La codificazione del contrasto all’illecita diffusione di immagini o video sessualmente espliciti

La codificazione del contrasto all’illecita diffusione di immagini o video sessualmente espliciti

Lo sviluppo delle tecnologie ha già da diversi anni portato all’emersione di nuovi beni giuridici da tutelare o all’esigenza di potenziare il contrasto rispetto a nuove tipologie di aggressioni. Il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti di cui all’art. 612 ter c.p. ha la finalità di tutelare la persona offesa da atti lesivi dell’immagine, della reputazione, della sfera emotiva e sociale, della libertà di autodeterminazione, della libertà sessuale; presenta una clausola di riserva che esclude il concorso tra questa fattispecie e le ipotesi più gravi con le quali la stessa potrebbe concorrere.

Nella descrizione delle condotte penalmente rilevanti il legislatore distingue tra:

1) chiunque dopo averli realizzati o sottratti, invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate;

  • soggetto agente: chiunque

  • condotta presupposta: l’agente ha realizzato o ha sottratto immagini/video

  • caratteristiche immagini/video: contenuto sessuale; contenuto sessuale esplicito; destinazione a rimanere privati

  • condotte punite dal 612 ter c.p.: – invio; – consegna; – cessione; – pubblicazione; – diffusione

  • caratteristica delle azioni atte a configurare il reato: assenza del consenso delle persone riprese  

  • dolo: generico

2) chiunque avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento

  • soggetto agente: chiunque

  • condotta presupposta: l’agente ha ricevuto o ha acquisito immagini/video;

  • caratteristiche immagini/video: contenuto sessuale; contenuto sessuale esplicito; destinazione a rimanere privati

  • condotte punite dal 612 ter c.p.: – invio; – consegna; – cessione; – pubblicazione; – diffusione

  • caratteristiche delle azioni atte a configurare il reato: assenza del consenso delle persone ripresefinalità di recare nocumento alle persone riprese

  • dolo: specifico

Il soggetto agente in entrambe le ipotesi è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

L’anticipazione della soglia di punibilità appare finalizzata a consentire la punizione delle condotte che mettano in pericolo il bene giuridico, riservatezza/privacy, tutelato.

L’ipotesi di reato sembra infatti configurata come un reato di pericolo, non essendo richiesto, al fine della configurazione del delitto, che si verifichi l’apprensione da parte di una pluralità di utenti del materiale diffuso, né che si produca realmente un danno.

Nonostante sia sempre più evidente che il legislatore legiferi sulla scorta delle reazioni umorali che si evincono dai media e dai social, va osservato che la norma esplicita atti già precedentemente ricondotti a ipotesi codificate, in maniera poco efficace coerente pratica e poco logica.

Ed invero se ad esempio Tizio riceve una foto sessualmente esplicita ritraente Caia e la cede a Sempronio e Mevio senza il suo consenso per vantare una conquista seppur non corrispondente a verità, la condotta di Tizio non sarà penalmente rilevante ai sensi dell’art. 612 ter c.p..

Qualora Sempronio e Mevio diffondano a loro volta sui social network l’immagine ritraente Caia scherzando su quanto occorso, saranno a loro volta esenti da responsabilità penale.

Senza considerare che il mittente potrebbe essere la stessa Caia, indi la persona ritratta nell’immagine (c.d. “sexting”).

Il materiale pornografico può infatti essere carpito in diversi modi:

  • mediante il sexting, auto-ripresa di immagini/video in pose intime successivamente inviate a terzi;

  • mediante la ripresa durante un rapporto sessuale con il consenso dei partners;

  • mediante la ripresa della vittima durante momenti intimi attraverso telecamere nascoste;

  • mediante l’hacking dello spazio di archiviazione cloud o backup dei files/del dispositivo.

Va osservato che dubbi sorgono rispetto alla utilità di tale previsione in merito al requisito del carattere “sessualmente esplicito” dovendosi infatti riscontrare che taluni episodi di cronaca, soprattutto correlati a bullismo, cyberbullismo o estorsioni, attengono a foto/video diffusi senza il consenso delle persone rappresentate, al fine di arrecare grave nocumento, ma aventi ad oggetto momenti di sesso simulato.

Con riguardo allo specifico tema dell’aggressione sessuale rilevano principalmente le disposizioni degli artt. 609 bis commi 1 e 2 c.p. (violenza sessuale), art. 609 ter c.p. (circostanze aggravanti) e art. 609 quater c.p. (atti sessuali con minorenne). Costante giurisprudenza di legittimità evidenzia che la condotta vietata dall’art. 609 bis c.p. comprenda, oltre ad ogni forma di rapporto sessuale, anche qualsiasi atto idoneo a ledere la libertà sessuale e ricomprenda, dunque, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porne in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale. Ciò che rileva è la natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria (Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, P.G. in proc. C., Rv. 263738; Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, P., Rv. 262470).

Da una interpretazione letterale dell’art. 612 ter c.p. andrebbero dunque considerati video o immagini a contenuto sessualmente esplicito, quelli attinenti alle zone erogene non necessariamente limitate agli organi genitali, ma che possano riguardare anche altre parti anatomiche o coinvolgere parti non direttamente erogene. Potrebbe trattarsi di files attinenti ad atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possano essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci[1].

Lo spettro delle condotte punibili è conseguentemente estremamente ampio.

Voluntas legis emerge dai lavori preparatori e dai disegni all’esame della Commissione giustizia quali l’A.S. 1200 e i disegni di legge nn. 1134[2] (Aimi e altri) e 1076[3] (Evangelista e altri): nell’ordinamento italiano non esiste una autonoma fattispecie di reato volta a sanzionare le condotte riconducibili al fenomeno del c.d. revenge porn.

Si riconduce a tale locuzione la creazione consensuale di immagini intime o sessuali all’interno di un contesto di coppia e la non consensuale pubblicazione delle stesse da parte di uno dei membri.

La relazione al DDL S. 1134 chiarisce che alla diffusione delle immagini si accompagnano, sovente, informazioni dettagliate sulla vittima, al fine di renderla identificabile, per cagionare alla stessa umiliazioni e sofferenze. In diversi, tragici, casi la vittima si è suicidata in seguito alla diffusione delle proprie immagini in momenti di intimità.

Il comma 2 dell’articolo 1 del Disegno di Legge A.S. 1076 fornisce una definizione di cosa debba intendersi per immagini o video privati sessualmente espliciti: ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di soggetti consenzienti coinvolti in attività sessuali esplicite. Nel relativo dossier si ricorda che la Cassazione (Cass. pen. Sez. III, Sentenza 10 giugno 2015, n. 42964) – con riguardo al delitto di pornografia minorile – abbia ritenuto che possa integrare una condotta sessualmente esplicita anche “la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica”.

Tale definizione non compare nel testo del DDL S. 1200[4]. Nella nota breve di questo atto si evidenzia che la disposizione si proponga di punire la condotta degli eventuali “condivisori” delle immagini diffuse dall’autore del reato poiché ciò che rende il revenge porn più grave e pericoloso è la eventuale condivisione. Quest’ultima fa sì che la lesione della riservatezza della vittima sia amplificata fino a irreversibili conseguenze. Con riguardo a tale previsione la nota segnala la difficoltà di provare l’effettiva conoscenza da parte del condivisore della mancanza di consenso a monte da parte della vittima.

Praemissis praemittendis la scelta del legislatore è stata quella di affidare all’esegesi giurisprudenziale il concetto di “sessualmente esplicito”.

Una probatio diabolica non indifferente è invece il consenso o meno della persona offesa con particolare riferimento a come possa la vittima provare il diniego e come possa l’agente provare il consenso.

Rileva al riguardo che – posto che le deposizioni testimoniali costituiscano di norma piena prova dei fatti in esse attestati quando siano munite di una sufficiente coerenza logica e di una adeguata precisione, indi non quando tali requisiti non siano pienamente presenti nelle dichiarazioni dei testi ovvero quando queste siano in contrasto con altri elementi di prova, ovvero sussistano ragioni di risentimento nei confronti delle persone accusate (cfr. C 28-6-90, Cariello, ivi 91, 1034) – la deposizione della persona offesa dal reato non sia immune da sospetto perché portatrice di interessi in posizione di antagonismo con quella dell’imputato/a, dovendosi così analizzare qualsiasi elemento di riscontro o di controllo ricavabile dal processo.

L’art. 612 ter c.p. prevede che la pena sia aumentata se i fatti sono commessi:

  • dal coniuge, anche separato o divorziato;

  • da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa;

  • attraverso strumenti informatici o telematici (seppur tale ultima aggravante crei stupore riconducendosi a ipotesi di scuola la cessione, l’invio, la consegna, la pubblicazione, la diffusione…. non attraverso smartphone o pc).

Per quanto riguarda le modalità di esecuzione, in un’ipotesi base di revenge porn la pena sarà praticamente già aggravata da ben due circostanze ad effetto comune.

Il contenuto pornografico viene di solito linkato sulle pagine social della vittima, caricato su siti web o pagine create ad hoc, incoraggiando chi visualizza a scaricare, condividere, commentare.

Il file è inoltre inviato via e-mail o whattsApp a familiari, amici e colleghi della persona offesa. Dunque nella prassi è sempre ricorrente l’uso di strumenti informatici o telematici e spesso si tratta di fatti commessi dal coniuge, dall’ex partner o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi:

  • in danno di persona in condizione di inferiorità fisica;

  • in danno di persona in condizione di inferiorità psichica;

  • in danno di una donna in stato di gravidanza.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede d’ufficio se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o di una donna in stato di gravidanza oppure quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Contrariamente a quanto statuito dall’art. 124 c.p. il termine per la proposizione della querela è di sei mesi (corrispondente al termine più elevato previsto per i reati di violenza sessuale).

Paradossalmente quello che stupisce del lungo termine di querela previsto è proprio il controsenso laddove si voglia impedire una larga diffusione dei files.

Per quanto possa essere difficile maturare in determinati contesti la volontà di sporgere querela, nel caso dei reati in esame, una tempestiva reazione è ciò che il legislatore dovrebbe consigliare alla vittima. Soprattutto se la norma vuole tutelare anche la privacy, la reputazione, l’immagine.

A ciò aggiungasi che in un’ottica di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, il comportamento di chi scatta fotografie intime unitamente al proprio partner e trascorsi ben cinque mesi ad esempio dalla conoscenza della avvenuta divulgazione, ancora non sporga denuncia (avendo del resto un tempo massimo di mesi sei per farlo) rischierebbe di apparire prima facie ben diverso rispetto al comportamento di chi si premuri a sporgere querela il giorno stesso oppure il giorno dopo la scoperta di una divulgazione di tale genere.

La differenza tra questa e le forme di violenza attinenti alle fattispecie che prevedono una estensione del termine di proposizione della querela concerne soprattutto il bene tutelato e il tempo di elaborazione del trauma, necessario alla vittima.

In delitti quale quello di cui all’art. 612 ter c.p. per absurdum si dovrebbe invitare al rispetto dei termini ex 124 c.p. piuttosto che dilatarli immotivatamente e pretendere politicamente e mediaticamente risposte giudiziarie tempestive.

Corre l’obbligo di domandarsi conseguentemente cosa succederebbe se un giorno un presunta vittima presentasse in ritardo una querela. Sull’onda del singolo caso, quella che è stata definita la regola della legiferazione “casistico elettoralistica”[5] rischierebbe di portare a un ulteriore, verosimile, allarme sociale e a una nuova ingolfante corsia preferenziale.


[1]http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/_RELAZIONE_E_Gai_Laggressione_alla_liberta_sessuale_.pdf
[2] http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/51438.htm
[3] http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/dossier/51326_dossier.htm
[4] http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/FascicoloSchedeDDL/ebook/51600.pdf
[5] https://www.camerepenali.it/public/file/Comunicati/Comunicati%20Giunta%20Migliucci/C-210-UCPI_Procedibilit-a-querela-dei-reati-sessuali_def.pdf

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Veronica Ribbeni

Nel curriculum vitae et studiorum figurano, tra le altre esperienze formative e professionali, l'abilitazione e il pregresso esercizio della professione forense per numerosi anni, il Percorso Formativo Multidisciplinare per Avvocati per il conseguimento di uno specifico profilo professionale nelle materie attinenti a tutte le forma di violenza contro le donne organizzato dalla Fondazione dell’Avvocatura Italiana, al fine di promuovere l’attuazione del Protocollo di Intesa siglato con il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri; il superamento dell'esame finale con lode del Master di I livello in scienze investigative, forensi, sociologiche e criminologiche presso l’Università degli Studi di Palermo - dipartimento di discipline processualpenalistiche. Autrice del manuale "Atti persecutori: ipotesi di reato" Mjm Editore Srl e dell'e-book "Difendersi in Internet" http://www.difesaconsumatori.com/ component/dms/view_document/3-difendersi-in-internet?Itemid=113

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