La diffamazione: come punirla?

La diffamazione: come punirla?

Sempre più spesso nella quotidianità così come nelle pagine dei giornali si viene a conoscenza di persone che vengono diffamate. Ma in cosa consiste la diffamazione? Vediamo le caratteristiche di questo reato, qual è il bene giuridico tutelato e in quali pene si incorre.

In una successiva analisi vediamo la differenza con il reato di calunnia e con l’ingiuria (ormai prevista come illecito civile).

Il reato di diffamazione è previsto è punito dall’art. 595 c.p.

Ebbene, per diffamazione, si intende l’offesa dell’altrui reputazione fatta comunicando con più persone. È un reato a forma libera e se il soggetto passivo (cioè colui che viene diffamato) non è presente, la condotta risulta maggiormente configurata, perché la persona offesa non ha la possibilità di difendersi e tutelarsi nell’immediato.

Il requisito della comunicazione tra più persone si considera integrato anche qualora questa avvenga in tempi diversi (ad esempio nel caso in cui vi sia un passaparola tra persone). La presenza di almeno due persone in grado di percepire le parole diffamatorie fa sì che il reato si configuri anche se l’offesa è comunicata ad una sola persona e questa a sua volta la comunichi ad altre.

L’offesa può quindi essere arrecata verbalmente, mediante l’attribuzione di un fatto determinato, vero o falso. In questo caso la pena è la reclusione fino a due anni, ovvero la multa fino a duemilasessantacinque euro.

Tuttavia, l’offesa può essere arrecata anche col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico. In questo caso, la pena prevede la reclusione da sei mesi a tre anni, ovvero la multa  non inferiore a cinquecentosedici euro.

Ovviamente, con l’evoluzione della tecnologia e la nascita di molteplici social network, il reato di diffamazione si può configurare anche attraverso queste piattaforme.

La diffamazione a mezzo social, tramite ad esempio Facebook o la messaggistica istantanea come Whatsapp risponde dell’ articolo 595 c.p. terzo comma, cioè viene sanzionata come il reato di diffamazione a mezzo stampa, che fa riferimento a “qualsiasi forma di pubblicità”, compresa, appunto, anche quella tecnologica.

A tal proposito, ci fu la sentenza n. 50/2017 che configurò questo tipo di condotta come maggiormente lesiva, perché una diffamazione che avviene tramite questi mezzi, è indirizzata ad un numero indefinito, incontrollabile di persone, creando quindi una diffusione su larga scala. La pena prevista è la stessa menzionata per la diffamazione a mezzo stampa (prevista dall’art. 595 c.p. terzo comma), ovvero la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Vediamo ora le differenze con la calunnia e l’ ingiuria.

Il reato di calunnia è sancito dall’art. 369 c.p. e affinché si possa configurare, è necessario che ci sia un’accusa di un vero e proprio reato, resa formalmente davanti a pubblici ufficiali. Vi deve essere quindi un soggetto che incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a lui le tracce di un reato. Il soggetto responsabile verrà punito con la reclusione da due a sei anni.

L’ingiuria, infine, è l’offesa recata all’onore e al decoro di una persona che è presente nel momento in cui viene conferita la frase. Se la vittima si trova altrove non si può parlare di ingiuria, ma come abbiamo visto, della più grave diffamazione. Ad oggi l’ingiuria non è più un reato, ma un illecito civile. Per cui per punire l’ ingiuria si può ricorrere ad una causa civile; all’esito del procedimento il giudice condannerà il responsabile al risarcimento del danno e a pagare una multa allo Stato da duecento euro a dodicimila euro.


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