La (difficile) dialettica tra le Sezioni in tema di delega a sostituito processuale nel processo penale

La (difficile) dialettica tra le Sezioni in tema di delega a sostituito processuale nel processo penale

Una delle questioni giuridiche che necessita, quanto prima, di un definitivo intervento chiarificatore delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione attiene alla forma (scritta ovvero orale, similmente a quanto accade nel processo civile) che si ritiene debba rivestire la delega conferita dal difensore ai fini della sua sostituzione processuale in udienza penale.

Si tratta, com’è ovvio, di un problema la cui soluzione presenta immediate ricadute di ordine pratico a beneficio (o nocumento) dell’attività forense e, più in generale, in relazione al fascio di poteri-doveri che si ritiene debbano essere osservati al fine di consentire un valido “trasferimento della difesa” dal dominus al sostituto.

Giova subito inquadrare i riferimenti normativi oggetto di controversa interpretazione all’interno delle singole Sezioni Penali della Corte di Cassazione, costituiti dagli artt. 96 c.p.p., 102 c.p.p., 9 r.d.l. 1578/1933 e 14 L. 247/2012 (c.d. legge sulla professione forense).

L’art. 96 c.p.p. prevede che “1. L’imputato ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia. 2. La nomina è fatta con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata.3. La nomina del difensore di fiducia della persona fermata, arrestata o in custodia cautelare, finché la stessa non vi ha provveduto, può essere fatta da un prossimo congiunto, con le forme previste dal comma 2.”

L’art. 102 c.p.p. dispone che il difensore abbia la facoltà di nominare un sostituto di udienza.

L’art. 9 del r.d.l. n. 1578/1933 prevede che: “Con atto ricevuto dal cancelliere del tribunale o della corte d’appello, da comunicarsi in copia al direttorio del sindacato, il procuratore può, sotto la sua responsabilità, procedere alla nomina di sostituti, in numero non superiore a tre, fra i procuratori compresi nell’albo in cui egli trovasi iscritto. Il sostituto rappresenta a tutti gli effetti il procuratore che lo ha nominato. Il procuratore può anche, sotto la sua responsabilità, farsi rappresentare da un altro procuratore esercente presso uno dei tribunali della circoscrizione della corte d’appello e sezioni distaccate. L’incarico è dato di volta in volta per iscritto negli atti della causa o con dichiarazione separata. Nei giudizi davanti alle preture la rappresentanza può essere conferita ad un praticante procuratore.”

Da ultimo, l’art. 14 della L. 247/2012 prevede che l’avvocato possa nominare stabilmente per iscritto fino a tre sostituti, ma che possa procedere anche alla delega del sostituto di udienza in via orale: “Gli avvocati possono farsi sostituire da altro avvocato, con incarico anche verbale, o da un praticante abilitato, con delega scritta.”

Come anticipato, l’interpretazione del complesso normativo appena descritto registra un contrasto di giurisprudenza tra la Prima e la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Con la sentenza n. 26606 del 26.4.2018, la Quinta Sezione Penale ha concluso per la necessità della forma scritta al fine di un valido conferimento della sostituzione processuale.

Il ragionamento seguito nell’articolato motivazionale esclude possa applicarsi la disciplina dell’abrogazione tacita per incompatibilità (delineato dall’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale) da parte dell’art. 14 della L. 247/2012 rispetto all’art. 9 del r.d.l. 1578/1933, non solo perché l’art. 64 della L. 247/2012 prevede un’espressa clausola di salvezza di tutte le norme previgenti fino all’entrata in vigore dei regolamenti, a fronte di una delega che il governo non ha ancora esercitato; ma anche alla stregua di un’ermeneusi particolarmente rigorosa dell’art. 14, il cui àmbito extraprocessuale di applicazione avrebbe natura generale, come tale inidoneo ad abrogare, sia pure implicitamente per incompatibilità, una disposizione di ordine speciale come quella contenuta nell’art.9, atteso che le disposizioni della L. n. 247/2012 tendono a regolare la professione forense e, all’art. 14, i rapporti interni tra delegante e sostituto, non producendo pertanto effetti in àmbito processuale.

Inoltre, se la designazione del sostituto (ex art. 34 disp. att. c.p.p.) deve avvenire nelle forme indicate nell’art. 96, comma 2 c.p.p. e questo prevede una dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore, essa deve essere necessariamente contenuta in un atto scritto o dettata al verbale.

Di talché, l’unica forma ammissibile per una delega a sostituto processuale efficace non potrebbe essere che quella scritta, come previsto dall’art. 9 r.d.l. 1578/1933.

In senso diametralmente opposto si pone il principio di diritto espresso dalla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza resa in data 2 ottobre 2018 n. 48862, secondo cui la nomina del sostituto di udienza può avvenire per delega anche orale e che tale delega è efficace per la sola dichiarazione resa dal delegatario in udienza e trascritta a verbale.

Al fine di pervenire ad una simile soluzione, la Prima Sezione valorizza, anzitutto, il dato letterale di cui all’art. 102 c.p.p., il quale, letto congiuntamente all’art. 96, comma 2, c.p.p. e 34 disp. att. c.p.p., consente al difensore la facoltà di nominare un sostituto con dichiarazione resa verbalmente all’autorità procedente, ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata, così dovendosi escludere la necessità di formule sacramentali o di particolari adempimenti, eccezion fatta per la dichiarazione a verbale del sostituto privo di delega scritta.

Ciò posto, si osserva che la linea interpretativa secondo la quale la delega orale risulta valida soltanto ove il delegante la comunichi personalmente all’autorità, appare ormai superata dal nuovo codice di rito e soprattutto dalla riforma della legge sulla professione forense (L. 247/2012).

Al riguardo, la Prima Sezione ritiene pienamente applicabile il fenomeno di abrogazione implicita per incompatibilità tra l’art. 14 della L. 247/2012 e l’art. 9 r.d.l. 1578/1933, a fronte dell’esigenza di semplificazione degli adempimenti a carico del difensore impossibilitato e nell’armonizzazione della normativa a quella di altri paesi europei con tradizione giuridica affine a quella italiana.

Né a diverse conclusioni potrebbe giungersi – come invece sostenuto dalla Quinta Sezione – eccependo la mancata approvazione del Testo Unico previsto dall’art. 64 della L. 247/2012, il quale prevede che fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti ivi previsti, si applicano, se necessario e in quanto compatibili, le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate, poiché tale disposizione transitoria, che riguarda le fonti di livello secondario, non potrebbe giustificare la permanente vigenza dell’art. 9 del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, che si colloca tra le fonti primarie.

A parere di chi scrive, le argomentazioni offerte dalla Prima Sezione Penale appaiono maggiormente coerenti con una lettura complessiva e costituzionalmente orientata del quadro normativo di riferimento in subiecta materia, come risultante dai diversi fenomeni successori che ne hanno modificato il sistema di fonti normative, a livello primario e secondario.

Inoltre, il principio di effettività della difesa proprio dalla giurisprudenza comunitaria potrebbe registrare un conflitto giurisdizionale in caso di interpretazioni eccessivamente formalistiche.


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