La Consulta sul divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva reiterata

La Consulta sul divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente sulla recidiva reiterata

Con sentenza n. 73/2020, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 quarto comma c.p. nella parte in cui statuisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante della seminfermità mentale di cui all’art. 89 c.p. sulla recidiva reiterata ex art. 99 quarto comma c.p., per contrasto con gli artt. 3 e 27 terzo comma Cost.

Si tratta di una pronuncia di indubbia rilevanza che torna su un tema assai caro alla giurisprudenza costituzionale, ossia il rapporto tra gli automatismi sanzionatori e il principio di proporzionalità della pena, in ossequio a quella fondamentale funzione rieducativa cui quest’ultima è orientata nel sistema delineato dalla Costituzione.

Ed invero, proseguendo sulla via di quel “metodo casistico” già ampiamente collaudato nell’approccio all’art. 69 c.p., norma cardine del giudizio di bilanciamento tra circostanze, è venuto meno un ulteriore automatismo sanzionatorio nei rapporti tra la recidiva reiterata e le diminuenti, di guisa da consentire all’interprete di riappropriarsi di quegli spazi di discrezionalità funzionali a stabilire una pena proporzionata, concretamente rispondente non solo al disvalore oggettivo del fatto di reato ma altresì al disvalore soggettivo del medesimo.

Per comprendere meglio i termini della questione è opportuno prendere le mosse dalla disciplina del concorso di circostanze di cui all’ 69 c.p., tenendo presente le modifiche normative che si sono succedute nel corso del tempo. Difatti, originariamente, il quarto comma della predetta disposizione sottraeva ai criteri dettati per il bilanciamento nei commi precedenti tutte le circostanze inerenti la persona del colpevole oltre a quelle per le quali “la legge stabilisce una pena di specie diversa o determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato”(ossia le circostanze autonome e indipendenti). Tra le circostanze inerenti la persona del colpevole figuravano e figurano tuttora nel disposto dell’art. 70 c.p. quelle concernenti l’imputabilità e la recidiva. Nell’ottica autoritaria del legislatore del 1930 siffatti elementi non potevano confluire nel giudizio di comparazione e il giudice era costretto a procedere separatamente ad aumenti o diminuzioni di pena connessi alla capacità di intendere e di volere del soggetto agente.

Verso la metà degli anni Settanta (d.l. n. 99 del 1974 convertito con modificazioni nella legge 7 giugno 1974 n. 220), allo scopo di allentare gli argini di una disciplina così restrittiva, si estese indiscriminatamente il giudizio di bilanciamento a tutte le circostanze, ivi comprese quelle inerenti la persona del colpevole. La predetta modifica normativa produsse tuttavia esiti insoddisfacenti, dilatando in maniera incontrollata la discrezionalità giudiziaria con il rischio di disparità e  di incertezze in sede applicativa.

Si arriva così alla riforma del 2005 (art. 3 legge n. 251 del 2005 nota anche come  “legge ex “Cirielli”)   che, nel riscrivere il quarto comma dell’art. 69 c.p., ha posto una serie di deroghe al giudizio di comparazione tra le circostanze, statuendo, ai fini che in questa sede rilevano, un  assoluto divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata ex art. 99 quarto comma c.p., imbrigliando conseguentemente la valutazione discrezionale del giudice entro limiti angusti.

Orbene, il quarto comma dell’art. 69 c.p. ha subito numerose pronunce di illegittimità costituzionale: in virtù di quell’approccio casistico dapprima menzionato, la Consulta anziché procedere a una declaratoria d’illegittimità tout court della suddetta disposizione, ha preferito scrutinare la compatibilità dell’automatismo sanzionatorio dalla stessa prefigurato in rapporto a singole circostanze attenuanti, tenendo ben conto delle peculiarità sottese alle fattispecie via via considerate.

Nelle varie sentenze rese su tale disposizione si coglie peraltro un filo conduttore: le deroghe alla disciplina ordinaria del bilanciamento tra le circostanze rientrano senza dubbio nella discrezionalità del legislatore ma possono essere sindacate e per l’effetto caducate dalla Corte, laddove trasmodino nella manifesta irragionevolezza e nell’arbitrio, sì da alterare gli equilibri che la Costituzione richiede nella costruzione della fattispecie penale. La Consulta ha dunque inaugurato un prolifico percorso volto a far cadere la prevalenza assoluta della recidiva reiterata su talune circostanze ritenute particolarmente significative ai fini della valutazione della gravità concreta del reato.

Esemplifica tale approccio metodologico la sentenza n. 251 del 2012, nella quale Il Giudice delle leggi ha sancito l’incostituzionalità del quarto comma dell’art. 69 c.p. nella parte in cui implicava il divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità del delitto di produzione e traffico di sostanze stupefacenti ex art. 73 co. 5 del d.p.r. n. 309/1990 sulla recidiva reiterata.[1] In tale occasione, dopo aver ricordato che la recidiva reiterata riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità, la Consulta ha evidenziato che essi, per quanto indubbiamente pertinenti al reato, non possono oscurare del tutto la valutazione della dimensione oggettiva del fatto: il principio di offensività è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sull’individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale.

Oltre alla cennata sentenza si possono allora menzionare le pronunce del 2014 (numeri 105 e 106)  relative alle circostanze attenuanti dei casi di particolare tenuità del delitto di ricettazione e dei casi di minore gravità nel delitto di violenza sessuale, nonché la sentenza n. 205 del 2017 sulla circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità nella bancarotta fraudolenta e nel ricorso abusivo al credito. Discorso a parte merita la pronuncia n. 74 del 2016 che, a differenza di quelle sinora citate tutte dedicate a circostanze espressive di un minor disvalore oggettivo del fatto di reato,  ha stigmatizzato il divieto di prevalenza di una circostanza che è tesa a premiare il reo in ragione della propria positiva condotta post delictum,  ovverosia l’essersi adoperato affinché il delitto di produzione e traffico di sostanze stupefacenti non sia portato a conseguenze ulteriori ( art. 73 co, 7 d.p.r. 309 del 1990); tuttavia si tratta pur sempre di una circostanza significativa ai fini della determinazione della gravità del reato.

Il nutrito complesso delle sentenze volte a far cadere le preclusioni reintrodotte dalla “legge ex Cirielli” si è così arricchito gradualmente sino a giungere alla recentissima sentenza sui rapporti tra la recidiva reiterata e la diminuente della seminfermità mentale prevista dall’art. 89 c.p.

La Corte Costituzionale ha accolto le censure sollevate dall’ordinanza di rimessione in merito alla violazione degli artt. 3 e 27 terzo comma Cost.. Il combinato disposto di tali norme, invero, postula che la pena sia proporzionata, in quanto adeguatamente rispondente sia al concreto disvalore oggettivo del fatto di reato, sia al disvalore soggettivo espresso dal fatto stesso.

È indubbio, peraltro, che il disvalore soggettivo sia condizionato non solo dalla volontà criminosa, i.e. il grado della dolo o della colpa, ma anche dall’eventuale sussistenza di elementi che sono suscettibili di intaccare l’iter motivazionale del soggetto agente, rendendolo più o meno rimproverabile. Tra questi fattori, evidenzia la Consulta, un ruolo preponderante è assunto proprio da quelle patologie o da quei disturbi significativi della personalità che, alla stregua delle attuali cognizioni medico-forensi, sono in grado di diminuire, senza eliderla del tutto, la capacità di intendere e di volere dell’autore del reato.

A un minor grado di rimproverabilità soggettiva deve corrispondere, stante l’evocato principio di proporzionalità, una pena inferiore a quella che sarebbe irrogabile dinanzi a un fatto di pari disvalore oggettivo: la circostanza attenuante contemplata dall’art. 89 c.p. esprime proprio quest’esigenza, consentendo di modulare il trattamento sanzionatorio qualora vi siano elementi che concretamente incidono sulle capacità cognitive del soggetto agente rendendolo meno rimproverabile.

È allora evidente che l’art. 69 quarto comma c.p., precludendo in via assoluta al giudice di ritenere prevalente siffatta attenuante nel caso di recidiva reiterata, entra in insanabile frizione con le esigenze costituzionali di proporzionalità della pena, impedendo di comminare una pena effettivamente modulata sulla personalità del reo.

D’altro canto la disposizione contrasta altresì con il principio di eguaglianza, dal momento che parifica dal punto di vista sanzionatorio fatti che presentano un differente disvalore, in virtù del diverso grado di rimproverabilità agli stessi sotteso. Difatti il divieto di subvalenza della recidiva reiterata non consente al giudice di irrogare, nei riguardi del soggetto seminfermo di mente, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere comminata in relazione a un reato di pari disvalore oggettivo ma commesso da un soggetto capace di intendere e di volere e pertanto pienamente in grado di autodeterminarsi e di ottemperare al monito espresso dall’ordinamento con la recidiva, astenendosi dal ricadere nel reato.

All’esito della censura del divieto di prevalenza della recidiva reiterata sulla diminuente della seminfermità mentale, l’interprete si è riappropriato così della discrezionalità di questa valutazione, di talché nel caso concreto ben potrà ritenere che tale circostanza prevalga sulla recidiva reiterata, procedendo alla relativa diminuzione di pena.

Ad avviso della Consulta, peraltro, la predetta soluzione non implica un sacrificio delle pur ragguardevoli esigenze di tutela della collettività dinanzi alla significativa pericolosità sociale espressa dal recidivo reiterato. La diminuzione di pena per il seminfermo, puramente eventuale in quanto rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, ben può essere accompagnata dall’irrogazione di una misura di sicurezza, la quale rinviene il suo presupposto legittimante nella pericolosità sociale del reo e non nella sua soggettiva rimproverabilità, richiedendo inoltre il vaglio della magistratura di sorveglianza.

In un’ottica di prevenzione speciale, questa sinergia tra  pena e  misura di sicurezza potrebbe dunque prevenire il rischio di commissione di nuovi reati da parte del condannato affetto da vizio parziale di mente, preservando nel contempo il volto costituzionale della pena quale reazione proporzionata a un fatto di reato oggettivamente offensivo e “proprio” del suo autore in quanto a costui anche soggettivamente rimproverabile.

 


[1] Per maggiore precisione è bene ricordare che ormai il fatto di lieve entità di cui all’art. 73 co. 5 d.p.r. 309/1990 non costituisce più una circostanza attenuante bensì è assurto a fattispecie autonoma a seguito di un intervento normativo; tuttavia le considerazioni espresse dalla Consulta nella sentenza citata non hanno perso la loro valenza.

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