La co-genitorialità nell’ambito delle coppie omosessuali e l’interesse superiore del minore

La co-genitorialità nell’ambito delle coppie omosessuali e l’interesse superiore del minore

La perpetua evoluzione della società odierna ha portato al progressivo ampliamento del concetto di famiglia. Ad oggi, invero, la società è caratterizzata da legami sempre più complessi e articolati che spesso prescindono dai tradizionali rapporti giuridicamente riconosciuti. Accanto alla coppia sposata si sono, infatti, affermate coppie connotate da diverse tipologie di relazioni, la cui diffusione a macchia d’olio ha comportato la necessità di un intervento legislativo volto ad assicurare loro una tutela sul piano giuridico.

L’evolversi delle relazioni sociali ha così portato all’affermarsi di un nuovo filone giurisprudenziale distaccatosi dai tradizionali istituti giuridici e fondato sulla centralità della persona e sul fondamentale diritto di autodeterminazione.

Se, da un lato, appaiono superate, ancorché parzialmente, le questioni inerenti la tutela e il riconoscimento delle coppie di fatto e delle coppie omosessuali, mediante l’introduzione della legge sulle unioni civili e le convivenze di fatto n. 76 del 2016, dall’altro, sono al contempo emersi ulteriori problemi vertenti sul concetto di genitorialità e sul preminente interesse del minore.

Com’è noto con il termine famiglia non si intende più fare riferimento, oltre che a legami sorretti dall’istituto del matrimonio, tantomeno a relazioni fondate su vincoli biologici.

Nella terminologia giuridica è entrata in campo la c.d. genitorialità sociale, al fine di dare maggior rilievo alle relazioni effettive e consolidate, piuttosto che naturali. Il motivo principale che ha dato adito all’affermarsi di nuove forme di genitorialità, degne di tutela al pari delle tradizionali, si rinviene nel fondamentale interesse del minore a uno stabile rapporto con i genitori, ritenuto superiore rispetto al diverso interesse a mantenere fermi e imprescindibili i legami di sangue.

Invero, la giurisprudenza con il tempo ha dato sempre maggior rilievo e importanza all’interesse del minore, qualificandolo come criterio orientativo e principale nelle scelte in materia di famiglia, la cui preminenza trova diretto riconoscimento nella Carta costituzionale. In particolare, l’art 30 cost. equipara le posizioni dei figli nati al di fuori dal matrimonio e dei figli nati nel matrimonio, riconducibili alle ormai superate categorie dei figli naturali e figli legittimi, ponendo in capo ai genitori un pari diritto e dovere di mantenerli, istruirli ed educarli.

Parimenti, anche al diritto alla genitorialità è stato progressivamente attribuito rilievo costituzionale, quale diritto fondamentale della persona riconducibile alla libertà di autodeterminazione.

Tuttavia, i diritti della personalità non hanno una tutela illimitata, dovendo sottostare al giudizio di bilanciamento per l’ipotesi di conflitto tra più interessi di rango costituzionale.

Un problema di bilanciamento si è posto in relazione alle pratiche di procreazione medicalmente assistita, che involgono, da un lato, il diritto all’autodeterminazione in materia di procreazione, connesso al generale diritto alla genitorialità, e dall’altro, il diritto alla dignità umana, rispetto al quale talvolta la giurisprudenza ha peraltro riconosciuto valore oggettivo, dovendosi tutelare anche a prescindere dalla volontà del singolo.

In materia di procreazione medicalmente assistita la Corte costituzionale dal 2009 ha posto in essere una operazione di smantellamento della legge n. 40 del 2004 che prevedeva il divieto di crioconservazione degli embrioni frutto di fecondazione extracorporea e il divieto di creare embrioni in eccesso rispetto alla quantità strettamente necessaria per un unico contemporaneo impianto e comunque in numero maggiore di tre.

La Corte costituzionale, estendendo la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita dapprima alle coppie sterili o infertili e poi altresì alle coppie portatrici di gravi malattie genetiche, ha espressamente riconosciuto tutela costituzionale al diritto di procreare, quale diritto strettamente connesso al concetto di famiglia nella più ampia nozione ad oggi vigente.

Se però, da un lato, è stato ammesso il ricorso alla fecondazione assistita, benché in ipotesi limitate, dall’altro, permane il divieto della pratica della maternità surrogata, che, seppur rientrante nella nozione di fecondazione assistita, non costituisce di per sé una tecnica di procreazione.

Tale divieto ha un impatto di certo importante sul diritto costituzionale di procreare, il quale, benché non illimitato, non può essere del tutto soppresso.

La maternità surrogata è una pratica connotata dal fatto che la madre gestazionale è estranea al nucleo familiare, in quanto pone il proprio corpo a disposizione della coppia committente al fine di condurre l’intera gravidanza. Si parla di “surrogazione omologa” quando i gameti provengono entrambi dalla coppia, rispetto ai quali dunque la madre surrogata si pone quale mera ospite; è detta invece “surrogazione eterologa” l’ipotesi di ovodonazione, che può provenire sia dalla stessa madre surrogata sia da un terzo donatore, nel qual caso si parla di “maternità trina” posto che coinvolge tre soggetti che si distinguono tra madre surrogata, madre biologica e madre sociale.

La maternità surrogata, dunque, consente di procreare a quelle coppie che naturalmente non potrebbero farlo e perciò si pone quale fondamentale ausilio in particolare per le coppie omossessuali.

Di conseguenza, il categorico divieto posto dalla legislazione nazionale determina una forte compressione, se non un totale annullamento, della libertà di autodeterminazione in materia di procreazione e del diritto a costituire una completa vita familiare per le coppie omossessuali, posto che fra l’altro non è loro consentito neppure il ricorso all’adozione, procedura già di per sé estremamente complessa e problematica.

La questione si pone in termini ancor più complessi se si considera che alcuni Stati esteri consentono la predetta procedura, motivo per il quale non è infrequente che coppie sia etero che omo-sessuali ivi si rechino per poi rientrare in Italia e ottenere, mediante trascrizione nei registri dello stato civile, il riconoscimento dello status di figlio del nato mediante maternità surrogata e dello status di madre e padre dei committenti.

Inoltre, occorre rilevare il potenziale conflitto che potrebbe insorgere tra il diritto alla genitorialità della coppia, l’interesse del minore nato a seguito di maternità surrogata (interesse che è da ritenersi tendenzialmente preminente e inderogabile) e la tutela dell’ordine pubblico in considerazione del divieto posto dalla legge nazionale.

In passato la giurisprudenza si era espressa sul punto individuando quale preminente interesse del minore il legame biologico con la madre naturale, di talché disconoscendo la maternità della madre sociale sul presupposto per cui il divieto suddetto è da considerarsi un principio di ordine pubblico internazionale.

A tale conclusione la giurisprudenza è approdata valorizzando la dignità della persona umana della gestante, che, a prescindere dalla sua volontà, è da ritenersi superiore rispetto al diritto alla procreazione.

In questi termini, dunque, il giudizio di bilanciamento ha avuto un esito sfavorevole per la libertà di autodeterminazione in virtù della diversa nozione di interesse del minore, improntata più su vincoli biologici che su quelli effettivi.

Successivamente, invece, la Cassazione ha sposato un orientamento opposto per cui l’interesse del minore non deve essere ancorato al mero accertamento del legame di sangue, ma attiene al mantenimento dello stabile e continuo rapporto genitoriale che può sussistere anche rispetto ai genitori sociali.

La questione si era posta in riferimento alla trascrizione dell’atto di nascita di un figlio nato da due donne, l’una che lo aveva partorito e l’altra che aveva donato l’ovulo.

La Cassazione, con una pronuncia del 2017, discostandosi dal precedente indirizzo, ha escluso che il divieto di maternità surrogata rappresenti un principio di ordine pubblico, posto che quest’ultimo è da riferirsi solo in relazione ai principi fondamentali derivanti dalla Carta costituzionale o da fonti internazionali o sovranazionali e non, invece, in relazione alla legge ordinaria.

Il limite dell’ordine pubblico, quindi, non osta alla trascrizione dell’atto di nascita di un figlio nato sulla base di una pratica contrastante con la legge nazionale, atteso che in ogni caso deve sempre essere preso come criterio orientativo l’interesse superiore del minore, anche nella scelta circa la corretta interpretazione da attribuire al concetto di ordine pubblico.

Parimenti, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha valorizzato l’interesse del minore quale principale indice guida delle decisioni in materia, che richiede di indagare sull’effettività del legame familiare, sulla sua continuità e stabilità. Invero, come dalla stessa sottolineato, non appare ragionevole far gravare sul minore le conseguenze della violazione della disciplina nazionale, il quale ha diritto di mantenere il proprio status di figlio e il rapporto con i genitori sociali, atteso che non esiste un unico modello di famiglia ancorato al legame biologico.

Tuttavia, l’orientamento pocanzi descritto ha trovato un improvviso cambio di rotta in una pronuncia delle Sezioni Unite del 2019. In particolare, la Cassazione a Sezioni Unite ha qualificato il divieto della maternità surrogata in termini di principio di ordine pubblico, facendo leva sulla tutela della dignità umana su cui si fonda, quale valore fondamentale di rilevanza costituzionale.

La legge ordinaria, quindi, anche alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale, assurge da fonte idonea a far emergere un regola di ordine pubblico, laddove si ponga a presidio di diritti costituzionali. Di talchè, limitazioni al riconoscimento di atti stranieri risultano giustificate qualora la legge straniera si ponga in rapporto non tanto di incompatibilità, quanto di vero e proprio contrasto con la legge interna posta a tutela di valori fondamentali.

Di conseguenza, secondo le Sezioni Unite, l’interesse del minore retrocede a fronte non solo della tutela della dignità della gestante, ma anche del complesso bilanciamento di interessi che trova espressione nella disciplina dell’adozione.

Giova sottolineare però che la dignità della donna assume rilievo preminente ove la pratica abbia un fondamento commerciale, in quanto si pone la problematica di evitare condotte di sfruttamento del corpo altrui; al contrario, nel caso di donna che, per spirito altruistico, decida di portare avanti una gravidanza nell’interesse di un’altra coppia, difficilmente può ravvisarsi una lesione della dignità della stessa, alla quale quindi dovrebbe quantomeno riconoscersi valenza oggettiva per poter prevalere sull’interesse del minore.

Sotto il profilo dell’adozione, inoltre, appare evidente come non sorgano problemi laddove nessun componente della coppia committente abbia un legame genetico con il figlio, mentre alcune difficoltà nell’applicazione della disciplina dell’adozione si incontrerebbero nel caso in cui almeno uno dei due sia il genitore biologico.

Il caso di specie sottoposto al giudizio delle Sezioni Unite coinvolgeva una coppia omosessuale, composta da due uomini, che chiedeva la trascrizione in Italia dell’atto con cui veniva riconosciuta la co-genitorialità rispetto al figlio nato da una madre surrogata e una donatrice di ovociti, rispetto al quale solo uno dei due padri aveva un legame genetico.

Le Sezioni Unite hanno evidenziato le differenze rispetto al caso oggetto di vaglio nella precedente pronuncia della Cassazione del 2017 di cui si è detto.

In primo luogo, nell’ipotesi di due madri, entrambe possono dare il proprio contribuito alla nascita, l’una donando il proprio ovulo, l’altra portando avanti la gravidanza. Inoltre, nel caso precedente non si trattava in realtà di maternità surrogata quanto piuttosto di fecondazione eterologa, posto che non vi era un patto tra madre partoriente e committenti, ma la gravidanza era stata proseguita per loro stesse, non per altri.

Sulla base di questi presupposti la Suprema Corte ha escluso la possibilità di applicare il medesimo ragionamento al caso di specie sottoposto al suo giudizio.

Dunque, giustificando così il proprio cambio di rotta, la Cassazione ha riconosciuto come ostacolo alla trascrizione dello status di figlio e al riconoscimento della co-genitorialità l’ordine pubblico in quanto limite posto all’ingresso di atti stranieri a tutela dei valori fondamentali nazionali e internazionali, quali sono la dignità umana e l’istituto dell’adozione rispetto al divieto della maternità surrogata.

Secondo la Suprema Corte, l’interesse del minore al mantenimento del proprio status di figlio deve comunque essere sottoposto a un giudizio di bilanciamento, all’esito del quale risulterà soccombente laddove emerga l’interesse pubblicistico al contrasto della maternità surrogata, fondato sull’esigenza di tutelare il diritto fondamentale alla dignità personale.

L’orientamento delle Sezioni Unite, però, non ha trovato largo consenso.

Invero, è stata criticata la scelta di sottrarre il bilanciamento al giudizio dell’autorità giudicante in virtù di un antecedente bilanciamento compiuto dal legislatore e per il quale l’interesse del minore è risultato recessivo.

La giurisprudenza costituzionale ed europea ha sempre attribuito fondamentale importanza all’interesse del minore, il quale non può essere sacrificato sulla base di un giudizio astratto e a priori che non tiene conto del caso concreto.

Il giudice, infatti, deve orientare il proprio giudizio ricercando la soluzione meglio rispondente all’interesse del figlio, soluzione che non può ancorarsi al solo dato oggettivo dell’insussistenza di legami biologici, ma deve fondarsi su plurimi elementi, quali ad esempio il carattere di stabilità e continuità del legame genitoriale o il carattere commerciale della maternità surrogata.

Altro passaggio della sentenza non esente da critiche è stato quello relativo alla disciplina dell’adozione nei casi particolare. Disciplina che nel caso di specie non si attaglia perfettamente, posto che non vi è la necessità di dare una veste giuridica al c.d. terzo genitore, in quanto il figlio è il frutto di una scelta condivisa della coppia nell’ambito di un progetto familiare comunemente costituito.

Le peculiarità connesse alla c.d. stepchild adoption danno conto della sua inidoneità a soddisfare pienamente l’interesse del minore all’effettivo e pronto riconoscimento dello status di figlio, interesse indicato dalla maggioranza della giurisprudenza quale fondamentale, preminente e superiore rispetto all’ordine pubblico.

Infine, occorre rilevare che, stante la necessità di un giudizio in concreto, alla medesima conclusione non può pervenirsi in caso di figlio nato a seguito di maternità surrogata, laddove non si sia ancora stabilita una relazione genitoriale concreta e duratura con la coppia committente. In tale ipotesi evidentemente il divieto suddetto ostacolerà il riconoscimento dello status di figlio, non essendo possibile ravvisare un interesse del minore al rapporto genitoriale tale da determinarne la prevalenza in termini assoluti sul divieto nazionale.

Da ultimo, occorre segnalare la questione di legittimità costituzionale sollevata di recente dalla I sezione civile della Corte di Cassazione relativa allo stato civile dei bambini nati mediante maternità surrogata vietata ai sensi dell’art. 12 co. 6 l. 40/2004.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 33/2021, ha dichiarato inammissibile la questione «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta ‘maternità surrogata’) del c.d. genitore d’intenzione non biologico». Per tutelare i nati da maternità surrogata occorre «il riconoscimento giuridico del legame tra il bambino e la coppia che se ne prende cura», esercitando di fatto la responsabilità genitoriale. Va però sottolineata la necessità di un indifferibile intervento del legislatore per rimediare all’attuale vuoto normativo e all’insufficienza di tutela per gli interessi del minore.


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