La Corte di Cassazione dice “no” alla Sindrome da Alienazione Parentale

La Corte di Cassazione dice “no” alla Sindrome da Alienazione Parentale

La sindrome da Alienazione Parentale (PAS, sigla dalla locuzione inglese Parental Alienation Syndrome) identifica secondo lo psichiatra forense americano Richard Gardner – primo ad aver utilizzato tale terminologia – una dinamica psicologica disfunzionale che sorge sui minori coinvolti in procedimenti di separazione e divorzio altamente conflittuali o che si trovano a subire una qualunque forma di violenza all’interno del contesto intrafamiliare. Secondo Gardner, l’Alienazione Parentale, si verifica ogniqualvolta un genitore, c.d. alienante, intraprende una vera e propria campagna denigratoria, non basata su elementi reali, a danno dell’altro genitore, c.d. alienato, al solo scopo di allontanare quest’ultimo dal figlio.

Sin dalla sua nascita la PAS è stata al centro di accesi dibattiti sia in campo scientifico che giuridico in quando sindrome non menzionata nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – DSM 5 – e quindi non riconosciuta dalla Comunità Scientifica.

Tuttavia, nonostante la carenza di dimostrazioni scientifiche a supporto di tale patologia, la PAS ha trovato negli ultimi anni sempre più spazio nelle aule dei tribunali tanto da essere posta, a volte in modo acritico, alla base di importanti decisioni inerenti alla regolamentazione dei rapporti genitori – figli con conseguenze alquanto pregiudizievoli per i minori.

Dopo anni di pronunce favorevoli– prima tra tutte la sentenza della Suprema Corte n. 5847 del 8/03/2013 con la quale è stata riconosciuta per la prima volta l’esistenza della PAS – l’orientamento giurisprudenziale maggioritario sembra essere mutato nel rispetto dell’interesse superiore del minore.

La Corte di Cassazione prende le distanze dalla PAS

Con decreto emesso dal Tribunale per i Minorenni di Roma veniva disposta la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale di Laura Massaro, donna vittima di violenza per mano dell’ex compagno, l’immediato allontanamento del figlio minore dal contesto familiare e la sospensione dei rapporti tra madre e figlio.

Tali disposizioni trovavano la propria giustificazione nell’asserita pressione psicologica che la madre avrebbe perpetrato nei confronti del figlio al fine di ostacolare il rapporto tra quest’ultimo e il padre, influenza che avrebbe di fatto impedito al minore di autodeterminarsi rendendolo vittima della c.d. sindrome da alienazione parentale (PAS). Avverso tale decreto, la madre proponeva reclamo avanti la Corte d’Appello di Venezia che veniva successivamente rigettato.

Dopo sei lunghi anni, la Corte di Cassazione, I Sez. civ., con ordinanza n. 286/2022, pubblicata in data 24/03/2022, nel dare voce al the best interest of the child, si è pronunciata in modo decisivo in favore dei diritti dei minori.

Il giudice di legittimità, accogliendo le doglianze mosse dalla ricorrente, ha riconosciuto in capo all’organo giudicante il dovere di effettuare approfondite valutazioni circa la personalità e la vita del genitore definito alienante prima di assumere qualunque decisione limitativa della responsabilità genitoriale che potrebbe risultare pregiudizievole per il minore. Infatti, il mero “richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”.

Tale orientamento si pone in armonia con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Edu che, chiamata diverse volte a pronunciarsi sulla corretta applicazione dell’art. 8 Cedu, pur riconoscendo ampi poteri alle autorità giudiziali in materia di regolamentazione dei rapporti genitori/figli, ha evidenziato l’importanza di effettuare un effettivo controllo sulle “restrizioni supplementari” adottate nelle aule dei tribunali così da evitare conseguenze pregiudizievoli per il minore.

Nel caso di specie, appare evidente come né il Tribunale per i Minorenni né il giudice di seconde cure abbia bilanciato correttamente gli interessi in gioco, prediligendo il diritto del padre ad esercitare la propria genitorialità a discapito della salvaguardia dello sviluppo psico-fisico del minore, il quale, a seguito dell’ablazione definitiva della figura materna dalla sua vita, ha subito un trauma irreparabile.

Conclusioni: la preminenza del principio dell’interesse superiore del minore

Il principio dell’interesse superiore del minore è stato senza dubbio la ratio della pronuncia in oggetto, nella quale è stato sancito come il diritto alla bigenitorialità sia da considerarsi, anzitutto, un diritto del minore prima che dei genitori, con la conseguenza che il suo esercizio deve avere come obiettivo primario quello di soddisfare, in primis, il miglior interesse del minore. Ecco, quindi che il compito di chi è chiamato ad adottare decisioni aventi un forte impatto nella vita dei minori, deve essere quello di effettuare una “(..) delicata interpretazione ermeneutica di bilanciamento la cui specialità consiste nel predicare in ogni caso la preminenza del diritto del minore a la recessività dei diritti che con esso possono collidere.”, tra i quali, mi si permetta di aggiungere, il diritto alla bigenitorialità.


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Avv. Sara Mafficini

In data 11 ottobre 2019 ho conseguito il titolo di Avvocato, superando l'esame di Stato presso la Corte d'Appello di Venezia. Pratico la professione in Verona e mi occupo di Diritto civile e Diritto di Famiglia, da un punto di vista nazionale ed internazionale. Ho svolto un Tirocinio di 18 mesi presso il Tribunale di Verona, maturando esperienza nel Diritto di Famiglia. Ho svolto un tirocinio presso l'Autorità Centrale di Madrid in tema di sottrazione internazionale minorile. Ho conseguito un Master Biennale in Diritto di Famiglia e Tutela Minorile e mi sono abilitata come Coordinatore Genitoriale. Svolgo il ruolo di Tutor di Diritto civile presso la Scuola Forense di Verona.

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