La disciplina dei reati tributari

La disciplina dei reati tributari

Il Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 76 del 31 marzo 2000) – disciplina i reati tributari. Quest’ultima è stata oggetto di modifiche ad opera del Decreto Legge n. 124 del 26 ottobre 2019 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, noto alle cronache come “Decreto fiscale”. Le novità direttamente incidenti sul sistema penale sono contenute nel Capo IV del decreto, composto da un unico articolo – l’art. 39 – strutturato in tre commi. Il primo modifica proprio la disciplina di cui al d.lgs. n. 74/2000,  il quale ha introdotto pene più alte e soglie di punibilità più basse per tali reati.

In particolare, nella parte iniziale, ci accingiamo a compiere un’analisi generale, soffermandoci sul Titolo II, Capo I in cui sono elencati i ‘delitti in materia di dichiarazione’ e sul Capo II con i ‘delitti in materia di documenti e pagamento di imposte’. Nella parte finale, invece, discuteremo sulle cd. ‘frodi carosello’ che avvengono in materia di Iva, il quale costituiscono un fenomeno che ha avuto uno sviluppo ed un’importanza primaria nell’applicazione del diritto penale tributario coinvolgendo più fattispecie penali tra quelle regolate dal d.lgs. in esame.

Il Capo I, dunque, individua e regola quattro fattispecie: l’art. 2 del d.lgs. 74/2000 rubricato ‘Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti’, l’art. 3 ‘Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici’, l’art. 4 ‘Dichiarazione infedele’ e l’art. 5 ‘Omessa dichiarazione’.

Come possiamo notare, i dati previsti da questo capo hanno un comune oggetto materiale dato dalle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. La dichiarazione dei redditi e la dichiarazione Iva devono essere presentate ogni anno, in quanto concernono tributi periodici, la cui base di commisurazione varia di anno in anno. Pertanto, noteremo subito che la dichiarazione è alla base dei reati tributari che, non a caso, sono definiti reati dichiarativi. Ai sensi dell’art. 1, co. 2 del DPR 600/73, il contenuto caratteristico della dichiarazione, sia ai fini dell’Irpef sia ai fini dell’Ires, è dato dalla “indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili secondo le norme che disciplinano le imposte stesse”. Nella dichiarazione Irpef devono essere indicati, oltre ai dati ed elementi necessari per determinare i redditi (singoli redditi o reddito complessivo), anche gli elementi necessari per determinare l’imposta dovuta e la somma da versare, come recita l’art. 2 del DPR 600/73. Sono, quindi, da indicare gli oneri deducibili, l’imposta lorda, le detrazioni dall’imposta, l’imposta netta, le ritenute e i versamenti d’acconto, i crediti d’imposta ed, infine, il saldo finale. Anche nella dichiarazione Ires devono essere indicati i dati e gli elementi necessari per la determinazione dei redditi e delle imposte dovute, ex art. 4 del DPR 600/73.

Inoltre, sia la dichiarazione Irpef che Ires devono indicare i dati e gli elementi necessari per l’effettuazione dei controlli richiesti nel modello di dichiarazione. La dichiarazione dei redditi, dunque, è un atto il cui contenuto è vario e complesso, in relazione alle molteplici funzioni che assolve. Gli obblighi relativi alla dichiarazione sono presidiati da sanzioni, tant’è che la normativa tributaria prevede l’irrogazione di tali sanzioni proprio negli artt. 2 – 3 – 4 – 5 d.lgs. 74/2000, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione tributaria, presentazione di una dichiarazione infedele o addirittura fraudolenta. Questo perché, le dichiarazioni al Fisco da parte del contribuente costituiscono il mezzo principale per la determinazione e la liquidazione dei tributi.

Le prime tre ipotesi delittuose del d.lgs. in esame sono accomunate dall’avere natura commissiva e dall’estrinsecarsi attraverso un falso ideologico in scrittura privata, il quale viene assoggettato a sanzioni tenendo conto del particolare rilievo assunto nel procedimento impositivo da queste dichiarazioni. In questo contesto, gli articoli 2 e 3 puniscono la forma più grave di falsità ideologica data dalla dichiarazione fraudolenta mediante artifici idonei a sviare od ostacolare l’attività di accertamento. Artifici distinti, a loro volta, in due fattispecie: quella di cui all’art. 2 data dall’uso di fatture od altri documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti è considerata dal legislatore come l’ipotesi più grave per la quale non è stata prevista alcuna soglia di punibilità, quella, invece, di cui all’art. 3 data dall’uso di mezzi fraudolenti diversi da quelli dell’art. 2, idonei ad ostacolare l’accertamento. Dunque, il Capo I del Titolo II si apre con la fattispecie disciplinata dall’art. 2 che, tra quelle in materia di dichiarazione, desta il maggiore allarme sociale e per la quale è previsto sia il trattamento sanzionatorio più grave sia, unica tra questi delitti, la mancanza – come pocanzi accennato – di una soglia di punibilità. La norma appena citata punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Nonostante l’uso del pronome indefinito chiunque, il delitto in esame ha natura di reato proprio. Infatti, soggetto attivo dello stesso può essere solo chi in proprio, quale contribuente, o per conto di altri, presenti una dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto. Pertanto, come già accennato, è un reato di tipo dichiarativo che si commette nel momento in cui si utilizza una qualsiasi dichiarazione fiscale rilevante. Il reato di dichiarazione fraudolenta consiste, quindi, nella redazione di una dichiarazione non veritiera, sottesa da un impianto contabile o documentale idoneo a intralciare l’attività di accertamento dell’amministrazione. Sotto  l’aspetto psicologico, invece, viene richiesto il cd. dolo specifico rappresentato dall’intento di evadere le imposte sui redditi e l’Iva. Per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato, trattandosi di un delitto commissivo di mera condotta, ha natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale.

L’art. 3 del d.lgs. 74/2000 disciplina la seconda ipotesi di dichiarazione fraudolenta. In particolare, con questa norma si punisce chiunque, fuori dai casi previsti dall’art. 2, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi. Anche in questo caso, nonostante l’uso del pronome chiunque il delitto in esame ha natura di reato proprio potendo essere commesso solo da chi riveste una determinata qualifica. Come per tutti i reati regolati da tale decreto legislativo, anche la presente fattispecie è punita esclusivamente a titolo di dolo che, innanzitutto, deve avere ad oggetto tutti gli elementi materiali della fattispecie: la falsa rappresentazione nelle scritture contabili, l’uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento di questa falsità e l’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi. Inoltre, si richiede anche lo specifico fine di evadere le imposte. Anche in questo caso, si tratta di condotte fraudolente, ma diverse dall’utilizzo di fatture, quindi mediante l’utilizzo di altri documenti falsi ovvero di altri mezzi fraudolenti. Come per l’art. 2, anche l’art. 3 ha natura istantanea in quanto si consuma a seguito della presentazione della dichiarazione annuale fraudolenta.

L’art. 4 del d.lgs. 74/2000, come risulta espressamente dalla clausola di riserva che ne stabilisce l’applicabilità  fuori dai casi previsti dagli artt. 2 e 3, si pone quale norma residuale venendo a punire tutte le ipotesi di falso in dichiarazione che non sono già regolate dalle precedenti e più gravi fattispecie di dichiarazione fraudolenta. Tale reato può essere commesso da chiunque abbia l’obbligo di presentare dichiarazione annuale sui redditi o sull’imposta sul valore aggiunto, anche se non obbligato alla tenuta della contabilità – soggetti non tenuti alle scritture contabili obbligatorie, infatti come per l’art. 3 trova applicazione  nei confronti di questi ultimi contribuenti – al fine di evadere l’Iva e le imposte sui redditi nella dichiarazione indicando elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi. Essendo un reato dichiarativo, anche in questo caso si perfeziona e si consuma con la presentazione della dichiarazione. La norma richiede la necessaria presenza, quale elemento soggettivo, del dolo che deve essere specifico in quanto si richiede che il soggetto attivo agisca al fine di evadere le imposte su Irpef, Ires e/o Iva.

Con l’art. 5 del d.lgs. 74/2000  viene prevista l’ultima fattispecie penale dei delitti in materia di dichiarazione e, cioè, l’omessa dichiarazione. Soggetti attivi possono essere coloro i quali sono obbligati alla presentazione di una delle dichiarazioni che poi risultano omesse. Si tratta, pertanto, di un reato omissivo proprio in quanto la condotta si sostanzia e si esaurisce nella mancata presentazione della dichiarazione rilevante accompagnata dall’avvenuta evasione di un’imposta superiore alla ivi stabilita soglia di punibilità. Anche qui, dunque, si tratta di un delitto di natura istantanea. Questo reato si verifica quando non si presenta la dichiarazione, ma anche quando è stata presentata oltre 90 giorni dalla scadenza. Infatti la norma al secondo comma stabilisce che non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto. A questo proposito, è interessante approfondire un aspetto: nell’esperienza concreta ed anche nell’attenzione del legislatore assumono rilevanza, ai fini dell’individuazione dei soggetti giuridici obbligati alla dichiarazione, i fenomeni che vengono comunemente individuati nella cd. esterovestizione e nella stabile organizzazione occulta, fenomeni con i quali si vengono a sottrarre, illecitamente, società operanti in Italia agli obblighi dichiarativi ed al conseguente pagamento delle imposte. Con il termine esterovestizione si fa riferimento a quelle società che, pur avendo formalmente sede legale all’estero, hanno in realtà la loro sede effettiva in Italia. A tal proposito, ci accingiamo a fare qualche cenno sul famosissimo caso Dolce&Gabbana.  Caso in cui è stato descritto lo svolgimento del giudizio nel corso del quale i due stilisti – Domenico Dolce e Stefano Gabbana –  a seguito della qualificazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di una loro operazione societaria come ‘esterovestizione’, sono stati inizialmente imputati per i reati di truffa ai danni dello Stato ex art. 640, 2° comma, c.p., dichiarazione infedele e omessa dichiarazione ex artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000. La Corte di Cassazione e il Tribunale di Milano, chiamati a pronunciarsi sulla responsabilità penale dei due noti stilisti italiani per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000  – nel seguito della vicenda giudiziaria, assumerà notevole importanza l’imputazione per il reato di omessa dichiarazione ex art. 5 d.lgs. 74/2000 – e truffa aggravata ai danni dello Stato ex art. 640, 2° comma c.p., quest’ultimo reato in concorso con altre persone: il giudice meneghino ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto di reato, mentre la Corte di Cassazione ha annullato, con rinvio ad altro giudice, il proscioglimento nel merito del Tribunale di Milano. I due stilisti si sono dunque ritrovati a doversi difendere in due diversi giudizi attinenti alla medesima fattispecie compiuta, uno di diritto tributario mediante la proposizione di ricorso davanti alla C.T.P. di Milano ed uno di diritto penale tributario in base al combinato disposto degli artt. 4 – 5 d.lgs. 74/2000 e dell’art. 640 c. 2 c.p.

Fino ad ora, ci siamo concentrati sui delitti in materia di dichiarazione di cui al Titolo II – Capo I, adesso passiamo all’analisi del Capo II con i delitti in materia di documenti e pagamento di imposte.

La prima fattispecie di cui all’art. 8 del d.lgs. 74/2000 rubricato ‘Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti’ punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Trattasi di un reato comune non richiedendo particolare qualificazione soggettiva da parte del suo autore ed essendo evidente la volontà del legislatore di allargare il campo della possibile responsabilità a tutti coloro che svolgono l’illecita attività di produzione di documenti falsi utili a vulnerare l’attività di accertamento fiscale. Soggetto attivo del reato può essere chiunque, ma a differenza dei reati c.d. dichiarativi, tra cui quello punito all’art. 2 che sanziona l’utilizzo in dichiarazione delle fatture false, il reato de quo si connota come reato di pericolo, in quanto non è necessario ai fini della punibilità che i documenti fiscali siano effettivamente utilizzati, bensì è sufficiente la loro mera emissione o il rilascio, cioè che i documenti escano dalla sfera individuale del reo per entrare nella disponibilità di terzi proiettando, dunque, effetti giuridici all’esterno. Come precisato, infatti, anche dalla più recente giurisprudenza, tale reato “presuppone l’alterità tra la persona che emette e la persona che utilizza le fatture”. [1] Il delitto è punito a titolo di dolo specifico richiedendosi che il soggetto agisca al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. È necessario, quindi, che risieda la consapevolezza e volontà di porre in essere la specifica condotta sanzionata, cioè di emettere o rilasciare le fatture per operazioni inesistenti al fine specifico di consentire a terzi di dichiarare il falso al fisco.

L’art. 10 del d.lgs. 74/2000 è rubricato ‘Occultamento o distruzione di scritture contabili’. La condotta in esame deve necessariamente essere di tipo commissivo, non essendo la stessa realizzabile con una mera omissione e può consistere, in modo alternativo, o nell’occultamento o nella distruzione dei documenti indicati. Si ha distruzione quando vi è l’eliminazione fisica del documento o  l’annientamento del supporto cartaceo o rendendo, in tutto o in parte, non leggibile il suo contenuto attraverso abrasioni, cancellature o altro. Per quanto riguarda, invece, la più complessa individuazione della condotta di occultamento questa si verifica quando vi sia il materiale nascondimento dei documenti avvenuto con  qualsiasi modalità purché idonea a renderli irreperibili, anche solo temporaneamente. L’occultamento non deve essere necessariamente assoluto e cioè idoneo ad impedire a chiunque di prendere visione di quei documenti, ma tale da non consentire il loro esame a quei soggetti pubblici che hanno il compito di svolgere la verifica fiscale. Secondo la dottrina prevalente, l’occultamento o la distruzione di più documenti determina la realizzazione di un unico reato laddove questi si riferiscano ad un medesimo periodo d’imposta. E’ necessario il dolo specifico di evasione dato dalla circostanza che il soggetto attivo sia animato, nella sua condotta, dalla finalità di conseguire, per se o per altri, un’evasione di imposta. L’occultamento è considerato un reato permanente, (anche se una recente sentenza lo definisce ‘istantaneo con effetti permanenti’), mentre la distruzione è un reato istantaneo che si verifica nel momento in cui avviene, appunto, la distruzione stessa.

Simile all’omesso versamento delle ritenute dovute o certificate di cui all’art. 10 bis del d.lgs. 74/2000, anche l’art. 10 ter del medesimo decreto disciplina l’omesso versamento, ma in questo caso riguarda l’Iva. Soggetto attivo del reato è esclusivamente il soggetto Iva. Il delitto necessita della componente del dolo generico, non essendo richiesta la finalità specifica di evadere le imposte o consentire l’evasione a terzi. Il delitto in esame è strutturato come un reato omissivo proprio ed istantaneo.

Fatta tale panoramica generale sulla disciplina dei reati tributari,come anticipato all’inizio di tale contributo, in quest’ultima parte ci soffermiamo sull’analisi delle cd. frodi carosello, questo perché, in campo Iva, sono frequenti le frodi attuate con false fatturazioni. Il sistema Iva è fondato sul principio per cui l’imposta, calcolata sul prezzo del bene o del servizio reso, è dovuta allo Stato da ciascun soggetto passivo, che dal debito Iva detrae l’imposta che ha gravato i suoi acquisti. Ad ogni passaggio, lo Stato deve incassare la differenza tra Iva sugli acquisti e Iva sulle vendite, fino all’ultimo passaggio. Può però accadere che, nella catena, vi sia un soggetto passivo che incassa l’Iva, ma non la versa allo Stato. Nelle frodi carosello, ci sono delle società dette ‘cartiere’ che hanno lo scopo di emettere fatture false. Può trattarsi di società che si limitano a stampare ‘pezzi di carta’ senza aver alcuna struttura, o con una struttura minima e che ‘vendono’ false fatture sulla cui base i cessionari detraggono l’Iva esposta in fattura. Può poi accadere che successivamente il cessionario rivendica i beni applicando correttamente l’Iva, ma dopo che si è verificato un ‘salto’ d’imposta, rappresentato dall’Iva detratta dal cessionario, ma non versata dal cedente, nel precedente passaggio. Sui profili penalistici della falsa fatturazione si vedano, nel d.lgs. 74/2000: l’art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), gli artt. 3 e 4 (dichiarazione fraudolenta ed infedele), l’art.8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e, infine, l’art. 10 ter (omesso versamento dell’Iva).

Le fatture false riguardano operazioni in tutto o in parte inesistenti, dal punto di vista oggettivo o soggettivo. L’operazione è soggettivamente inesistente quando la fattura si riferisce ad una operazione effettiva, ma posta in essere da un soggetto diverso da colui che è indicato nella fattura. Inoltre, dispone l’art. 21, comma 7, D.P.R. 26 ottobre 1972, n.633, che ‘se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura’. La fattura ha di per se valore costitutivo del debito d’imposta per colui che la emette, anche se ha per oggetto un’operazione inesistente, o se indica un corrispettivo superiore a quello reale, o un’imposta superiore a quella prevista. Chi emette fattura è, dunque, tenuto a pagare l’imposta, a titolo di sanzione.

In tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. [2]

Nel dettaglio, vediamo che nello schema tipico delle frodi carosello [3] vi è innanzitutto una prima società Alfa, che effettua una cessione intracomunitaria (cessione, quindi, non imponibile) ad una società Beta (cartiera), residente in un altro Stato membro. Ad esempio, vi è una società tedesca Alfa che vende dei beni a una società italiana Beta (cartiera). La società italiana Beta è un soggetto interposto (tra venditore Alfa e acquirente effettivo Gamma), che acquista il bene senza pagamento dell’Iva (operazione intracomunitaria). Il bene è poi rivenduto a Gamma che paga l’Iva di rivalsa a Beta e rivende il bene. La società Beta acquista senza sborsare Iva e vende con Iva; essa incassa l’Iva sulle vendite fatte a Gamma, ma non versa l’Iva all’erario e scompare. A sua volta, Gamma detrarrà l’Iva versata a Beta per i beni acquistati presso Beta. Il danno per l’Erario è duplice: da un lato, vi è Beta che sottrae all’erario  l’Iva che ha incassato per la vendita a Gamma; al tempo stesso, Gamma acquisisce il diritto di detrazione, per cui l’Erario diventa debitore verso Gamma per l’Iva mai incassata. Il caso in cui la frode è realizzata interponendo un soggetto (cartiera) tra due operatori effettivi è ricorrente. Il perno della frode è, dunque, Beta che incassa e non versa l’Iva. L’omesso versamento dell’Iva, pur in assenza di consistenti importi non versati, era solo una violazione amministrativa (sanzione del 30% dell’imposta non versata in base al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1), ma proprio per contrastare le frodi è stato previsto, dall’art. 10 bis del d.lgs. 74/2000, che sia reato. Quindi la cosiddetta frode carosello (carosello chiuso) si verifica quando la società Gamma non vende ad un consumatore finale italiano, ma ad una società di un altro Stato comunitario (società Delta), la quale rivende ad Alfa e da qui l’espressione frode carosello. Nelle frodi carosello, non sempre tutte le società coinvolte sono partecipi alla frode. Infatti Gamma ha diritto alla detrazione se è estraneo alla frode, non ha invece diritto se ha partecipato o ne è soltanto consapevole. Dunque, possiamo dire che le frodi carosello, sostanzialmente, vengono poste in essere eseguendo dei passaggi di beni tra diverse società appartenenti a diversi Stati, con il fine di evadere le tasse, in particolare l’Iva. In tal modo, i predetti beni possono essere posti sul mercato a prezzi vantaggiosi rispetto a quanto avverrebbe se agli stessi fosse applicata l’imposta sul valore aggiunto. Alla base di tale comportamento, vi è la normativa che regola l’applicazione dell’Iva sugli scambi comunitari. A tali operazioni si applica infatti il cd. reverse charge, che prevede che l’Iva non venga addebitata in fattura, ma che sia poi l’acquirente a dover integrare il documento pagando l’imposta al fisco del suo paese, secondo l’aliquota ivi vigente. L’autofattura va poi inserita nel registro degli acquisti e in quello delle fatture emesse. Da questa riflessione si deduce dunque che, il meccanismo delle frodi carosello si realizza proprio sfruttando il reverse charge e utilizzando delle società fittizie (cartiere), interposte all’interno di un’operazione commerciale, al fine di far sorgere un diritto (in realtà inesistente) a detrarre l’Iva sugli acquisti. Il termine frodi carosello deriva dal fatto che, spesso, il meccanismo appena descritto si ripete, in realtà, con passaggi tra più società fittizie fino a che il bene dall’acquirente finale di uno Stato UE finisce per tornare all’originario cessionario di un altro Stato Ue, che fa poi ripartire il giro, come una sorta di carosello. Le frodi carosello sono aspramente sanzionate sia dalla normativa nazionale che dall’ordinamento europeo. Nel dettaglio, in Italia trovano applicazione le conseguenze previste proprio dal decreto legislativo 74/2000 in esame per i reati tributari. A livello europeo, la lotta alle frodi carosello è affidata ad apposite istituzioni, come ad esempio l’OLAF, al quale è affidato il compito di indagare sui casi di frode ai danni del bilancio dell’UE e sui casi di corruzione e grave inadempimento degli obblighi professionali all’interno delle istituzioni europee e di elaborare la politica antifrode per la Commissione Europea. In questo contesto, nonostante la natura transnazionale del fenomeno illecito, esso si manifesta principalmente sotto forma di perdita del gettito tributario e, quindi, come un danno economico inflitto alle finanze degli Stati membri nonché, in un secondo momento, tale danno riguarda anche, e indirettamente, le finanze europee. Questa è la ragione per la quale il problema delle frodi, e di conseguenza anche il recupero dell’imposta evasa, rientra principalmente nella competenza dell’azione repressiva e recuperatoria dell’amministrazione finanziaria nazionale.

 

 

 


[1] Cass. pen., sez. fer., n. 47603/2017
[2] La corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26462 del 19/10/2018, ha affermato importanti considerazioni in tema di rilevanza della consapevolezza del contribuente della partecipazione ad una frode carosello.
[3] Lo schema tipico delle frodi carosello è illustrato nella Comunicazione del Consiglio UE (2004) 260 del 16.4.2004, punto 3.2.2.

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