La controversa natura della responsabilità delle persone giuridiche

La controversa natura della responsabilità delle persone giuridiche

La natura della responsabilità degli enti, disciplinata dal decreto legislativo numero 231 dell’8 giugno 2001 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, numero 300”, è stata oggetto di accesi dibattiti in dottrina e in giurisprudenza. Una prima tesi propende per la natura amministrativa di tale responsabilità. A questa si contrappone, invece, quella che sostiene la natura penale della responsabilità dell’ente [1].

La tesi del tertium genus, infine, sostenuta più volte dalla Corte di Cassazione, pur avendo ammesso la sussistenza, nella displina del decreto numero 231 del 2001, di tratti propri della responsabilità penale e nel contempo della responsabilità da illecito amministrativo, afferma la sua riconducibilità ad un terzo tipo di responsabilità, senza però individuarne concretamente lo statuto normativo [2]. Occorre, quindi, analizzare distintamente le due teorie, ossia quella della natura amministrativa e quella della natura penale. I due paragrafi seguenti saranno dedicati, pertanto, a questo esame.

I. La tesi della natura amministrativa

Le disposizioni del decreto numero 231 del 2001, sia nella rubrica del Capo I, sia al comma 1 dell’articolo 1, qualificano la responsabilità in esame come amministrativa. Inoltre, riconoscere natura penale alla responsabilità degli enti, contrasterebbe con i principi che la Carta costituzionale detta in materia penale, tra cui quello di personalità della responsabilità penale, quello di presunzione di non colpevolezza, quello di obbligatorietà dell’azione penale e quello di divieto di responsabilità per fatto altrui [3]. Il riferimento alla mancata adozione e attribuzione di un modello di organizzazione, che configura la colpa di organizzazione ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto numero 231 del 2001, appare, infatti, insufficiente a ritenere soddisfatto il requisito di colpevolezza.

La disciplina dell’onere probatorio riguardante la corretta adozione ed efficace attuazione dei modelli organizzativi, poi, nella parte in cui prevede che la relativa prova ricada sull’ente, contrasterebbe con il disposto dell’articolo 27 comma 2 Costituzione qualora la responsabilità di cui al decreto numero 231 del 2001 dovesse essere qualificata come penale.

Ulteriore contrasto con la Costituzione sarebbe rinvenibile nella disposizione dell’articolo 58 del decreto numero 231 del 2001, che rimette alla discrezionalità del PM il provvedimento di archiviazione del procedimento; qualora la responsabilità degli enti fosse ritenuta di natura penale, tale disposizione risulterebbe violativa del disposto dell’articolo 112 Costituzione, che sancisce l’obbligatorietà dell’azione penale e non lascia alcun margine discrezionale in capo al PM.

La natura penale della responsabilità degli enti sarebbe infine incompatibile con il principio di personalità della responsabilità penale, nella sua accezione di divieto di responsabilità per fatto altrui, in considerazione delle norme che consentono di far proseguire l’esecuzione delle sanzioni irrogate nei confronti di soggetti diversi rispetto a quelli responsabili: è quanto avverrebbe in caso di modificazioni soggettive dell’ente rispetto alle quali il decreto prevede che il nuovo soggetto giuridico erediti le sanzioni del precedente.

II. La tesi della natura penale

I sostenitori della natura penale degli enti oppongono che l’aggettivo amministrativa, utilizzato dal legislatore [4], non escluderebbe la natura penale degli istituti disciplinati dal decreto numero 231 del 2001. Il carattere penale della responsabilità sarebbe inoltre desumibile dal principio di autonomia che è affermato dall’articolo 8 del decreto numero 231 del 2001, che consente di contestare all’ente un illecito penale, in via autonoma, anche quando la persona fisica autrice del reato presupposto non sia imputabile o identificabile, ovvero quando il reato base si è estinto. Con riferimento al contrasto della disciplina probatoria dettata dal decreto numero 231 del 2001 con il disposto dell’articolo 27 comma 2 Costituzione, i sostenitori della tesi della natura penale ritengono che spetti comunque alla pubblica accusa la prova dell’inadeguatezza, o della mancata adozione o attuazione del modello organizzativo e di gestione, ferma la possibilità dell’ente di provare il contrario; l’adozione e l’attuazione di modelli idonei spetterebbe spetterebbe opererebbe, quindi, come scusante, incidendo sull’elemento soggettivo del responsabile, e, in quanto tale, richiedendo a quest’ultimo di vincere le prove offerte dall’accusa.

Parte della dottrina ha sostenuto che si possa invece configurare l’istituto in termini di causa di giustificazione, che renderebbe lecita la condotta dell’ente, nell’ipotesi di verificazione di un reato, allorché abbia adottato e attuato i modelli organizzativi richiesti, al pari di quanto avviene nelle attività pericolose di utilità sociale, in cui esiste un’area di rischio consentito, penalmente irrilevante.

Riguardo alla trasformazione dell’ente, questa parte della dottrina ritiene che gli istituti civilistici che vengono in rilievo, scissione e fusione, sarebbero caratterizzati dalla prosecuzione dei rapporti dell’ente, che opererebbe anche per la responsabilità ex decreto numero 231 del 2001, senza per questo violare il principio di responsabilità per fatto altrui.

Quanto, infine, al contrasto con l’articolo 112 Costituzione, si ritiene che il meccanismo dell’archiviazione, comunque motivata, affidato al procuratore generale presso la Corte d’Appello, sostituirebbe il meccanismo giurisdizionale previsto dal Codice di rito, senza prevedere una discrezionalità in merito all’azione penale in capo al PM, il quale dovrà dare atto delle proprie scelte nella motivazione.

III. Osservazioni conclusive

In attuazione della legge delega 300/2000, il governo ha emanato il decreto legislativo 8 giugno 2001 numero 231 con il quale è stata introdotta nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli enti, con ciò superando definitivamente il principio societas delinquere non potest. Il decreto legislativo numero 231 del 2001 ha introdotto, nel nostro ordinamento, uno specifico ed innovativo sistema punitivo per gli enti collettivi, dotato di apposite regole quanto alla struttura dell’illecito, all’apparato sanzionatorio, alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative dell’ente, al procedimento di cognizione e a quello di esecuzione [5]. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte ribadito che, per definire come penale una disciplina, non ci si deve soffermare sulla qualificazione utilizzata dal legislatore nazionale, ma si deve guardare agli effetti sostanziali che essa produce, focalizzando l’attenzione su alcuni indicatori quali la natura dell’infrazione, il tipo di sanzione, il grado di severità e di afflizione di quest’ultima [6].

Alla luce di tale orientamento, si può affermare che la responsabilità degli enti è di natura penale in quanto le sanzioni interdittive previste dal decreto legislativo numero 231 del 2001 sono in grado di incidere in maniera consistente sull’attività della società [7].

Per concludere, si ritiene che il legislatore abbia preferito parlare di responsabilità amministrativa e non penale in quanto la prima “trasmette un messaggio di minor gravità e di minore riprovazione, rispetto alla responsabilità penale e in questo modo è stata più facilmente accettata del mondo imprenditoriale e culturale” [8].


Note bibliografiche
[1] F. Caringella A. Salerno, Manuale ragionato di diritto penale, Dike Giuridica, Roma, 2019, p. 337.
[2] Ivi, p. 338.
[3] ex articoli 27 commi 1 e 2 e 112 Costituzione.
[4] ex articolo 1 comma 1, Sezione I, Capo I, decreto numero 231 del 2001.
[5] Cass., SS. UU., sentenza numero 26654, 27 marzo 2008.
[6] CEDU, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi.
[7] O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al decreto legislativo 8 giugno 2001, numero 231, giuffrè, 2010, p. 18.
[8] D. Pulitano, Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, in Enc. dir., Agg., vol. VI, Milano, 2002, pp. 975 ss..

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