La buona fede in fase di formazione del contratto ed i vizi incompleti

La buona fede in fase di formazione del contratto ed i vizi incompleti

Sommario: 1. La buona fede oggettiva: nozione – 2. Obblighi comportamentali – 3. Fattispecie di responsabilità precontrattuale – 3.1 Recesso ingiustificato dalle trattative – 3.2 Conoscenza delle cause di invalidità – 3.3 Teoria dei vizi incompleti – 4. Conclusioni.

1. La buona fede oggettiva: nozione

La buona fede in fase di formazione del contratto va intesa in senso oggettivo, come regola di comportamento cui devono attenersi i trattanti (art. 1337 c.c.). Essa si differenzia dalla buona fede soggettiva, che si identifica in uno stato psicologico consistente nella convinzione da parte del soggetto agente che il suo comportamento sia conforme alla legge e non contrasti con un diritto altrui.

La buona fede oggettiva è stata prevista espressamente, per la prima volta, nel codice civile del 1942 e trova il proprio fondamento costituzionale nel dovere di solidarietà di cui all’art. 2.

Inizialmente, la dottrina e la giurisprudenza negavano l’autonomia della stessa, ritenendo che potesse assumere rilievo solo nei casi in cui fosse espressamente richiamata da una norma. Tale atteggiamento negazionistico trovava fondamento nella preoccupazione di affidare ai giudici un mezzo piuttosto elastico, in quanto tale idoneo a consentire un’eccessiva libertà interpretativa nonché a fungere da strumento di contestazione della “lex contractus”.

Successivamente, la nozione di buona fede è stata riempita di significato ma rapportata al concetto di diligenza di cui all’art.  1176 c.c. Tuttavia, la dottrina più attenta ha criticato tale impostazione ritenendo che si tratti di due istituti diversi tra loro. La diligenza, infatti, si riferisce all’adempimento dell’obbligazione (che rappresenta una conseguenza del contratto), opera esclusivamente in fase esecutiva e riguarda solo il debitore; la buona fede, invece, si riferisce ad entrambe le parti e trascende l’ambito esecutivo del rapporto rilevando anche al cessare dello stesso e, soprattutto, in fase precontrattuale.

Ecco allora che si è sviluppata l’idea, poi avallata anche dalla giurisprudenza, secondo cui la buona fede si identifica in una clausola generale che pone regole integrative di comportamento che, se violata in fase di trattative, dà luogo ex art. 1337 c.c. a responsabilità precontrattuale, forma di responsabilità ideata per la prima volta dalla dottrina tedesca e posta a tutela della libertà negoziale.

2. Obblighi comportamentali

La regola di condotta posta dalla buona fede si sostanzia in due doveri: dovere di correttezza ed obbligo di salvaguardia.

Il dovere di correttezza impone a ciascun trattante diversi obblighi. Innanzitutto un obbligo di informazione, in base al quale il soggetto deve fornire tutte le notizie necessarie alla stipula di un contratto valido, efficace ed utile. In secondo luogo, un dovere di chiarezza, cioè di fornire le indicazioni in modo non ambiguo cosicché possano essere pienamente comprese dalla controparte. Infine, un obbligo di segretezza, consistente nel dovere di non divulgare le notizie apprese in virtù delle trattative.

L’obbligo di salvaguardia, invece, pone in capo ai soggetti il dovere di porre in essere tutti gli accorgimenti necessari, ancorché non previsti, per salvaguardare l’utilità della controparte laddove questo non comporti un apprezzabile sacrificio.

Il dovere di comunicazione, in cui si sostanzia la buona fede, si specifica e tipizza nell’art. 1338 c.c., rubricato «conoscenza delle cause di invalidità», che prevede in capo ai trattanti il dovere di avvisare la controparte in ordine alla sussistenza di cause di invalidità, pena il risarcimento del danno.

3. Fattispecie di responsabilità precontrattuale

La violazione del dovere di buona fede è fonte di responsabilità precontrattuale. In particolare, è possibile individuare tre ipotesi: recesso ingiustificato dalle trattative; mancata comunicazione alla controparte della sussistenza di una causa di invalidità con conseguente stipula di un contratto invalido; stipula di un contratto affetto da “vizio incompleto”.

3.1 Recesso ingiustificato dalle trattative

Una prima ipotesi di violazione del dovere di buona fede con conseguente responsabilità precontrattuale si configura in caso di recesso ingiustificato dalle trattative comportante la mancata stipulazione del contratto. La responsabilità non si fonda tanto sul mancato perfezionamento dell’accordo quanto, piuttosto, sul fatto di non aver esternato i propri dubbi circa l’effettiva intenzione di stipulare il contratto, lasciando così che la controparte vi facesse affidamento. Quest’ultimo dovrà essere giustificato e la sua sussistenza sarà valutata in base allo stato di avanzamento delle trattative.

3.2 Conoscenza delle cause di invalidità

Una seconda ipotesi di violazione del dovere di buona fede, anch’essa fonte di responsabilità precontrattuale, è pacificamente configurabile allorquando si addivenga alla stipula di un contratto invalido, laddove una delle parti fosse a conoscenza della causa di invalidità e non ne abbia dato notizia all’altra. Nel caso di specie, pur essendo stato stipulato un contratto, si ha lesione della libertà negoziale perché la controparte aveva fatto affidamento su un contratto poi risultato invalido in quanto nullo, annullabile o rescindibile. Ovviamente, affinché sia ravvisabile una responsabilità, è necessario che l’affidamento in ordine alla validità del contratto sia incolpevole.

3.3 Teoria dei vizi incompleti

La terza ipotesi riguarda il caso in cui la violazione della regola di buona fede abbia dato luogo ad un contratto inficiato da un vizio incompleto. I vizi incompleti sono quei vizi inidonei a dar luogo a nullità, annullabilità o rescissione ma che comunque incidono sul contratto perché in loro assenza la parte lo avrebbe concluso a condizioni diverse, avrebbe cioè avuto un altro contenuto. È il caso, ad esempio, dell’errore non essenziale.

Una parte della dottrina aveva cercato di sussumere tale ipotesi nell’art. 1338 c.c. qualificando la regola di buona fede come regola imperativa la cui violazione avrebbe determinato la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, comma I c.c. La Cassazione, intervenendo anche a Sezioni Unite, ha però negato tale possibilità sostenendo che la buona fede rappresenti una regola di comportamento, non di validità. La giurisprudenza ha tuttavia riconosciuto che nel caso de quo sia configurabile la responsabilità precontrattuale. Essa, infatti, è da ritenersi sussistente ogniqualvolta si abbia violazione della regola di buona fede, si abbia cioè un comportamento scorretto dal quale siano derivati pregiudizi alla controparte. Secondo i sostenitori di detta tesi, una conferma della stessa si rinverrebbe nell’art. 1440 c.c. relativo al dolo incidente, infatti, qui si prevede che il contraente in mala fede sia chiamato a risarcire i danni laddove i raggiri da lui posti in essere, seppur inidonei a determinare l’annullabilità del contratto, abbiano inciso sul contenuto dello stesso. Ovviamente, affinché sia configurabile una responsabilità è necessario che il vizio incompleto dia luogo ad un pregiudizio apprezzabile perché nel caso in cui esso sia irrisorio ed esiguo, il comportamento scorretto sarà irrilevante. L’entità del pregiudizio si valuta avuto riguardo al valore economico dell’operazione posta in essere.

L’indirizzo ermeneutico favorevole alla rilevanza dei vizi incompleti è stato sottoposto a critica da una parte minoritaria della dottrina. Una prima obiezione sottolinea che riconoscendo rilevanza ai vizi de quibus si determinerebbe un’estensione illimitata della responsabilità precontrattuale. Infatti, si porrebbe il problema di capire se rilevi qualunque diversità contenutistica e, in caso negativo, in base a quale parametro individuare il quantum di diversità rilevante. Inoltre, viene contestato il richiamo all’art. 1440 c.c., sottolineando che proprio da tale norma si dovrebbe desumere la tendenziale irrilevanza dei vizi incompleti; infatti, per configurare la responsabilità nel caso in cui il dolo abbia inciso esclusivamente sul contenuto contrattuale, il legislatore ha previsto una norma ad hoc.

4. Conclusioni

Le fattispecie sopradescritte danno luogo alla responsabilità precontrattuale ed il rimedio conseguente ai pregiudizi arrecati si sostanzia nel risarcimento del danno composto sia dal danno emergente che dal lucro cessante. Quest’ultimo è rapportato all’interesse negativo, cioè all’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili oppure a non stipulare un contratto invalido, tuttavia, visto che in alcuni casi la responsabilità de qua è ravvisabile anche in presenza di un contratto validamente concluso, sarebbe opportuno revisionare il parametro in esame.


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Barbara Druda

Nel dicembre 2014 ha conseguito con lode la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "La bancarotta preferenziale" (Relatore: Prof. Giovannangelo De Francesco). Dal febbraio 2015 all'agosto 2016 ha svolto il Tirocinio presso la Procura della Repubblica di Firenze ove, affiancando un magistrato, si è occupata di criminalità economica, prestando particolare attenzione al ramo dei reati tributari, societari, fallimentari e dei delitti contro il patrimonio. In questi diciotto mesi ha svolto importanti indagini concernenti delitti di bancarotta e frodi fiscali. Dal febbraio 2015 al dicembre 2016 ha altresì svolto la pratica forense presso un rinomato studio associato del foro pisano dove si è occupata prevalentemente di diritto civile. Il 10 ottobre 2017 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense superando l'esame presso la Corte d'Appello di Firenze previa interrogazione sulle seguenti materie: Diritto Penale, Diritto Civile, Diritto Amministrativo, Diritto Processuale Civile ed Unione Europea. Scrive articoli in materia sia civilistica che penalistica per diverse riviste giuridiche online. Dal 9 gennaio 2018 è iscritta all'Albo degli Avvocati di Pisa e dall'aprile 2018 è titolare di uno studio legale.

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