individuali siano presenti e conformi alla normativa che ne regola le caratteristiche, anche laddove i lavoratori siano stati correttamente formati, ma poi le lavorazioni in concreto si svolgano senza prevedere l’applicazione ed il controllo dell’utilizzo degli strumenti in dotazione, al fine di conseguire il risultato di una riduzione dei tempi, si realizza quell’intento di far perseguire alla persona giuridica l’utilità descritta dalla norma incriminatrice.

Ovviamente, anche in tale ambito l’accertamento dell’interesse o del vantaggio dovrebbe seguire le normali regole probatorie.

Tuttavia, nelle pronunce si è soliti rinvenire automatismi circa la sussistenza dell’interesse o del vantaggio in presenza di violazioni della normativa cautelare.

Tradizionalmente, in materia di responsabilità dell’ente per i reati colposi commessi con violazione delle norme antinfortunistiche, si riteneva ricorresse l’interesse per l’ente nel caso di violazione sistematica delle norme prevenzionistiche da parte della persona fisica che – pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore – realizzava una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.

La giurisprudenza dava rilevanza al connotato della sistematicità delle violazioni, anche se tale requisito non è previsto dal D.lgs. n. 231/2001, nel senso che era sufficiente riscontrare una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari, a prescindere dall’effettivo accertamento di un interesse o vantaggio, perché venisse ritenuto responsabile l’ente.

Di diverso avviso è la recente giurisprudenza, la quale ritiene ravvisabile la sussistenza dell’interesse o del vantaggio per l’ente anche in presenza di “una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea” purché tali requisiti siano rigorosamente provati.

Dunque, non è necessario che le violazioni antinfortunistiche abbiano natura sistematica ai fini della sussistenza dell’interesse o del vantaggio dell’ente, purché ci siano altre evidenze fattuali a dimostrazione del collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente.

D’altronde il requisito della sistematicità delle violazioni non è richiesto dalla normativa né si può ricavare da principi generali in tema di reato colposo. Come rilevato dalla sentenza n. 22256/2021 sarebbe eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti ai fini della responsabilità dell’ente tutte quelle condotte episodiche e occasionali, che pur sorrette da intenzionalità, non siano espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari.

Il connotato della sistematicità delle violazioni non sarebbe insito nei concetti di interesse e vantaggio, ma atterebbe esclusivamente al piano probatorio, quale possibile indice della sussistenza dell’interesse della società, inteso quale elemento finalistico della condotta dell’agente, o della sussistenza e consistenza, sul piano economico, del vantaggio, derivante dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di prevenzione.

La pronuncia in esame, dopo la disamina dei concetti di interesse e vantaggio e della sistematicità delle violazioni esprime anche quello che dovrebbe essere l’iter logico da seguire nell’accertamento dei criteri oggettivi di imputazione.

In particolare, prima occorrerebbe accertare l’interesse e, una volta escluso il criterio dell’interesse perché in assenza della prova che “l’omessa adozione delle cautele sia il frutto di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa (cioè di una specifica politica aziendale volta alla massimizzazione del profitto con un contenimento dei costi in materia di sicurezza, a scapito della tutela della vita e della salute dei lavoratori) e risulti, invece, l’occasionalità della violazione delle norme antinfortunistiche” si dovrebbe accertare il requisito del vantaggio, “che può alternativamente consistere in un apprezzabile risparmio di spesa o in un, sempre apprezzabile, aumento della produttività, e la motivazione della sentenza che riconosca tale vantaggio deve dare adeguatamente conto delle prove, anche per presunzioni, dalle quali lo ha desunto”.

Nel caso di specie la Corte ha accolto il ricorso della società annullando la sentenza impugnata e rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello, per difetto di motivazione, dal momento che la sentenza non dava conto delle prove dalle quali aveva desunto il vantaggio conseguito dall’ente, in termini di apprezzabile risparmio di spesa e di apprezzabile accelerazione del processo produttivo.

In conclusione, affinché la società sia ritenuta responsabile ex D.lgs. n. 231/2001 non è sufficiente che sia stato commesso un reato da una delle persone indicate all’art. 5 del decreto legislativo, ma occorre la sussistenza dell’interesse o del vantaggio, che deve essere rigorosamente provata secondo le normali regole probatorie.

Pertanto, in assenza di un accertamento circa la sussistenza dell’interesse o vantaggio a favore della società non dovrebbe sussistere alcuna responsabilità ex D.lgs. 231/2001 in capo alla stessa.

 

 

 

 

 


Bibliografia e giurisprudenza:
  • Confindustria, Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2021, n. 231
  • Corte di Cassazione, sez. IV, sentenza 08 giugno 2021, 22256.

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Avv. Ketty Colacino

Avvocato del Foro di Verona. Iscritta all'elenco dei difensori d'ufficio. Laureata presso l'Università degli Studi di Verona nel 2015, successivamente, ha ottenuto il titolo presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Università degli Studi di Trento e di Verona.

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