La Consulta: il convivente more uxorio può fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza a persona con handicap

La Consulta: il convivente more uxorio può fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza a persona con handicap

Nonostante  il Legislatore recentemente abbia fatto passi da gigante con la ormai arcinota riforma Cirinnà, sono indubbie le notevoli difficoltà che si riscontrano in concreto essendo ancora tanti gli istituti giuridici che necessitano di essere adeguati. Ed infatti, malgrado l’intervento normativo, restano ambiti ancora scoperti che rischiano di causare disparità.

Con la legge n° 76/2016 si è passati dalla mera tollerabilità della “convivenza di fatto” alla sua regolamentazione sul piano giuridico. Ciononostante, alcuni aspetti della vita quotidiana sono inevitabilmente sfuggiti al Legislatore. È quanto avvenuto in relazione alla disciplina contenuta nella L. n° 104/1992, recante norme sulla assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, ed in particolare rispetto all’art. 33 oggetto di una recente, ma quanto mai rilevante, pronuncia della Corte Costituzionale.

L’articolo in questione, rubricato “Agevolazioni”, regola la possibilità che a taluni soggetti sia consentito di assentarsi dal lavoro per alcuni giorni,  dietro contribuzione, al fine di assistere un parente affetto da grave infermità. L’attenzione che ha condotto il Tribunale di Livorno a sollevare la questione di legittimità costituzionale si è concentrata sul comma 3, riguardante i soggetti beneficiari dei giorni di permesso mensile retribuito.

L’art. 33, comma 3, prevedendo che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età (…), ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito”, esclude implicitamente che del permesso possa beneficiarne il convivente, non essendo in alcun modo menzionato.

Tale estromissione è parsa quanto mai irragionevole ai giudici di merito, soprattutto in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, assunti quali parametri di legittimità della questione in esame.

Quanto all’art. 2 Cost., in particolare, esso forniva  già prima della Legge Cirinnà fondamento costituzionale alle relazioni di fatto, quali forme di realizzazione dell’individuo e, dunque, quali ulteriori formazioni sociali al fianco della famiglia fondata sul matrimonio. Pertanto, la privazione del beneficio ex art. 33 L. 104/1992 trascura proprio chi in quella formazione sociale svolge la propria personalità, e che lo stesso art. 2 Cost. intenderebbe invece tutelare.

Da ciò segue la lesione dell’art. 3 Cost, posto che la disciplina attuale realizzerebbe una disparità di trattamento irragionevole per il sol fatto che il disabile, bisognoso di assistenza, sia o meno legato dal vincolo matrimoniale con il beneficiario.

Ultima, ma non meno importante, sarebbe la violazione dell’art. 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute, rientrante tra i principali diritti fondamentali della persona. É probabilmente questo l’aspetto più rilevante, in linea con la ratio della legge oggetto di questione di legittimità.

L’istituto del permesso mensile retribuito è espressione dello Stato sociale e ha la funzione di garantire la giusta assistenza ai soggetti portatori di handicap, che altrimenti non potrebbero provvedere ai propri bisogni di vita. L’intenzione, quindi, è quella di favorire la loro tutela, attraverso l’aiuto fornito da persone a loro legate affettivamente. Pertanto, negare l’agevolazione al convivente more uxorio significherebbe minare innanzitutto il diritto alla salute del disabile, per il sol fatto di essere legato da una relazione di fatto. Diritto, questo, che rappresenta proprio l’oggetto di tutela della L. 104/1992.

La Corte Costituzionale con sentenza n° 213/2016 ha ritenuto fondata la questione e ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 33, comma 3  nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.

E come già più volte ribadito, quest’ulteriore “traguardo” nei confronti delle coppie di fatto non vuole significare una parificazione alle coppie unite in matrimonio, posto che i due nuclei affettivi, pur trovando medesimo fondamento nell’art. 2 Cost., appartengono coscientemente a piani distinti di regolazione. Altrimenti osservando, il convivente more uxorio sarebbe tenuto al rispetto di quei vincoli sorgenti dal matrimonio, che invece ha voluto “evitare”.


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