La disciplina del licenziamento individuale dopo il D.lgs. n. 23 del 2015 (Tesi di laurea)

La disciplina del licenziamento individuale dopo il D.lgs. n. 23 del 2015 (Tesi di laurea)

La disciplina del licenziamento individuale dopo il D.lgs. n. 23 del 2015

di Roberta Procino

Lo scopo di questa tesi è di analizzare la disciplina dei licenziamenti individuali e in particolar modo l’articolo 18 alla luce delle recenti riforme, prima della Riforma Fornero del 2012 e soprattutto dopo il Jobs Act del 2015.

Il nostro legislatore non ha aiutato, avendoci offerto due riforme in meno di tre anni e soprattutto dei testi legislativi oscuri, poco comprensibili e irrazionali. La ricerca è partita dai motivi che hanno spinto il nostro legislatore ad intervenire in tema di licenziamenti e in generale dai fattori che hanno portato alla “Grande depressione” che ha colpito a livello internazionale e precisamente quelli che hanno portato alla crisi economica del nostro paese.

Il lavoro illustrerà come il nostro legislatore in realtà non ha fatto altro che ispirarsi al modello della flexicurity, che potremmo dire in generale tende ad assicurare maggiore occupazione a discapito di minori tutele per i lavoratori, probabilmente persuaso dai buoni risultati che tale modello ha ottenuto in altri paesi europei come la Danimarca, l’Olanda, la Svezia.

Il legislatore non si è limitato a ciò, perché con l’approvazione del Jobs Act e il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ancora una volta si è limitato a ispirarsi al modello di contratto unico ipotizzato dall’Europa come vedremo però risultati, alquanto discutibili, dato che le differenze tra il modello contrattuale europeo e quello italiano sono vistose.

Si porrà l’attenzione sul discutibile iter che ha portato all’approvazione della recente riforma, soprattutto la scelta dello strumento della legge delega e della sua tacciata incostituzionalità. A conclusione del primo capitolo ci sarà un excursus, con il quale si analizzerà la disciplina dei licenziamenti individuali negli altri paesi europei nelle due super potenze economiche come Stati Uniti e Cina.

Nei capitoli invece successivi, si analizzeranno le tre tipologie di licenziamento: quello disciplinare (capitolo due), quello discriminatorio (capitolo tre), quello per giustificato motivo oggettivo detto (capitolo quattro).

L’analisi cercherà di mettere in luce le modifiche apportate per ogni singola fattispecie prima dalla riforma del 2012 e poi quelle intervenute nel 2015, dato che per i lavoratori assunti ante riforma continuerà ad applicarsi l’articolo 18 così come novellato dalla legge 92/2012, proprio questa duplicità di discipline e di tutele sarà al centro della tesi, perché vi è una netta differenza di tutele tra vecchi e nuovi assunti e proprio ciò è stato al centro delle maggiori critiche.

Non saranno tralasciati quelli che sono gli aspetti “negativi della riforma”, non solo ci si soffermerà sul problema dell’eccesso di delega ma anche degli aspetti irrazionali di tale riforma, su come il legislatore abbia voluto e portato a termine quello che era uno degli obiettivi sin dal 2012, limitare il potere discrezionale del giudice e tale aspetto è stato realizzato dato che il nuovo decreto esclude qualsiasi valutazione circa la sproporzione del licenziamento ai sensi dell’art. 3 comma 2 del D.lgs. 23/2015, si analizzerà l’irrazionalità della norma che si può ravvisare sin da subito leggendo le primissime righe del decreto nelle quali sono specificate le categorie di lavoratori ai quali è applicabile la nuova disciplina: operai, impiegati, quadri e ci si soffermerà sugli altri lavoratori e su quale disciplina dunque sarà loro applicata, tenendo conto della profonda diversa tutela che dopo il 7 marzo 2015 sarà applicata.

L’irrazionalità del nuovo sistema si noterà anche nel vedere come gli stessi lavoratori che lavorano nella stessa impresa si troveranno probabilmente a subire un trattamento diverso. Nel licenziamento c.d. economico è stata esclusa la tutela reintegratoria dando in tal modo piena libertà di licenziare, senza la conseguenza più grave per i datori di lavoro prevedendo solo una tutela indennitaria.

Sarà oggetto del secondo capitolo il licenziamento disciplinare per il quale è prevista solo la tutela indennitaria in generale e quella reintegratoria è solo eccezionale ed è stata collegata al solo caso in cui sia dimostrata direttamente in giudizio l’insussistenza del fatto materiale ed è questo oggetto di critiche, perché da un lato il legislatore ha voluto specificare “fatto materiale” per eliminare qualsiasi dubbio l’indomani della Riforma Fornero e dall’altro ci si è chiesti cosa si intenda con tale espressione. Da ciò dipende l’unica possibilità per il lavoratore di essere reintegrato. I dubbi e le incertezze su tale norma sono dovuti anche all’inversione dell’onere della prova, sarà il lavoratore che dovrà dimostrare direttamente in giudizio l’insussistenza del fatto se vuole avere delle chances di essere reintegrato e è esclusa la prova indiretta.

Nel capitolo tre l’analisi si concentrerà sul licenziamento discriminatorio, l’unico in cui è sopravvissuta la tutela reintegratoria, dato che è quello connotato dal maggiore disvalore sociale.


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