La disciplina dei contratti pubblici tra esigenze concorrenziali e interessi tutelati: la recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 218/2021

La disciplina dei contratti pubblici tra esigenze concorrenziali e interessi tutelati: la recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 218/2021

La contrattualistica pubblica, quale settore centrale dell’economia, è da sempre protagonista indiscussa a tutti i livelli di governo. Sul tema, particolare risalto ha il bilanciamento delle sempre nuove esigenze concorrenziali e degli interessi degli operatori in gioco sul mercato. A porre la lente di ingrandimento sulla questione è la recente approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, che darà, nei mesi a venire, spunto ad importanti riflessioni. Tra le finalità che il disegno di legge si pone, infatti, vi è proprio la promozione dello sviluppo della concorrenza, da perseguire consentendo alle imprese di minori dimensioni l’accesso ai mercati, rimuovendo le barriere in entrata, regolando la disciplina dei servizi pubblici, in particolare in tema di controlli sulle società partecipate.

La recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 23 novembre 2021 ha ribadito che l’esigenza di tutela della concorrenza e le misure assunte con questa finalità, non possono non tenere conto “di tutto il quadro degli interessi rilevanti e operarne una ragionevole composizione”.

Tempo addietro la disciplina dell’evidenza pubblica aveva come obiettivo principale quello di condurre l’operato della Pubblica Amministrazione verso il rispetto di principi prettamente aziendalistici, quali l’economicità e l’efficienza. Ciò si evince dall’origine stessa di tale disciplina, risalente alle leggi di contabilità pubblica: l’intenzione del legislatore era quella di tutelare gli interessi dell’amministrazione a stipulare contratti alle condizioni economiche più favorevoli. Il crescente coinvolgimento dell’Italia nel processo di integrazione europeo ha ispirato la tendenza verso l’affermazione del principio della concorrenza, pilastro del mercato comune. Negli anni ’80 l’approccio contabilistico è stato, pertanto, progressivamente abbandonato, per lasciare spazio ad un modello che favorisse un assetto pro concorrenziale.

A testimonianza di questa tendenza, con l’approvazione della legge n. 287 del 1990, la funzione della gara è divenuta quella di assicurare, nell’ambito di un mercato aperto e importante come quello dei contratti pubblici, la più ampia concorrenza possibile, e non solo una spesa minore/migliore di denaro pubblico.

Cambia, pertanto, la funzione del procedimento e con essa la sintesi degli effetti essenziali: emergono la tutela delle libertà di circolazione e di concorrenza nel mercato europeo e altresì la tutela delle imprese, dirette destinatarie e beneficiarie dei corollari del principio di concorrenza tra cui,  in primis, la massima partecipazione possibile e la parità di trattamento.

A seguito della revisione apportata dalla legge n. 3 del 2001, che ha modificato il Titolo V della Costituzione, il rispetto del principio di concorrenza ha assunto valore costituzionale, essendo stato recepito nella Carta all’art. 117 co. 2 lett. e, che ne affida al legislatore statale l’esclusività della tutela.

Già con la legge Merloni del 1994 e successivamente con il nuovo codice dei contratti pubblici, il D.lgs. 50/2016, frutto del recepimento di direttive europee e correttivo del precedente codice del 2006, l’accento sull’apertura ai principi pro concorrenziali della disciplina dei contratti pubblici è ancora più marcato, come marcata è l’affermazione della tutela dell’interesse pubblico: la Pubblica amministrazione, in un mercato libero e concorrenziale, può concludere contratti non solo a condizioni più economiche, perché il sistema concorrenziale induce il contenimento dei prezzi, ma anche con imprese più adatte e qualificate, a fronte dell’allargamento della platea dei concorrenti alle gare.

Il cuore dell’indagine conoscitiva dell’Amministrazione nella sua veste di committente, cioè di soggetto che esprime la propria domanda sul mercato e ha tutto l’interesse a selezionare la platea dei concorrenti, è rappresentato dalla valutazione dei requisiti, in particolare quelli previsti all’art. 83 del codice degli appalti, riguardanti l’idoneità professionale, la capacità economica e finanziaria e le capacità tecniche e professionali delle aspiranti imprese.

L’esigenza della stazione appaltante di circoscrivere la partecipazione delle imprese che ritiene capaci, oltre che affidabili, apparentemente si scontra con la funzione estensiva del principio concorrenziale.

Tuttavia, la selezione appare legittima ove sia fatta non sulle imprese quanto sull’offerta proposta e sia una valutazione tecnico-economica che non pregiudichi l’ammissione alla gara, distinguendo il profilo dell’ammissione dei concorrenti da quello della selezione dell’offerta.

Ad esempio, subordinare la partecipazione alla gara al raggiungimento di un determinato livello di fatturato senza correlazione alle effettive capacità tecniche sarebbe un comportamento anti concorrenziale, in quanto andrebbe a pregiudicare nell’aggiudicazione le imprese di più giovane formazione e di piccole dimensioni.

Il bilanciamento degli interessi di tutti i soggetti operanti sul mercato e per il mercato è, dunque, dibattito tuttora acceso. La recentissima pronuncia della Corte Costituzionale, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 177 del codice dei contratti pubblici,  sotto il profilo della libertà di impresa sancito dall’art. 41 Cost.,  ha posto al centro della questione il bilanciamento tra le esigenze concorrenziali e la libertà di iniziativa economica. Difatti, pur se la ratio della iniziativa legislativa, in particolare orientata a rimuovere rendite di posizione, era quella di tutelare la concorrenza, è stata dichiarata irragionevole e non equilibrata “rispetto alle contrapposte e altrettanto legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento“. 

Il legislatore, infatti, sancendo l’obbligo di dismissione totalitaria dei lavori, servizi e forniture relativi a una concessione affidata senza gara, avrebbe ecceduto «i pur ampi limiti» della sua discrezionalità, prevedendo «una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine» di imporre regole pro-concorrenziali (come confermato dal parere del Consiglio di Stato n. 823 del 2020) seppur a valle, con la restituzione al mercato di segmenti di attività ad esso sottratti, in quanto oggetto di concessioni a suo tempo affidate senza gara alle imprese concessionarie.

Ciò finirebbe “per snaturare la stessa attività imprenditoriale” del concessionario, con un intervento ritenuto irragionevole. La Corte, pertanto, nella valutazione degli interessi coinvolti e costituzionalmente garantiti, ha considerato legittima la situazione di aspettativa delle imprese (“in particolare quando abbiano dato avvio, sulla base di investimenti e di programmi, a un’attività imprenditoriale in corso di svolgimento”) ritenendo che il perseguimento di tutela della concorrenza incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti. 

Per la Pubblica Amministrazione, che agisca secondo gli schemi del diritto pubblico che del diritto privato, tra gli interessi della stazione appaltante, delle imprese e del mercato, l’ago della bilancia è sempre l’interesse pubblico, da perseguire in particolare nel caso di procedimenti come quello preso in esame, tra i più importanti per diffusione, ampiezza, rilevanza finanziaria e dimensione del contenzioso.


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