La Corte Costituzionale dichiara la legittimità dell’obbligo vaccinale

La Corte Costituzionale dichiara la legittimità dell’obbligo vaccinale

Corte Costituzionale, sentenza n. 5 del 18.1.2018 – Presidente Paolo Grassi, Redattore Marta Cartabia

Con la sentenza in epigrafe, la Corte Costituzionale ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. 73/2017 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, e successive modificazioni introdotte in sede di conversione con L. 119/2017).

Come noto, la normativa citata ha introdotto l’obbligo delle vaccinazioni specificamente indicate per i minori – anche stranieri non accompagnati – tra 0 e 16 anni.

Il legislatore, inoltre, ha previsto che la mancata ottemperanza all’obbligo di vaccinazione comporta, per i minori fino a 6 anni, l’impossibilità di iscrizione e frequenza dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole dell’infanzia mentre, per quanto concerne la scuola dell’obbligo, il pagamento di una sanzione pecuniaria.

La novella prevede, altresì, all’art. 1 co. 4 (introdotto in sede di conversione del decreto legge) che, “in caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale“, l’azienda sanitaria locale debba convocare i genitori, il tutore o l’affidatario del minore al fine di fornire tutte le informazioni utili e necessarie relative alle vaccinazioni e per sollecitarne l’effettuazione.

Aggiungasi che, con la conversione del decreto legge, è stato introdotto anche l’art. 1 co. 6 ter il quale conferisce alla Commissione per il monitoraggio all’attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza – istituita con decreto del Ministro della Salute il 19.1.2017 – di verificare il rispetto degli obiettivi del calendario vaccinale, avviando tutte le misure necessarie per garantire la erogazione uniforme dei livelli essenziali di assistenza nel caso di mancata, ritardata o errata applicazione. La medesima norma ha, inoltre, riconosciuto – esclusivamente in caso di condizioni di elevati rischi per la salute pubblica – al Governo la possibilità di esercitare i suoi poteri sostitutivi, ex art. 120 co. 2 Cost. e secondo le modalità fissate dalla L. 131/2008.

Il legislatore si è, poi, occupato anche della problematica dei minori che non possono essere immunizzati “in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta” specificando – all’art. 4 – che sono inseriti in classi con minori regolarmente vaccinati.

Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale ivi analizzata è stata sollevata dalla Regione Veneto, la quale ha declinato le sue censure di illegittimità in tre motivi di ricorso.

In primis, secondo la Regione Veneto, il D.L. 73/2017  è incostituzionale per violazione degli artt. 77, 117 e 118 Cost. in quanto, si dice, la decretazione d’urgenza ha invaso le competenze regionali in materia di salute (organizzazione del sistema sanitario regionale) e di istruzione (servizi educativi per l’infanzia e garanzia del diritto allo studio nelle istituzioni scolastiche ed educative). Inoltre, è stato evidenziata la mancanza di una emergenza sanitaria che giustificherebbe il ricorso al decreto legge, notoriamente connotato dalla necessità e dall’urgenza quali presupposti fondanti; ciò sarebbe confermato anche dalla circostanza che il valore del 95% dei vaccinati – indicato sia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sia dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) – rappresenta una “soglia ottimale” e non anche una “soglia critica” cui rigidamente attenersi.

Con il secondo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione degli artt. 2, 3, 31, 32, 34, 97, 117 co. 3-4 e 118 Cost.

Difatti, la Regione Veneto sostiene che la normativa de qua violi il diritto all’autodeterminazione dei cittadini, statuito non solo dalla Carta Costituzionale ma anche dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea nonchè dalla Convenzione sui Diritti Umani e la Bioetica (cd. Convenzione di Oviedo) le quali impongono la necessità del consenso libero ed informato del paziente.

In sostanza, sostiene la Regione censurante, l’obbligo vaccinale può imporsi solo laddove sussista “un interesse individuale o collettivo non altrimenti tutelabile” mentre, nel caso di specie, sarebbe controproducente il passaggio “da una strategia vaccinale basata sulla convinzione ad una basata sulla coercizione” in quanto le misure attuate sono considerate eccessive rispetto alla situazione attuale.

Ancora, secondo la Regione ricorrente sussisterebbe una violazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione in quanto la rigidità dell’intervento normativo imporrebbe ai sistemi sanitari regionali di concentrarsi sulla somministrazione dei vaccini, con il rischio di tralasciare altre attività di primaria importanza.

Infine, con l’ultimo motivo di ricorso, la Regione Veneto sostiene che l’art. 7 D.L. 73/2017 – che non quantifica gli oneri derivanti dall’attuazione della disposizione – violi gli artt. 81 e 119 Cost. in quanto pone oneri eccessivi a carico delle Regioni derivanti sia dall’esecuzione delle vaccinazioni che dal pagamento di eventuali risarcimenti dei danni patiti dai pazienti. 

La Corte Costituzionale, con la sentenza n.5 del 18 gennaio 2018, ha dichiarato parzialmente inammissibile e parzialmente infondata la questione di legittimità costituzionale.

Dopo aver illustrato i punti salienti della norma oggetto di ricorso, la Consulta procede ad analizzare i vari motivi di ricorso proposti.

In primo luogo, i giudici di legittimità costituzionale evidenziano che le questioni di legittimità costituzionali sollevate avverso l’art. 1 co. 6 ter e le questioni sollevate in relazione agli artt. 31, 32, 34 e 97 Cost. sono inammissibili per carenza, difetto e genericità della motivazione.

Con riguardo alla violazione dei presupposti di necessità ed urgenza di cui all’art. 77 Cost., la Consulta afferma l’infondatezza della questione richiamando la sua costante giurisprudenza secondo cui tali caratteri devono essere valutati alla stregua di specifici parametri quali titolo, preambolo, contenuto e ratio del D.L., relazione illustrativa del disegno di conversione e lavori parlamentari.

Nel caso di specie, la Corte Costituzionale mette in luce che il preambolo del D.L. 73/2017  fa riferimento alla necessità di “garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica e di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale”  e di assicurare “il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea“.

Aggiungasi che la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione ha sottolineato come il calo delle coperture vaccinali ha indotto le Regioni e gli enti locali ad assumere iniziative al fine di controllare l’accesso ai servizi per l’infanzia; inoltre, la medesima relazione ha messo in luce come alcune malattie, non definitivamente debellate, possano nuovamente manifestarsi in forma epidemica quale conseguenza derivante dei flussi migratori che stanno interessando la nazione.

Inoltre, nel corso dell’istruttoria legislativa sono state valutate, altresì, le preoccupazioni dell’OMS relativamente alla situazione italiana caratterizzata dalla tendenza alla stagnazione o alla regressione delle coperture vaccinali.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte Costituzionale ha ritenuto che Governo e poi Parlamento non abbiano ecceduto nella valutazione dei presupposti della decretazione d’urgenza di cui all’art. 77 Cost in quanto, a parere dei giudici costituzionali, rientra “nella discrezionalità – e nella responsabilità politica – degli organi di governo apprezzare la sopraggiunta urgenza di intervenire, alla luce dei nuovi dati e dei fenomeni epidemiologici frattanto emersi, anche in nome del principio di precauzione che deve presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione“.

In particolare, secondo la Consulta, “la copertura vaccinale è strumento di prevenzione e richiede di essere messa in opera indipendentemente da una crisi epidemica in atto“.

Circa le censure relative alla violazione dell’art. 117 co. 3 e 4 Cost., la Corte le ha ritenute infondate in quanto la “tutela della salute” deve essere garantita assicurando parità di condizioni in tutta la nazione; ne consegue che occorre l’intervento di una norma statale “basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale“.

L’intervento statale a tutela della salute, dunque, si può tradurre in una serie di disposizioni volte, non solo a limitare o vietare taluni trattamenti medici, ma anche ad imporne di altri quando necessari.

Ciò non esclude, bensì conferma, che la potestà legislativa statale sorregge la previsione degli obblighi vaccinali anche nei confronti di minori stranieri in quanto la tutela della salute della popolazione sarebbe frustrata se talune categorie di soggetti fossero escluse dall’obbligo di vaccinazione.

Specificamente, si evidenzia che la necessità di prevenire malattie infettive impone l’adozione di misure omogenee sul territorio nazionale; ciò al fine di raggiungere l’immunità di gregge “la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo“.

Ancora, la Corte Costituzionale ha ritenuto infondata le censure di legittimità costituzionale sollevate sulla base degli artt. 2, 3 e 32 Cost., sostenendo che – in particolare, alla luce dell’art. 32 Cost. – occorre contemperare il diritto alla salute del singolo con il diritto alla salute altrui e con gli interessi della collettività.

Il contemperamento di tali interessi  – insieme con gli interessi del minore, attuati attraverso il diritto-dovere dei genitore di porre in essere tutti quei comportamenti idonei a proteggere la salute dei figli, secondo gli artt. 30 e 31 Cost. – giustifica la discrezionalità del legislatore nell’individuare la cogenza o meno di un trattamento sanitario.

Discrezionalità che, a parere dei giudici costituzionali, risulta confermata anche dai differenti approcci adottati da altri Stati come la Francia che ha individuato sanzioni penali in caso di inottemperanza all’obbligo vaccinale; il Regno Unito che, invece, ha adottato programmi rispettosi delle scelte e dell’autonomia individuale; gli stati Uniti, in cui la vaccinazione si considera condizione di accesso alle scuole.

Pertanto, la Corte Costituzionale ritiene che il legislatore possa adottare un atteggiamento diverso nei confronti di taluni trattamenti medici, nella specie delle vaccinazioni, purchè si tratti di misure efficaci a salvaguardare la salute della popolazione.

Specificamente, la Consulta richiama alcune pronunce (sentenza nn. 258/1994 e 307/1990) al fine di affermare che una legge impositiva di un trattamento sanitario è compatibile con l’art. 32 Cost. quando è diretta a migliorare lo stato di salute dei destinatari della norma e a preservare lo stato di salute di coloro che non vi sono assoggettati; quando non comporta conseguente negative nei confronti di colori che sono obbligati ad attenervisi; quando, nel caso sia causato un danno, sia previsto il riconoscimento di una indennità equa a favore del danneggiato, indipendentemente dalla tutela risarcitoria.

Al fine di suffragare tali posizioni, la Corte Costituzionale si avvale del quadro statistico nazionale connotato da una evidente flessione della copertura vaccinale, generata anche dal diffondersi della convinzione – non supportate dalla comunità scientifica – secondo cui i vaccini siano nocivi per la salute. 

Infine, con riguardo alla violazione dell’art. 119 Cost., i giudici di legittimità costituzionale hanno confermato quanto già statuito in alcune precedenti pronunce (ex multis, sentenze nn. 192/2017, 249/2015 e 125/2015) secondo cui le Regioni non possono censurare l’inadeguatezza delle risorse messe a disposizione per l’erogazione dei servizi sanitari, senza fare alcun riferimento a dati chiari ed analitici; cosa che la Regione Veneto non ha effettuato in quanto si è limitata a sollevare la violazione della citata disposizione costituzionale, senza aver inquadrato tali oneri nell’ambito delle uscite e delle entrare regionale senza, dunque, esplicare la sostenibilità o meno degli stessi.

Inoltre, quanto alla violazione dell’art. 81 co. 3 Cost. – il quale dispone il principio di analitica copertura degli oneri finanziari – la Corte ha messo in evidenza che la continuità tra la novella del 2017 ed il precedente assetto ha reso possibile il ricorso alla clausola di invarianza finanziaria, di cui all’art. 7 co. 2 D.L.73/2017 alla luce, altresì, dell’impossibilità di fare previsioni concrete circa la quantificazione effettiva degli oneri per la sussistenza di molteplici fattori quali l’assenteismo e l’adempimento spontaneo da parte della popolazione.


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