La confisca nel diritto penale tributario

La confisca nel diritto penale tributario

Sommario: 1. Premessa – 2. Le confische tributarie: figure di confisca diverse dalla confisca ex art. 240 c.p. – 3. L’introduzione della confisca, anche per equivalente, nella disciplina dei reati tributari – 4. La confisca diretta e la nozione di profitto confiscabile: Sezioni Unite “Adami” e “Gubert” – 5. La confisca per equivalente e la nozione di “disponibilità” – 6. Riflessioni conclusive

 

1. Premessa

La confisca penale, diversa da quella amministrativa [1] nonché dall’espropriazione per pubblica utilità [2] , determina un’apprensione al patrimonio dello Stato definitiva e senza alcun indennizzo. La confisca, disciplinata al capo II del titolo VIII del libro I del codice penale inerente le misure di sicurezza patrimoniali, si riferisce, ai sensi dell’art. 240 c.p., all’espropriazione ad opera dello Stato delle cose che «servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto» [3] . A fianco alla figura generale di confisca suindicata, il Legislatore penale ha introdotto innumerevoli tipologie di confisca, specifiche per i diversi settori e con ambiti applicativi differenti. Infatti, «l’eterogeneità delle confische ha reso difficile un’univoca collocazione delle stesse, anche solo tra quelle di matrice tributaria, all’interno delle misure di sicurezza previste dal codice penale ovvero di sanzioni sui generis o, ancora, di pene accessorie» [4] 

2. Le confische tributarie: figure di confisca diverse dalla confisca ex art. 240 c.p.

In merito alle cosiddette “confische tributarie”, disciplinate agli articoli 12- bis e 12- ter del decreto legislativo n. 74 del 2000, ossia la cosiddetta “Legge sui reati tributari”, queste assumono per il destinatario la funzione di pena. Infatti, dal diritto penale tributario sono nate figure di confisca extra codicem derogatrici rispetto alla figura generale della confisca come misura di sicurezza patrimoniale prevista all’art. 240 c.p. La più recente riforma del sistema fiscale è la legge 19 dicembre 2019, n. 157, con la quale è stato convertito, con modificazioni, il decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, il cosiddetto «decreto fiscale» il quale, tra le varie novità, ha introdotto all’art. 12- ter la confisca allargata. Si tratta dell’estensione della particolare ipotesi di confisca disciplinata all’art. 240- bis c.p., derubricato “ Confisca in casi particolari”, a gran parte dei reati fiscali. Tale forma di confisca ha ad oggetto il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non riesce a giustificare la provenienza e di cui risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, con un valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato, o alla propria attività economica. Pertanto, dopo aver proceduto con la confisca, anche per equivalente, del profitto dell’evasione, si deve procedere ad un’ ulteriore attività di controllo sull’intero patrimonio del condannato. Se all’esito di questa verifica il patrimonio risulta sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati o alle attività svolte, si procede alla confisca della quota del patrimonio priva di giustificazione.

3. L’introduzione della confisca, anche per equivalente, nella disciplina dei reati tributari

In tale contesto si colloca la Legge 24 dicembre 2007, n. 244, ossia la Legge Finanziaria del 2008, la quale per colmare le difficoltà derivanti dalla configurazione del risparmio d’imposta come profitto del reato da confiscare in via diretta, disponeva che anche ai condannati per i reati tributari si applicasse l’art. 322- ter c.p. introducendo, dunque, la cosiddetta “confisca per equivalente”. Pertanto, è l’art. 1, comma 143, della Legge n. 244 del 2007 [5] che ha introdotto la confisca obbligatoria a seguito di condanna per i reati tributari, mediante un rinvio all’art. 322- ter c.p. [6] . Mentre la confisca ordinaria di cui all’art. 240 c.p. colpisce unicamente i beni che hanno un collegamento diretto con il fatto illecito, la confisca per equivalente di cui al summenzionato art. 322- ter c.p. ha ad oggetto beni che non riguardano il reato, ma che costituiscono il controvalore del prezzo o del profitto dello stesso. Questi ultimi non devono essere rinvenuti, affinché la misura si applichi ad altri beni di valore equivalente di libera disponibilità dell’indagato, essendo questo il presupposto della confisca ex art. 322- ter c.p. È per questo motivo che la confisca per equivalente nei reati tributari assume la natura giuridica di “misura sanzionatoria”, poiché non è valutata rispetto alla colpevolezza del reo e alla gravità della condotta; oltre ad avere anche una funzione dissuasiva e disincentivante. La confisca obbligatoria, anche nella forma per equivalente, è stata introdotta solo successivamente nel decreto legislativo n. 74 del 2000, all’art. 12- bis , con la modifica del sistema sanzionatorio penale-tributario ad opera del decreto legislativo n. 158 del 2015. La disciplina previgente disponeva il rinvio all’art. 322- ter c.p. unicamente per alcuni reati tributari specificamente elencati, dai quali era escluso il delitto ex art. 10 del decreto legislativo n. 74 del 2000, ossia l’occultamento o la distruzione di documenti contabili; invece, con la nuova disciplina introdotta con la riforma del 2015 è stata estesa l’applicazione della confisca a tutti i delitti contenuti nel predetto decreto legislativo. Invero, la finalità primaria dell’intervento era quella di ricomprendere nel corpus normativo della Legge sui reati tributari l’istituto della confisca obbligatoria, già esistente perché disciplinato all’art. 1, comma 143, della Legge n. 244 del 2007, ma di collocazione, difatti, “extravagante”.

4. La confisca diretta e la nozione di profitto confiscabile: Sezioni Unite “Adami” e “Gubert”

L’attuale art. 12- bis del decreto legislativo n. 74 del 2000 [7] disciplina, al primo comma, le due ipotesi di “confisca tributaria” obbligatoria: la confisca diretta, o in alternativa, qualora la stessa non risulti possibile, la confisca per equivalente. Relativamente alla confisca diretta, il prezzo del reato è rappresentato dal compenso ricevuto o promesso per indurre qualcuno a commettere l’illecito penale, «ad esempio, il quantum percepito dall’emittente di fatture per operazioni inesistenti oppure da colui il quale occulti o distrugga le scritture contabili per consentire a terzi l’evasione» [8] ; invece, il profitto è rappresentato dal vantaggio economico derivante dalla commissione del reato, «normalmente va individuato nella produzione di nuova ricchezza (ad esempio, un fittizio credito di imposta che generi un indebito rimborso), ovvero nel mancato decremento patrimoniale, connesso a un risparmio d’imposta» [9] . Sul punto, con la nota sentenza Gubert delle Sezioni Unite, è stato ampliato il principio di causalità, introducendo nella nozione di “profitto” «non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa» [10] . Nella nozione di “profitto” sicuramente vi rientra, pertanto, l’ammontare dell’imposta evasa, la quale consiste «in un risparmio economico derivante dall’effettiva sottrazione degli importi non versati in conformità alla loro destinazione fiscale di cui direttamente beneficia l’autore» [11] . La confisca, secondo una prima teoria, dovrebbe essere valutata in riferimento unicamente all’imposta evasa e non anche agli interessi o alle sanzioni che ugualmente si ricomprendono nella pretesa fiscale poiché il profitto è rappresentato dal risparmio d’imposta. Tuttavia, questa tesi non è sostenuta all’unanimità; la Cassazione, infatti, più volte intervenuta sul punto ha, al contrario, cristallizzato nella nota sentenza Adami l’orientamento secondo il quale la confisca dovrebbe essere valutata anche in base agli interessi e alle sanzioni [12] . La questione è stata però affrontata rispetto all’art 11 del d.lgs. 74/2000, ossia la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, pertanto, sembra corretto nel caso di specie il ragionamento della Corte dato che dal tenore della disposizione si evince che per determinare il profitto a cui commisurare la confisca occorre impiegare criteri differenti. Inoltre, quest’orientamento è stato ripreso e applicato impropriamente anche nella sentenza Gubertin tale contesto si trattava, invece, di illeciti dichiarativi per questo l’applicazione del principio cristallizzato nella sentenza Adami non era correttamente applicabile.

Inoltre, con la nota sentenza Gubert le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciante anche in merito all’applicazione della confisca e del sequestro preventivo ad essa funzionale alle persone giuridiche, prima dell’inserimento di alcuni reati tributari nel cosiddetto “catalogo 231” ad opera della riforma del 2019. I giudici delle Sezioni Unite separavano l’istituto della confisca diretta da quella per equivalente: ammettevano l’applicazione della confisca diretta del profitto anche nei confronti di una persona giuridica per gli illeciti commessi dalla persona fisica nell’interesse della società, quando il profitto o i beni a questo riconducibili rimanevano nella disponibilità dell’ente; al contrario, non ammettevano la confisca per equivalente, salvo il caso in cui la persona giuridica fosse solo fittizia e facesse da schermo all’effettivo titolare, ossia l’amministratore o il legale rappresentante. La portata della riforma del 2019, che ha inciso anche sulla responsabilità degli enti per i reati fiscali, dunque, rileva per aver introdotto la confisca per equivalente del profitto dell’evasione fiscale anche a carico dell’ente che dalla stessa evasione abbia tratto beneficio [13] .

5. La confisca per equivalente e la nozione di “disponibilità”

Relativamente alla confisca per equivalente, come già previsto dalla disciplina previgente, deve essere applicata nel caso in cui non sia possibile procedere mediante la confisca diretta. Colpisce beni che non hanno alcun collegamento con il reato e di cui il reo ha la disponibilità. Quest’ultima è valutata non solo in riferimento al diritto di proprietà ma anche rispetto a tutte quelle situazioni giuridiche ad essa subordinate ma idonee a determinare un pieno godimento del bene. E’ la Terza Sezione penale della Suprema Corte che, valutando il concetto di “disponibilità” rispetto all’applicazione dell’art. 12- bis, comma 1, ha chiarito che: «ai fini della configurazione del concetto di disponibilità è sufficiente l’esistenza di un potere di fatto sulla cosa, esercitabile anche mediante terzi, tale da consentire di ritenere che la stessa rientri nella sfera di interessi economici del reo cosicché tale potere può anche non avere l’estensione corrispondente al possesso, come definito dall’art. 1140, comma 1 c.c., essendo sufficiente l’esistenza di un potere di fatto nel senso anzidetto, anche più limitato di quello spettante al possessore, giacché può anche non ricomprendere tutti i poteri e le facoltà a questi riservate, purché sussista un potere di fatto sulla cosa che consente di ritenere che la stessa rientri nella sfera di interessi del reo e che questi abbia il potere, anche tramite terzi, di goderne e disporne» [14] . 

6. Riflessioni conclusive

Il giudice penale compie autonomamente la valutazione sulla determinazione dell’imposta evasa, essendo oramai abolita la pregiudiziale tributaria ed essendo stato introdotto il principio del “doppio binario”, di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 [15] , in virtù del quale il procedimento penale e il processo tributario proseguono indipendentemente l’uno dall’altro. Dunque, anche nel processo penale la quantificazione del tributo evaso assume rilievo per la commisurazione della confisca, e non più solo per verificare il superamento della soglia di punibilità [16] .

 


[1] In ambito amministrativo la confisca viene categorizzata quale misura amministrativa accessoria, temporanea e con carattere sanzionatorio.
[2] L’espropriazione di beni per pubblica utilità, colpisce quei beni dichiarati “di pubblica utilità”, nei soli casi prestabiliti dalla legge e dietro corresponsione di un idoneo indennizzo.
[3] Cfr. art. 240, comma 1, c.p.: “Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la  confisca  delle cose che servirono o furono destinate a commettere il  reato , e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”.
[4] DEGANI G.E., La confisca del profitto nei reati tributari: questioni aperte, in Giurisprudenza penale web , 2020, 5. https://www.giurisprudenzapenale.com , 3.
[5] Cfr. art. 1, comma 143, legge n. 244/2007: “Nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del  decreto legislativo  10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”.
[6] Cfr. art. 322-ter, comma 1, c.p.: “Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale , per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”. 
[7] Cfr. art. 12 bis, comma 1, d.Lgs. n. 74/2000: “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. Il comma 2 di tale articolo disciplina, invece, un’ipotesi particolare: quando il contribuente si impegna a versare all’Erario quanto dovuto la confisca non può operare, salvo il caso di mancato versamento, per il quale la confisca è sempre disposta. Sul punto è opportuno segnalare la giurisprudenza della Suprema Corte: Corte Cass., III sez. penale, sent. n. 5728 del 2016, in www.pluris.it : «deve comunque ritenersi che solo l’integrale pagamento del debito tributario possa condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo insufficiente la mera presenza di un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo». Ancora, nella stessa decisione la Suprema Corte segnala che il secondo comma dell’art. 12- bis si riferisce agli obblighi assunti in maniera formale «tra i quali rientra l’ipotesi di accordo, raggiunto con l’Agenzia delle entrate, per il pagamento rateale del debito di imposta».
[8] VALCARENGHI G., Reati tributari e confisca: il nuovo scenario applicabile al 2020, in Accertamento e contenzioso, n. 61, 2020, 3.
[9] Ibidem.
[10] Corte Cass., sez. unite penali, sent. n. 10561 del 2014, in www.pluris.it .
[11] CUOMO L., Problemi di giustizia penale tributaria: la confisca per equivalente del profitto, in Archivio penale, n. 1, 2014, 7.
[12] Cfr. Corte Cass., sez. unite penali, sent. n. 18734 del 2013 in www.pluris.it : il profitto confiscabile, anche per equivalente, è formato da “qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione di un reato e anche consistente in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni, dovuti a seguito di accertamento del debito tributario”. 
[13] Cfr. Cass., Sez. unite penali, sent. n. 10561 del 2014, op. cit.
[14]Corte Cass., III sez. penale, sent. n. 554 del 2019, in www.pluris.it.  
[15] Cfr. art. 20, comma 1, d.Lgs. 74/2000: “Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”.
[16] Cfr. PERUZZA D., Il ruolo del procedimento tributario nella determinazione dell’imposta evasa ai fini del giudizio penale, in http://www.rivistatrimestraledirittotributario.com/ , 2, 2015: il presupposto comune dei reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74/2000 è integrato laddove la condotta determini l’evasione delle imposte in una misura superiore ad una determinata soglia, individuata dalla legge, al di sotto della quale l’illecito non assume penale rilevanza, ma rimane confinato nell’ambito della responsabilità amministrativa.

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