La coltivazione domestica di sostanze stupefacenti per uso personale: la decisione delle SS.UU. Caruso n° 12348/2020

La coltivazione domestica di sostanze stupefacenti per uso personale: la decisione delle SS.UU. Caruso n° 12348/2020

Con ordinanza dell’11 giugno 2019 la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha deciso di sottoporre la questione in esame al vaglio delle Sezioni Unite.

Ai sensi dell’art. 73, co.1 D.P.R. 309/1990 (TU in materia di sostanze stupefacenti), infatti, è penalmente sanzionata la condotta di colui che, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, coltiva sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’art. 14.

La coltivazione è consentita solo qualora sia stata ottenuta l’autorizzazione del Ministero della sanità (art. 17, co.1), la quale può essere rilasciata solo a “enti o imprese il cui titolare o legale rappresentante, se trattasi di società, sia di buona condotta e offra garanzie morali e professionali. Gli stessi requisiti deve possedere il direttore tecnico dell’azienda” (art. 19, co.2).

L’art. 14 include nelle sostanze stupefacenti sia quelle frutto di sintesi chimica sia le piante le quali sono più propriamente oggetto di coltivazione.

La risposta sanzionatoria sul piano penale della condotta di coltivazione, anche laddove questa avvenga con la finalità di far uso personale della sostanza ricavata, trovava giustificazione in quanto tale fattispecie non presenta il nesso di immediatezza della coltivazione con l’uso personale (tipico delle condotte di detenzione, acquisto, importazione di stupefacente per uso personale) e non è determinabile in modo certo il quantitativo di sostanza ritraibile, determinando, così, una maggiore pericolosità della condotta stessa perchè destinata ad accrescere in modo indiscriminato i quantitativi di droga presenti sul mercato.

Alla luce della L. n° 242/2016 è esclusa la rilevanza penale delle condotte di coltivazione, anche senza autorizzazione, di quelle piante (art. 17 – Direttiva 2002/53/CE), produttive di sostanza stupefacente, il cui principio attivo (THC) non superi 0,6 (“cannabis light”).

Con la sentenza n° 12348 (CARUSO), depositata il 16 aprile 2020, la Suprema Corte ha dato spazio alla distinzione tra coltivazione “tecnico-agraria” e quella “domestica”, tenendo ben presente che l’irrilevanza penale della coltivazione domestica (se finalizzata al consumo personale) non viene estesa alla nozione di detenzione;

Mediante la pronuncia in esame sono stati individuati una serie di parametri oggettivi sintomatici della rilevanza penale o meno della condotta di coltivazione tra cui: la prevedibilità della potenziale produttività; l’entità della coltivazione; le modalità di svolgimento (in forma domestica o industriale); la rudimentalità o meno delle tecniche utilizzate; il numero delle piante coltivate; la oggettiva destinazione del prodotto, precisando che la mera intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale da sola è insufficiente a escludere la rispondenza del tipo legale penalmente sanzionato, essendo indispensabile la sussistenza di un nesso di immediatezza oggettiva con tale uso.

Le Sezione Unite hanno reputato penalmente irrilevante la condotta di coltivazione domestica, tenendo conto dei parametri oggettivi appena illustrati (difatti non opera il principio di offensività: manca la potenziale aggressione al bene giuridico tutelato, ravvisato nella salute – individuale e collettiva – che trova un ancoraggio costituzionale diretto nell’art. 32).

Il reato (previsto in termini di pericolo presunto) non potrà ritenersi configurato laddove, all’esito di un accertamento ex post effettuato dal giudice di merito, emerga che la coltivazione ha prodotto effettivamente una sostanza inidonea a provocare un effetto stupefacente in concreto rilevabile.

Questo accertamento è diversificato a seconda che il ciclo delle piante sia completato o meno: infatti nel primo caso occorrerà verificare l’esistenza di una quantità di principio attivo (THC) necessario a produrre un effetto drogante; nel secondo caso, invece, con riferimento alle fasi pregresse, la previsione normativa della punibilità della coltivazione in quanto tale consente di ritenere penalmente rilevante la stessa, a qualsiasi stadio della pianta, purchè si svolga in condizioni tale da potersene prefigurare il positivo sviluppo.

In questo secondo caso, per escludere la punibilità, rileva: la non adeguata modalità di coltivazione verosimilmente inidonea a realizzare il risultato finale; il prodotto della coltivazione non corrisponde al tipo botanico o con un contenuto di principio attivo troppo povero per la sua utile destinazione all’uso.

Le Sezione Unite hanno così schematizzato: non costituiscono condotte penalmente rilevanti le coltivazioni domestiche al fine esclusivo di autoconsumo, in presenza dei parametri oggettivi sopra illustrati; la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata all’uso personale, anche se ottenuta attraverso la coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio di cui all’art. 75 D.P.R. 309/1990; alla condotta di coltivazione penalmente illecita, in caso di sussistenza dei presupposti per ritenere la particolare tenuità della stessa o di minore gravità del fatto, sono comunque applicabili sia l’art. 131 bis c.p. che l’art. 73, co. 5, T.U. Stupefacenti.

Alla luce delle argomentazione sopra esposte le S.S. U.U. hanno enunciato il seguente principio: “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato di stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

Occorre sottolineare che le conclusioni a cui sono giunte le SS UU con la pronuncia n° 12348/2020 si pongono in armonia con il diritto europeo e, in particolare, con la decisione quadro del Consiglio n° 2004/757/GAI che esclude dal novero dei reati che gli Stati membri devono prevedere in materia di traffico di stupefacenti le condotte di coltivazione “tenute dai loro autori soltanto ai fini del consumo personale” (art. 2, paragrafo 2 della Direttiva).

Costituisce, quindi, condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata la destinazione dei prodotti ad uso personale, con l’unico limite nel caso in cui le piante coltivate non consentano di ricavare sostanza stupefacente in grado di produrre effetto drogante, integrandosi in tal caso la fattispecie di reato impossibile, ai sensi dell’art. 49 c.p. per inidoneità della condotta.


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Federica Bolla

Abilitata alla professione di avvocato. Laureata in Giurisprudenza con una tesi in diritto penale progredito “Le nuove fattispecie di corruzione, induzione e concussione alla luce della L. 190/2012. L corruzione tra privati alla luce del D. Lgs. n°38/2017”. Attualmente ha concluso la pratica forense; iscritta all'Albo dei praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo del Foro di Novara. Nel periodo universitario ha svolto l'attività di tutor in materie giuridiche, anche per studenti con disabilità e disturbi dell'apprendimento, oltre che attività di assistenza e indirizzamento all'iscrizione del percorso universitario. Ha scritto l'articolo "Ahmed Fdil bruciato vivo: la "giustizia" nel processo penale minorile" per il contest giuridico "Scripta Manent" organizzato dalla pagina giuridica Office Advice; la giuria ha conferito la menzione d'onore all'articolo.

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