Interpretare i testamenti. I criteri per la ricostruzione della volontà del testatore

Interpretare i testamenti. I criteri per la ricostruzione della volontà del testatore

Sommario: 1. Analogie e differenze con l’interpretazione dei contratti – 2. Apposizione di onere e problemi interpretativi – 3. Valutazione degli elementi estrinseci alla scheda testamentaria

 

1. Analogie e differenze con l’interpretazione dei contratti

Il codice civile italiano dedica il suo secondo libro alle successioni e cristallizza in alcune delle norme ivi contenute la disciplina del testamento. Tuttavia, il legislatore del ’42 ha omesso di mettere per iscritto un sistema di regole cogenti volto a disciplinare, in generale, l’interpretazione del testamento, sebbene ogni disposizione testamentaria vada sempre interpretata al fine di ricostruire la reale volontà del testatore. Infatti, come ogni formulazione lessicale, anche il testamento necessita di essere interpretato affinché si comprenda il significato di quanto dallo stesso previsto.

Per altro verso, con gli articoli che vanno dal 1362 al 1371 cod. civ., si è inteso enucleare principi ermeneutici imperativi che vincolino l’attività interpretativa degli operatori di diritto con riguardo ai contratti; la disciplina è davvero completa e focalizza l’attenzione sul binomio parole-intenzione. Si parte dal dato letterale e si va oltre; l’interprete deve rapportare le parole alla volontà, valutando il comportamento complessivo delle parti anche successivo alla conclusione del contratto.

È lecito chiedersi, allora, se i canoni contenuti nel capo IV, della sezione II “Dei contratti in generale”, del libro IV sulle obbligazioni possano essere utilizzati anche per la risoluzione di problemi interpretativi riguardanti i testamenti.

L’orientamento risalente nel tempo e confermato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità ci segnala che l’interpretazione del testamento è caratterizzata, rispetto a quella del contratto, da una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua delle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 cod. civ. (applicata, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria), va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, con riferimento, essenzialmente nei casi dubbi, anche ad elementi estrinseci alla scheda, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore. Ne deriva che il giudice di merito può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano stato adoperate in senso diverso, purché non contrastante ed antitetico, e si prestino ad esprimere, in modo più adeguato e coerente, la reale intenzione del de cuius.[1]

L’operazione ermeneutica consentita prevede il coordinamento dell’elemento letterale con quello logico dell’atto unilaterale mortis causa, nel pieno rispetto del principio di conservazione.

Certo è che pur essendosi adoperato tale criterio, potrebbe permanere un dubbio sulla volontà del testatore; in questo caso, e al solo fine di chiarire detta volontà, è consentito fare ricorso ad ulteriori criteri. L’interprete potrà, infatti, esaminare altri atti o scritti lasciati dal testatore (ad esempio testamenti nulli, revocati o progetti di testamento); ovvero potrà prendere in considerazione ciò che il testatore ha verbalmente dichiarato dopo la stesura del testamento per precisarne il contenuto; potrà tenere conto della situazione dei luoghi in rapporto all’assegnazione dei beni nonché della personalità, mentalità e condizioni ambientali in cui viveva il testatore. Tuttavia, il ricorso a tali elementi estrinseci al testamento sarà consentito esclusivamente in via sussidiaria, allorquando dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione.[2]

In sostanza, i criteri interpretativi desumibili e applicabili, in caso di dubbi o ambiguità sul testamento, accordano una vera e propria prevalenza alla volontà del testatore. Senonché, è orientamento risalente nel tempo quello secondo cui tale prevalenza non può estendersi sino al punto di sottrarre alla sanzione di nullità quelle disposizioni contra legem che assicurerebbero non già la volontà del testatore quanto la frode alla legge. Non a caso, il favor testamenti cristallizzato nella disciplina codicistica induce a ritenere che qualora un testamento o una clausola testamentaria ammettano due interpretazioni, di cui una ne importerebbe la nullità totale o parziale, debba essere preferita quella che eviti tale nullità e consenta alla volontà del testatore di avere pratica e concreta applicazione.[3]

2. Apposizione di onere e problemi interpretativi

A proposito di disposizioni testamentarie, l’art. 588 cod. civ. stabilisce che, indipendentemente dall’espressione o denominazione usata dal testatore, queste siano a titolo universale e attribuiscano la qualità di erede se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Differentemente, tutte le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario. Il problema interpretativo relativo alla distinzione tra erede e legatario nasce, in verità, dalla stessa formulazione dell’art. 588 che al suo secondo comma prevede che l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.

Orbene, in tali casi l’interprete dovrà compiere un’indagine dal duplice carattere. Da un lato, l’indagine sarà di carattere oggettivo e riferita al contenuto dell’atto; dall’altro, l’indagine sarà di carattere soggettivo e riferita all’intenzione del testatore. Solo in seguito a tale duplice indagine potrà stabilirsi se attraverso l’assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitamente considerato (sicché la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere l’istituzione nell’universum ius (sicché la successione è a titolo di legato).[4]

La questione viene a complicarsi ulteriormente qualora su una disposizione testamentaria venga apposto un onere. L’art. 647 cod. civ. prevede, infatti, che tanto all’istituzione di erede quanto al legato può essere apposto un onere. Si tratta di un motivo particolarmente rilevante che limita la portata economica o giuridica della attribuzione con l’imposizione di un obbligo giuridico di dare, di fare o di non fare a carico dell’onorato, che diventa anche onerato, cioè obbligato all’adempimento dell’onere e soggetto, in caso di inadempimento, all’azione di risoluzione prevista dall’art. 648 cod. civ. Si tratta di un modus che si qualifica come elemento accidentale ed accessorio rispetto al negozio testamentario.

Chiariamo con un esempio. Tizio, deceduto nell’agosto 2015, a mezzo di testamento olografo del febbraio 2015 aveva attribuito all’associazione Alfa, a titolo di legato, un immobile da destinare alle attività di sostegno dei soggetti bisognosi per cui la stessa associazione era stata istituita. Con successiva e-mail del marzo 2015, Tizio chiariva all’associazione che l’attività di sostegno per i bisognosi si sarebbe dovuta concretizzare nella realizzazione di un dormitorio all’interno del quale avrebbero potuto trovare ricovero i soggetti beneficiari delle attività svolte dall’associazione. Dalla fattispecie così delineata si evince chiaramente l’onere apposto da Tizio al legato in favore dell’associazione: quest’ultima deve adibire l’immobile ricevuto a dormitorio. Con la conseguenza che, in mancanza, si configurerebbe un vero e proprio inadempimento in virtù del quale, come previsto dall’art. 648 cod. civ., su richiesta di qualsiasi interessato, il giudice potrà pronunciare la risoluzione della disposizione testamentaria, a patto che la risoluzione sia stata prevista dal testatore ovvero che l’adempimento dell’onere abbia costituito il solo motivo determinante della disposizione.

3. Valutazione degli elementi estrinseci alla scheda testamentaria

Complichiamo ulteriormente l’esempio poc’anzi descritto.

L’associazione Alfa riceve l’immobile e, come previsto dalla e-mail del testatore, lo adibisce a dormitorio in favore di ragazze vittime di violenza domestica. Senonché, nell’agosto 2020, l’associazione decide di mutare la destinazione dell’immobile, realizzando delle aule che avrebbero ospitato dei corsi gratuiti di autodifesa in favore dei beneficiari delle attività associative.

Alla luce del nuovo fatto, l’associazione avrebbe violato il modus apposto dal testatore al legato. Logica conseguenza è che qualsiasi interessato, come ad esempio i figli del defunto Tizio, sarebbero legittimati ad agire per la dichiarazione della risoluzione della disposizione testamentaria od anche per l’adempimento stesso. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, infatti, che in tema di legato modale, l’inadempimento del modus ad opera del legatario legittima il beneficiario, al pari dei prossimi congiunti, ancorché eredi, a proporre, oltre all’azione di adempimento, quella di risoluzione, ex art. 648, comma 2, c.c., avendo egli interesse, ove sia anche erede, a conseguire il vantaggio patrimoniale derivante dalla restituzione della res e, in ogni caso, a soddisfare le esigenze morali perseguite dal de cuius, rimaste irrealizzate a causa dell’inadempimento dell’onerato.[5]
Per altro verso, l’associazione potrebbe contestare che il chiarimento riguardante la destinazione dell’immobile era stato fornito con una mera e-mail ordinaria, priva di qualsivoglia sottoscrizione da parte del de cuius.

Di qui i problemi interpretativi.

Per sciogliere il nodo, l’interprete dovrà innanzitutto verificare l’esistenza dei requisiti tipici del testamento olografo. In altre parole, questi dovrà verificare che la scrittura privata sia autografa, datata e sottoscritta dal testatore, proprio nel pieno rispetto di quanto sancito dall’art. 602 cod. civ.

Ciò fatto, qualora dall’interpretazione della scrittura si evincano dubbi o ambiguità sul contenuto, l’interprete potrà avvalersi anche di elementi estrinseci al testamento, al solo fine di chiarire eventuali espressioni dubbie o talune parole, sulla scia di tutta quella giurisprudenza di legittimità in virtù della quale la volontà del testatore, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1362 cod. civ., va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione, potendosi fare riferimento ad elementi estrinseci alla scheda stessa.

Pur tuttavia, rimane fermo un indissolubile punto. L’interprete, invero, mai potrà avvalersi dei dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.[6]

Peraltro, nel caso di specie, l’onere viene apposto a mezzo e-mail. L’ e-mail non gode dei requisiti di forma che legittimino il suo uso per fini interpretativi, non essendo autografa né sottoscritta dal testatore.

In definitiva, se da un lato è consentito all’interprete procedere ad una indagine e successivo uso di dati estrinseci al testamento, col fine di ricostruire l’esatta volontà del testatore, mai e poi mai tali dati potranno essere utilizzati qualora attribuiscano un significato prima inespresso e volto alla modifica della disposizione testamentaria.

 

 

 

 

 


[1] Cass. civ. 28.7.2015, n. 15931 (già Cass. civ. 7.2.1987, n. 1266).
[2] Cass. civ. 24.4.2018, n. 10075.
[3] Cass. civ. 17.5.1969, n. 1701.
[4] Cass. civ. 6.10.2017, n. 23393.
[5] Cass. civ. 7.3.2016, n. 4444.
[6] Cass. civ. 12.3.2019, n. 7025.

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