La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?

La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?

Il presente contributo* è incentrato sulla crisi del costituzionalismo italiano. Una crisi che non deve considerarsi attuale, dal momento che affonda le sue radici nel passato.

Al fine di dimostrare tale circostanza, occorre ripercorrere la storia costituzionale d’Italia.

Prima di ciò, appare opportuno aprire una parentesi e delineare il concetto di “costituzionalizzazione”, rinvenibile nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo adottata in Francia nel 1789. Con tale espressione, si intende la realizzazione di un regime politico nell’ambito del quale sia assicurata la garanzia dei diritti e la separazione dei poteri. Da qui  l’adozione di un documento dotato di elevato valore politico e giuridico, che assume la denominazione di “costituzione”, impiegato in un senso diverso da quello in cui tale termine era stato utilizzato nei secoli precedenti.

Tradizionalmente, la storia del costituzionalismo italiano prende avvio con il Risorgimento italiano, in quanto vide svilupparsi contemporaneamente due rivendicazioni: da una parte, la rivendicazione dell’Unità, fondata sull’affermazione dell’esistenza della Nazione italiana; dall’altra, la rivendicazione del costituzionalismo da parte dei liberali.

Sebbene tali rivendicazioni furono avanzate parallelamente, la seconda dovette cedere alle esigenze della prima. Una conferma è data dal raggiungimento dell’Unità nel 1861, mai più rimessa in discussione.

Al contrario, per quasi un secolo, l’Italia rimase priva di una Costituzione conforme ai principi del costituzionalismo. Lo statuto Albertino, concesso dal re ai suoi sudditi e divenuto la costituzione del Regno d’Italia, adottava una forma di governo qualificata come “pura”; solo tramite talune modificazioni tacite, la suddetta forma di governo fu trasformata in un regime parlamentare dualista.

Nello Statuto Albertino, il monarca era titolare del potere esecutivo e prevaleva sulle Camere elettive nelle decisioni relative all’imposizione dei tributi.

Ovviamente, non si vuole screditare la portata dello statuto Albertino, tant’è che poco dopo si invocò il ritorno ad esso.

La volontà di non pregiudicare l’unificazione nazionale bloccò la realizzazione di una Costituzione votata.

Occorre però considerare che, l’esigua classe dirigente a cui spettò guidare l’Italia nei successivi cinquant’anni, mise a punto un assetto istituzionale non distante da quelli tipici dei paesi europei avanzati culturalmente e politicamente, in grado di resistere ai primi attacchi mossi contro lo Stato liberale.

Il medesimo atteggiamento però non potè essere replicato in occasione di quell’attacco sollevato contro le istituzioni liberali, proveniente da un movimento d’opinione, a base razionalista e populista, che condusse dapprima alle c.d. radiose giornate del 1915 e poi al fascismo.

In tale fase storica, al regime liberale si sostituì un ordinamento improntato su valori opposti al costituzionalismo e che pose l’Italia al centro di una serie di conflitti da cui ne discesero gravi danni morali e materiali.

Con la fine di tale regime, gli italiani che si erano opposti ad esso puntarono a recuperare la sovranità dello Stato, nonché a restituire allo stesso la dignità di Paese libero. Solo a seguito di una lunga e travagliata transizione, l’Italia ottenne una Costituzione, approvata a maggioranza da una Assemblea costituente eletta democraticamente dai cittadini e ispirata ai principi del costituzionalismo.

Occorre segnalare che, tale obiettivo fu raggiunto in due momenti distinti. Il primo è dato dal referendum del 1946: in tale occasione, la maggioranza degli elettori optarono per la forma di governo repubblicana;  l’oggetto di discussione della votazione fu proprio la scelta o meno del costituzionalismo. Il secondo è rappresentato dal voto espresso dall’ Assemblea costituente nel 1947.

In realtà, la lotta per il costituzionalismo non terminò qui. In campo internazionale, infatti, lo scoppio della guerra fredda trasformò le elezioni del 1948, svoltesi sulla base di leggi che attuarono il suffragio universale ed altre garanzie costituzionali, in una diatriba fra i fautori degli schieramenti formatesi in corrispondenza di due blocchi, dalla quale ne scaturì il “congelamento” della Costituzione, ossia la mancata applicazione della maggior parte dei principi e delle sue norme definite “meramente programmatiche”.

Tali difficoltà furono superate nel giro di pochi anni con il “disgelo” costituzionale: si assistette alla lenta realizzazione di taluni istituti previsti dalla Costituzione, nonché gran parte delle garanzie dei diritti dei quali essa assicurava protezione.

I partiti impegnatisi durante gli anni del fascismo tornarono operativi nell’ambito di un raggruppamento passato alla storia come “arco costituzionale” che investì tutte le forze politiche italiane, fatta eccezione per taluni piccoli gruppi neofascisti, con il proposito di attuare la Costituzione.

Verso gli anni Ottanta del XX secolo, la necessità rivedere il testo della Costituzione condusse inevitabilmente a talune modifiche rispetto alle quali però non si accese alcuna discussione.

Si pervenne così a leggi costituzionali o di revisione costituzionale approvate pacificamente a norma dell’articolo 138 Cost.

Negli ultimi decenni del secolo, emersero ferme opinioni che imputarono alle soluzioni adottate nella Costituzione in tema di forma di governo la responsabilità della difficoltà di funzionamento del sistema politico italiano, fra cui l’instabilità ministeriale e la scarsa efficacia dell’azione governativa.

In origine, tali iniziative furono animate da uno spirito costruttivo, ossia volte a migliorare il funzionamento degli organi costituzionali, senza mettere in dubbio il sistema dei valori cui la Costituzione si ispirava.

Si pensi ai primi progetti formulati da una prima commissione bicamerale avente funzioni consultive.

In concreto, si tentò di sfruttare in tutti i modi l’idea di una grande riforma costituzionale per conseguire risultati più attinenti ai rapporti di forze esistenti fra i partiti.

Negli anni 90, l’Italia conobbe un’ampia crisi costituzionale causata da fenomeni di corruzione che inquinarono profondamente il mondo politico e che determinò un miscuglio degli schieramenti e la nascita di taluni partiti dai quali provennero pesanti attacchi alla Costituzione.

In tale scenario, fu avanzata la tesi, contestata dalla maggior parte dei costituzionalisti, secondo cui la Costituzione del 1948 era venuta meno e ci si trovava innanzi ad una seconda Repubblica.

Da qui partirono una serie di tentativi diretti a riformare la Costituzione. A tale fine, furono convocate due commissioni bicamerali (1993-1998), i cui sforzi però non diedero vita ad alcun utile risultato.

Nel corso della IV legislatura, lo schieramento di centrodestra delineò un ampio progetto di revisione dell’intera seconda parte della Costituzione, teso a rafforzare i poteri del Primo Ministro eletto direttamente dal popolo e provvisto di poteri affini a quelli previsti dalle forme di governo note come “bonapartiste”.

Tale progetto prevedeva, altresì, un rafforzamento dei poteri delle Regioni con conseguente trasformazione dell’Italia in uno Stato liberale.

Una volta approvato dalle Camere, il progetto fu sottoposto a referendum su volontà dell’opposizione, ma seppellito nel 2006.

Tale esito portò ad una capovolgimento della situazione. Ne uscì, infatti, sconfitto lo slogan della grande riforma costituzionale: nessuno contestava che le revisioni costituzionali fossero proponibili, a meno che si trattasse di precise correzioni tali da non intaccare i principi fondamentali del costituzionalismo.

Con riguardo alla separazione dei poteri, prendendo come parametro di riferimento il modello di presidenzialismo adottato negli Stati Uniti, un rafforzamento dell’esecutivo non risulta incompatibile con il costituzionalismo, purché bilanciato dalla salvaguardia dei contropoteri, quali il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, il potere giudiziario e la stessa opposizione parlamentare.

L’attuale questione di revisione costituzionale evoca la proposta di abrogazione dell’articolo 5 dello Statuto Albertino.

Occorre compiere un passo indietro. Nel 1913, il re Vittorio Emanuele III, assieme al primo ministro Salandra e al ministro degli esteri Sonnino, sottoscrisse il Patto di Londra, ossia il Trattato con cui l’Italia entrava in guerra.

Nel predetto contesto storico, si trattava di introdurre clausole non previste dallo Statuto.

Oggi, invece, la revisione costituzionale implica l’abrogazione di ciò che la stessa Costituzione assicura.

Nella realtà corrente, la Costituzione ha perduto quel carattere di sacralità di cui sono connotate le Carte fondamentali di uno Stato. Essa ha ceduto la sua forza originaria per un verso, alle spinte di forze sovranazionali, e per un altro, alle esigenze di un decisionismo governativo che non tollera più il rispetto delle procedure costituzionali.

La Costituzione, dunque, ha smarrito quel rango di legge suprema, alla quale sono tenute ad obbedire le leggi ordinarie, per acquisire quello meno aristocratico di legge subordinata rispetto al diritto dei trattati dell’Unione Europea o di parametro equivalente concorrente con le previsioni della CEDU, nella verifica di costituzionalità delle norme ordinarie.

A fronte del quadro delineato, un aiuto prezioso è dato dai giuristi del ‘900.

Si pensi, a Luigi Sturzo, il quale osservava testualmente che “la Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.

Il pensatore aveva intuito che la Costituzione rappresentava il pilastro della libera convivenza civile e che ogni indebolimento della sua architettura costituiva un grave pericolo per la tenuta delle istituzioni, ma ancor prima per la dignità e la libertà della persona.

Piero Calamandrei, invece, definiva la Costituzione “presbite”, data la sua capacità di guardare lontano e di conservare la sua validità nel tempo, grazie al carattere universale dei principi in essa consacrati.

Di frequente, si tende ad accusare la Costituzione di non rispondere alle esigenze e alle aspettative dei tempi moderni (E. Cuccodoro, R. Marzo, A. Cannavale, E. Graziuso, “Orientamenti costituzionali”. Una riflessione per il Settantesimo della Costituzione repubblicana, in Osservatorio AIC, n. 2, 2018, p. 20). Occorre evidenziare che, tale circostanza tende a rinnegare il suo carattere “eclettico”.

Una valida soluzione risiede nell’aggiornare, piuttosto che nel rinnegare la valenza fondativa e costitutiva dell’impianto costituzionale.

Un compito di rilievo spetta alla Corte Costituzionale, quale custodia della Carta, al fine di assicurare nel giudizio di bilanciamento con i principi sanciti dalla CEDU e dal trattato di Lisbona, un’adeguata ed effettiva protezione dei diritti e delle libertà scolpite nella Costituzione.

Di fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19, la Costituzione italiana si è rivelata una risorsa preziosa.

Come ricordato dall’allora Presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, nella relazione del 28 aprile 2020 sull’attività della Corte Costituzionale del 2019, “la Costituzione non è sensibile al variare delle contingenze, all’eventualità che irrompano situazioni di emergenza, di crisi e di straordinaria necessità e urgenza; essa con il suo equilibrato complesso di principi, limiti, poteri, garanzie, diritti, doveri e responsabilità offre alle istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare per l’alto mare aperto dell’emergenza e del posta emergenza”.

La Costituzione è stata accusata di non aver saputo reggere l’emergenza sanitaria.

In realtà, la Legge Fondamentale presuppone tacitamente il verificarsi di situazioni epidemiologiche particolarmente gravi, e di conseguenza prevede appositi strumenti idonei ad affrontarle.

Da un lato, essa consente al Governo di ricorrere al decreto-legge; dall’altro conferisce alle Regioni un potere sostitutivo.

Appare opportuno ricordare che, la nascita dell’emergenza sanitaria è imputata a lacune organizzative e a sottovalutazioni, o peggio negazioni, del virus.

Inizialmente, il contagio si è esteso in alcuni Stati come il Vietnam e l’Iran, caratterizzati da ordinamenti totalitari.

Da ciò ne discende che, uno Stato democratico-sociale è sicuramente in grado di garantire il diritto alla salute, individuale e collettiva.

Del resto, il caos verificatosi in Italia si è manifestato anche in altri Paesi. Alcuni di essi hanno addirittura pensato che il contagio potesse attenuarsi con l’adozione di provvedimenti limitativi e tardivi. Essi, invece, si sono trovati innanzi ad una situazione completamente opposta: migliaia di contagi e altrettanti morti.

In Italia, si è parlato dell’instaurazione di uno stato di eccezione o del ricorso all’unico stato di eccezione costituzionalmente previsto, ossia lo stato di guerra. La differenza è netta: nella situazione odierna non si è di fronte ad un individuo, bensì ad un nemico invisibile, la cui sconfitta richiede la collaborazione tempestiva di tutti gli Stati.

Al fine di contrastare l’emergenza sanitaria, non occorrono revisioni costituzionali, non si scorge la presenza di lacune normative.

Il reale problema risiede nella difficile attuazione, legislativa e amministrativa, del modello costituzionale.

La Costituzione non ha colpe. Si appoggia, pertanto, quanto sostenuto da una corrente di pensiero, la quale equipara la Costituzione ad “un orizzonte che ci sovrasta”, perché se è vero che “nessuno può toccarlo con le dita”, è altrettanto vero che “nessuno può fare a meno di guardarlo” (M. AINIS, Il faticoso viaggio della Costituzione, in la Repubblica, 17 dicembre 2017).

 

 


*Relazione tenuta il 13 gennaio 2021 dalla dott.ssa Luana Leo in occasione del Global Summit “The International Forum on the Future of Constitutionalism”, organizzato dall’Università del Texas 

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Dott.ssa Luana Leo

La dottoressa Luana Leo è dottoranda di ricerca in "Teoria generale del processo" presso l'Università LUM Jean Monnet. È cultrice di Diritto pubblico generale e Diritto costituzionale nell'Università del Salento. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in Diritto Processuale Civile dal titolo ”Famiglie al collasso: nuovi approcci alla gestione della crisi coniugale”. È co-autrice dell'opera "Il Presidente di tutti". Ha compiuto un percorso di perfezionamento in Diritto costituzionale presso l´Università di Firenze. Ha preso parte al Congresso annuale DPCE con una relazione intitolata ”La scalata delle ordinanze sindacali ”. Ha presentato una relazione intitolata ”La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?” al Global Summit ”The International Forum on the Future of Constitutionalism”. È stata borsista del Corso di Alta Formazione in Diritto costituzionale 2020 (“Tutela dell’ambiente: diritti e politiche”) presso l´Università del Piemonte Orientale. È autore di molteplici pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche in materia. Si occupa principalmente di tematiche legate alla sfera familiare, ai diritti fondamentali, alle dinamiche istituzionali, al meretricio, alla figura della donna e dello straniero.

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