La disciplina del reato continuato: excursus giurisprudenziale tra dubbi irrisolti e prospettive future

La disciplina del reato continuato: excursus giurisprudenziale tra dubbi irrisolti e prospettive future

Negli ultimi decenni il diritto penale è stato profondamente rinnovato alla luce dei sempre più pregnanti principi di colpevolezza, legalità, favor rei e della funzione rieducativa della pena; questi hanno avuto un particolare riflesso, sia dal punto di vista teorico che pratico, in ordine alla figura giuridica del reato continuato ex art. 81 c.2 c.p.

Ad onor del vero il tema in questione è stato al centro di numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, non ancora del tutto sopiti, sia in merito alla natura giuridica del reato continuato sia in ordine alla compatibilità del predetto istituto con diverse figure normative. In particolare, la giurisprudenza e la dottrina a lungo si sono confrontate sulla compatibilità dell’art. 81 c.2 c.p. con le tematiche della colpa con previsione, i reati aggravati dall’evento, con l’art. 586 c.p. e con l’art. 116 c.p.

Prima di entrare nel merito di tali problematiche, è necessario soffermarsi sulla ratio e sulla natura giuridica dell’art. 81 c.2 c.p.

Il reato continuato è inserito e disciplinato nel Libro I, Titolo III, Capo III dedicato al concorso di reati, all’art. 81 c.2 c.p. il quale dispone che soggiace alla stessa pena espressa in tema di concorso formale, chi con più azioni o omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso, commette più violazioni di legge anche in tempi differenti. Dalla lettura della norma emergono i seguenti requisiti costitutivi: la pluralità di azioni od omissioni; la violazione di omogenee o eterogenee disposizioni di legge che daranno luogo ad un concorso omogeneo o eterogeneo di reati; la distanza cronologica dei reati; la sussistenza del medesimo disegno criminoso. 

La presenza della pluralità di azioni ed omissioni segna il discrimen tra il reato continuato e il concorso formale ex art. 81 c.1 c.p., il quale necessita di un’unica condotta commissiva od omissiva integrante la violazione di più disposizioni di legge. In ogni caso, l’art. 81 c. 1 e c. 2 presentano il medesimo trattamento sanzionatorio costituito dal cumulo formale di reati che implica l’accertamento della pena più grave aumentata sino al triplo.

Invece, i rimanenti tre requisiti distinguono, dal punto di vista sanzionatorio, il reato continuato dal concorso materiale di reati; al reato continuato verrà applicato il cumulo formale descritto dall’art. 81 c.1 c.p. invece, al concorso materiale di reati si applicherà il cumulo materiale che consiste nella mera operazione aritmetica sommatoria delle singole pene per i reati commessi.

Alla luce di tali considerazioni, la dottrina e la giurisprudenza si sono confrontate in ordine alla ratio dell’istituto in questione; secondo un primo orientamento, il reato continuato necessiterebbe di un più rigoroso trattamento sanzionatorio in quanto espressione di un “dolo arricchito” costituito dall’esecuzione di un medesimo disegno criminoso esplicativo di una maggiore colpevolezza del reo. Tale interpretazione è stata confutata dalla giurisprudenza maggioritaria e dalla miglior dottrina che hanno sottolineato come l’art. 81 c.2 rappresenti una norma indicativa di una benevolenza sanzionatoria alla luce di un’interpretazione letterale, teleologica e conforme alla volontà del legislatore. L’opinione in questione evidenzia che la collocazione sistematica nell’art. 81 c.p. in tema di concorso formale e l’applicazione del cumulo formale sono dati innegabili di un evidente favor rei. Infatti, il medesimo disegno criminoso che avvolge i singoli reati rappresenta la volontà del reo di porsi contro l’ordinamento una singola volta, a differenza del concorso materiale ove l’agente si pone contro l’ordinamento tante volte quanti sono i reati commessi.

In sintesi, il reato continuato evidenzia uno scopo finalistico unitario che unisce i singoli reati in un medesimo disegno criminoso esplicativo di una minore riprovevolezza del reo.

In ordine alla portata applicativa dell’art. 81 c.2 c.p. si sono confrontate la teoria intellettiva, volitiva e teleologica. 

Secondo la prima impostazione, il reato continuato sarebbe applicabile non solo ai reati dolosi ma anche colposi poiché basterebbe che tali reati siano oggetto di rappresentazione nella mente dell’autore anche se non sono da questi voluti. A sostengo di tale conclusione viene sottolineato che l’art. 81 c.2 c.p. non distingue, ai fini dell’applicazione dell’istituto in questione, tra reati dolosi e colposi; invero, è necessario esclusivamente che i reati siano connessi da uno scopo unitario e sufficientemente predeterminato esplicativo di un medesimo disegno criminoso.

In senso critico si esprime l’interpretazione volitiva, avallata da parte della giurisprudenza, la quale sottolinea che l’agente, non solo si debba rappresentare l’evento, ma debba anche volerlo poiché il medesimo disegno criminoso è costituito dalla necessaria individuazione, seppur per tratti fondamentali, di tutti i reati. Sicché il coefficiente colposo sarebbe ontologicamente inconciliabile con l’individuazione anticipata delle ipotesi di reato esecutive di un disegno unitario.

L’orientamento nettamente prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza, abbraccia la teoria finalistica\teleologica che oltre ad esigere una deliberazione volitiva anticipata ed unitaria dei singoli reati, necessità di un vincolo finalistico espressivo del c.d. medesimo disegno criminoso. Secondo l’impostazione in questione, il reato continuato sarebbe espressione di un’unica risoluzione criminosa indicativa di una minor colpevolezza che giustifica il trattamento sanzionatorio di favore del cumulo formale.

Altrettanti dubbi interpretativi si sono palesati in ordine alla natura giuridica del reato continuato ed in particolare, se tale figura giuridica debba essere considerata un reato unitario.

Secondo la tesi atomistica, l’art. 81 c.2. c.p. unirebbe i reati solo dal punto di vista sanzionatorio e non anche per altri eventuali aspetti come la dichiarazione di abitualità, l’amnistia, l’indulto, la prescrizione. 

In senso critico si pone la teoria unitaria la quale considera il fenomeno del reato continuato come un unico reato non solo ai fini dell’applicazione della pena ma anche in rapporto al bilanciamento tra le circostanze, per la prescrizione ed ogni altro effetto penale. 

Il contrasto in questione è pervenuto alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che hanno aderito ad una teoria intermedia che considera la figura del reato continuato per certi versi unitario e per altri come serie di reati autonomi al fine di applicare una disciplina più favorevole al reo. Invero, le S.U. prendono le mosse dalla ricostruzione del contrasto giurisprudenziale sottolineando come non sia possibile ontologicamente considerare l’art. 81 c.2 c.p. quale insieme di reati autonomi collegati da uno scopo o un reato unitario. Ad onor del vero, la teoria atomistica e quella unitaria presentano una serie di conseguenze giuridiche sfavorevoli al reo tali da non conciliarsi con il principio del favor reo e la volontà del legislatore. 

Tali considerazioni hanno condotto le Sezioni Unite ad elaborare un criterio intermedio a geometrie variabili che ha come faro orientativo il principio del favor reo e l’espressa volontà del legislatore. Viene così elaborato il seguente principio di diritto: il reato continuato va considerato unitario nei casi in cui il legislatore “a monte” lo valuta come tale (come avviene per il calcolo della pena), invece, in caso di silenzio legislativo, bisognerebbe verificare in concreto il trattamento più favorevole per l’agente considerando l’art. 81 c.2. c.p. come reato unitario ovvero reati distinti. 

Orbene, dopo avere delineato i tratti fondamentali dell’istituto del reato continuato, è necessario adesso saggiarne la sua compatibilità con il requisito soggettivo della c.d. colpa con previsione.

La colpa cosciente rappresenta la figura più grave del fenomeno colposo nella quale l’agente prevede che la sua condotta possa cagionare un evento dannoso, ma agisca ugualmente con il convincimento di poterlo evitare. L’istituto in questione è stato al centro di vivaci dibattiti giurisprudenziali che hanno condotto le Sezioni Unite a pronunciarsi in merito alla differenza fra colpa cosciente e dolo eventuale nella famosa sentenza Tyssenkroup. In particolare, è stato sottolineato come esista un labile confine tra colpa con previsione e dolo eventuale desumibile da una serie indici riscontrabili nel singolo caso concreto capaci di evidenziare l’elemento rappresentativo ovvero volitivo dell’agente. In estrema sintesi, l’agente versa in colpa cosciente quando questi si rappresenti un determinato evento senza volerlo, viceversa, il dolo eventuale è connotato da un momento rappresentativo o di accettazione del rischio al quale segue l’adesione all’evento (elemento volitivo) in base ad un bilanciamento di interessi concernete la scelta di agire o meno. 

Tale premessa disciplinare ci permette di affrontare il tema della compatibilità tra colpa cosciente e reato continuato nel quale non si riscontra un’uniformità di vedute; secondo un primo orientamento giurisprudenziale, che aderisce alla teoria rappresentativa, non vi sarebbero ostacoli a ritenere compatibili gli istituti in esame. Infatti, secondo i fautori della teoria rappresentativa non vi è ragione di escludere le fattispecie colpose dall’ambito applicativo del reato continuato il quale necessita della mera rappresentazione dell’evento e non anche della sua volizione. Del resto, l’art. 81 c. 2 c.p. non esclude aprioristicamente i reati colposi dal campo applicativo, ciò che rileva che, le fattispecie delittuose, si siano rappresentate nella mente dell’agente e che siano esecutive di un medesimo disegno criminoso. Ne consegue, che tutti i reati dolosi o colposi commessi dall’agente nell’esecuzione di un medesimo disegno criminoso sottostaranno alla regola del cumulo formale.

In senso critico si è pronunciato l’orientamento maggioritario della giurisprudenza che aderisce ad una teoria teleologica del reato continuato secondo cui i singoli reati devono essere oggetto di “rappresentazione” ma anche di “volizione” oltre ad essere avvinti da un vincolo di scopo espressivo del c.d. medesimo disegno criminoso. L’interpretazione in questione, quindi, sostiene la radicale ed ontologica incompatibilità del fenomeno colposo, anche se sorretto da previsione, con l’istituto giuridico dell’art. 81 c. 2 c.p. D’altro canto la negligenza, imprudenza ovvero imperizia mal si conciliano con la programmazione, anche generica, di un piano criminoso e dei singoli reati che devono necessariamente essere sorretti dall’elemento volitivo ovvero del dolo.

Al contrario, l’elemento soggettivo del dolo eventuale sarebbe astrattamente compatibile con il reato continuato in quanto sorretto sia da un momento rappresentativo ma anche volitivo.

Dal punto di vista pratico, l’esclusione dell’istituto della continuazione comporta rilevanti effetti sul quantum di pena da erogare all’autore degli illeciti; ad esempio se l’agente, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, compie una pluralità di reati dolosi e colposi, ai primi verrà riconosciuta la continuazione con conseguente applicazione del regime di favore di cui all’art. 81 c.1 c.p. in tema di cumulo formale. Invece, la pena per i reati colposi seguirà la regola del concorso materia e della conseguente applicazione del cumulo materiale.

Ben più complessa è la tematica della continuazione in rapporto ai reati aggravati dall’evento e cioè quelle fattispecie penali nelle quali viene punita la sola condotta dell’agente (c.d. reati di mera condotta) e, nel caso in cui l’evento previsto dalla norma si verificasse, verrebbe applicata una pena più grave. In primo luogo, è necessario ricostruire il dibattito in ordine loro natura giuridica, sul punto si sono confrontate tre contrapposte tesi: della responsabilità oggettiva; della circostanza aggravante e della fattispecie autonoma di reato. Preme precisare che ogni teoria ha importanti riflessi non solo teorici ma anche pratici dal punto di vista del bilanciamento delle circostanze, del coefficiente psicologico e del quantum di pena da erogare.

La tesi più risalente sostiene che i c.d. reati aggravati dall’evento siano delle vere e proprie ipotesi di responsabilità oggettiva nelle quali l’evento deve essere addebitato al reo obiettivamente ovvero anche se da lui non previsto, voluto o evitabile. L’impostazione in questione trasla l’elemento psicologico del dolo della condotta anche all’evento secondo l’antico brocardo “qui in re illicita versatur, tenetur etiam pro casu”; in sostanza, chi versa in una situazione di illiceità risponde di ogni evento ulteriore anche se interviene il caso fortuito.

Tale interpretazione fu aspramente criticata dalla recente dottrina e giurisprudenza che, alla luce del principio di colpevolezza e della funzione rieducativa della pena, non ammettono ipotesi di responsabilità oggettiva nel nostro ordinamento. Invero, a seguito della famosa sentenza della Corte Costituzionale del 1988, in rapporto al tema dell’ignoranza inevitabile della legge penale, è stato affermato il principio di diritto secondo cui è necessaria quantomeno la colpa per l’integrazione di una fattispecie penale. Infatti, per poter giustificare la funzione rieducativa della pena è indispensabile che la condotta dell’agente, oltre ad essere eziologicamente collegata all’evento, debba essere sorretta dall’elemento soggettivo della colpa o del dolo.

Pertanto una parte della giurisprudenza ha considerato i reati aggravati dall’evento come vere e proprie fattispecie autonome di reato in base ad un’interpretazione conforme alla ratio delle norme e più garantista del bene giuridico protetto. Secondo la tesi in questione, la manifestazione dell’evento muta i tratti fondamentali della fattispecie penale in ragione di una maggiore lesività del bene protetto dalla norma penale. La predetta maggiore offensività conduce ad affermare la natura di reato autonomo, e non di mera circostanza, in ragione di un più rigoroso trattamento sanzionatorio verso una condotta non solo intrinsecamente pericolosa ma anche lesiva del bene presidiato dalla norma. In ogni caso, per l’integrazione del reato sarà necessaria quanto meno il coefficiente colposo o doloso non essendo possibile ammettere ipotesi di responsabilità oggettiva che si pongono in pieno contrasto con l’art. 27 cost., art. 1 c.p. e gli artt. 6, 7 CEDU.

La dottrina e la giurisprudenza ad oggi maggioritaria hanno criticato la predetta impostazione sostenendo che i c.d. reati aggravati dall’evento hanno natura di circostanza in base ad un’interpretazione letterale e favorevole al reo. Ad onor del vero, la natura di circostanza viene desunta dalla formulazione legislativa delle varie norme che, in caso di evento, dispongono “la pena è aumentata…” chiaro indice della natura circostanziale. Inoltre, anche la collocazione sistematica dispone in tal senso poiché l’evento aggravante viene previsto nei commi successivi della fattispecie penale come nel caso dell’omissione di soccorso ex art. 595 c.p. che, all’ultimo comma, statuisce che la pena è aumentata in caso di lesione personale e, invece, in caso di morte questa viene raddoppiata.

In ogni caso, classificare i reati aggravati dall’evento quali circostanze permetterebbero un trattamento più favorevole al reo dal punto di vista dell’eventuale bilanciamento con altre circostanze attenuanti e del tempo necessario a prescrivere il reato. Oltretutto, la qualifica come circostanza del reato necessita sempre di un addebito a titolo quanto meno colposo secondo le regole enunciate dall’art. 59 c.p.

Di conseguenza il reato continuato ben potrebbe conciliarsi astrattamente con i c.d. reati aggravati dall’evento.

In base alla teoria rappresentativa del reato continuato non vi sarebbe problema alcuno in ordine alla compatibilità di tali fattispecie penali poiché sarebbe esclusivamente necessario l’elemento soggettivo della colpa e il fine unitario dei reati commessi; di conseguenza si avrebbe l’applicazione del cumulo formale secondo la regola espressa dall’art. 81 c.1 c.p. e, quindi, di un trattamento sanzionatorio particolarmente favorevole al reo.

Qualora invece si aderisse alla tesi teleologica maggioritaria bisognerebbe valutare se l’evento ulteriore sia sorretto dall’elemento psicologico del dolo ovvero della colpa; nel primo caso, sarebbe ammissibile l’applicazione dell’art. 81 c.2 c.p. poiché oltre al profilo meramente rappresentativo vi è anche un coefficiente volitivo. Quindi, dal punto di vista sanzionatorio si avrebbe un’integrale applicazione del cumulo formale.

Viceversa, se l’evento aggravante venisse attribuito a titolo colposo all’agente, l’art. 81 c.2 c.p. non troverebbe applicazione per l’ontologica incompatibilità dell’istituto della continuazione con il coefficiente colposo con la conseguente applicazione del cumulo formale per i reati dolosi e il cumulo materiale per i reati colposi commessi.

Un altro tema particolarmente complesso è costituito dall’ammissibilità del reato continuato con il disposto di cui all’art. 586 c.p., morte o lesione come conseguenza di altro delitto, secondo cui quando dalla commissione di un delitto doloso deriva, come conseguenza non voluta, la morte o la lesione della persona offesa si applica l’art. 83 c.p., ma con le pene degli artt. 589 e 590 c.p. sono aumentate.

L’art. 586 c.p. rappresenta una norma derogatoria e specializzante rispetto all’istituto dell’aberratio delicti in quanto tale norma trova applicazione solo nei casi di commissione di delitto doloso.

Per quanto concernente il titolo dell’addebito dell’ulteriore evento non voluto, ovvero la morte e la lesione della persona offesa, si sono contrapposte varie tesi: della responsabilità oggettiva; dell’addebito colposo; della traslazione del dolo dall’evento voluto a quello ulteriore\non voluto anche se non prevedibile in concreto.

L’impostazione che intravede nell’art. 586 c.p. una ipotesi di responsabilità oggettiva è stata ripudiata dalla dottrina e giurisprudenza maggioritaria proprio in ragione della necessaria sussistenza di un addebito quanto meno colposo alla luce del principio di colpevolezza e della funzione rieducativa della pena per come statuito nel diktat della sentenza della Corte Costituzione del 1988.

Ad onor del vero, la tesi ad oggi predominate in giurisprudenza è quella della traslazione del dolo dal delitto doloso voluto dall’agente all’ulteriore evento non previsto né voluto; secondo tale impostazione ermeneutica, il dolo del reato base, e il versari in re illicita, conducono ad una necessaria trasposizione dell’elemento soggettivo anche per l’evento non voluto secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit. Si tratta in sintesi, non di una ipotesi di responsabilità oggettiva, ma di una prevedibilità in concreto tipizzata dal legislatore nell’art. 586 c.p. che non ammette prova contraria.

Parte della giurisprudenza e della dottrina ripudiano tale ricostruzione interpretativa in quanto confliggente con il principio di colpevolezza che non tollera alcun tipo di meccanismo di imputazione automatica. Difatti, la ricostruzione della traslazione del dolo altro non sarebbe che una sorta di responsabilità oggettiva “mascherata” proprio in ragione della mancata valutazione in concreto della prevedibilità dell’evento ulteriore non voluto. In particolare, l’impostazione in esame ritiene illogico addebitare un evento non voluto ed imprevedibile a titolo doloso con la conseguenza che sarebbero irrimediabilmente violati gli artt. 27 cost., art. 1 c.p. e gli artt. 6, 7 CEDU. 

Sicché sarebbe preferibile imputare all’autore del delitto le conseguenze non volute, ma prevedibili, a titolo colposo, viceversa, nel caso in cui tali eventi non fossero prevedibili in concreto, secondo il parametro dell’agente modello, l’autore dovrebbe rispondere esclusivamente del delitto doloso da questi commesso.

Le considerazioni disciplinari sopra esposte evidenziano come il reato continuato sarebbe astrattamente conciliabile con l’art. 586 c.p.; invero, se si aderisse alla teoria della responsabilità oggettiva o della traslazione del dolo nessun problema si porrebbe in ordine alla compatibilità fra 586 c.p. e l’art. 81 c.2 c.p. Nel caso in questione, la pena da erogare al reo sarebbe calcolata mediante le regole del cumulo formale; nonostante ciò la pena potrebbe risultare sproporzionata e non conforme alla funzione rieducativa in quanto frutto di automatismi sanzionatori poco aderenti, se non del tutto contrastanti, con i parametri di cui all’art. 27 Cost. 

Mentre se si aderisse alla tesi costituzionalmente orientata della responsabilità colposa dell’art. 586 c.p., con evento ulteriore in concreto prevedibile, il reato continuato non troverebbe applicazione salvo si aderisse alla tesi della rappresentazione che richiederebbe, ai fini della continuazione, anche il coefficiente colposo. In questo caso, nonostante verrebbe applicato il cumulo materiale, la sanzione sarebbe proporzionata poiché il l’art. 586 c.p. ricollega le sue conseguenze sanzionatorie alla cornice edittale dei delitti di cui agli artt. 589 e 590 c.p.

Infine, merita di essere segnalata la problematica concernente la compatibilità tra l’art. 81 c.2 c.p. e il concorso anomalo ex art. 116 c.p. il quale sancisce che, qualora il reato commesso da taluno dei concorrenti sia diverso da quello voluto, questi ne risponde se sia conseguenza della sua azione ovvero omissione.

Sull’effettiva portata applicativa del concorso anomalo è intervenuta la Corte Costituzione nel 1965 stabilendo i requisiti oggettivi e soggettivi al fine di evitare un’ipotesi di responsabilità oggettiva mascherata. Secondo i giudici di legittimità, al fine di muovere un rimprovero giusto, proporzionato e rieducativo all’agente e necessario che sussista sia il rapporto di causalità materiale, sia il coefficiente di colpevolezza e che quindi, l’evento non voluto sia, in base al parametro dell’agente modello, prevedibile in concreto. In ogni caso, l’evento non deve essere voluto nemmeno nella forma del dolo eventuale in quanto troverebbe applicazione, non l’art. 116 c.p., bensì l’art. 110 c.p.

Ne consegue logicamente che il concorso anomalo non è compatibile con il reato continuato; infatti, l’evento deve essere “non voluto” e quindi l’assenza del momento volitivo\intellettivo si pone in pieno contrasto con l’interpretazione maggioritaria che sancisce la volontà dell’evento ai fini dell’applicazione dell’istituto della continuazione.

Qualora se si aderisse all’interpretazione rappresentativa dell’istituto dell’art. 81 c.2 c.p., il concorso anomalo sarebbe compatibile solo se l’evento non voluto sia, in concreto, prevedibile.

Insomma, il reato continuato rappresenta un istituto giuridico di fondamentale importanza non solo dal punto di vista squisitamente concettuale ma anche, e soprattutto, dal punto di vista pratico; difatti, il regime sanzionatorio di favore, derivante dall’applicazione del cumulo formale, permette al reo di percepire la pena come giusta, proporzionata ed adatta alla sua rieducazione ed inserimento sociale. I preminenti valori costituzionali della necessaria colpevolezza del reo e della rieducazione sono ampiamente salvaguardati dalla disciplina della continuazione non solo rispetto al profilo sanzionatorio ma anche ad altri effetti penali quali, per citarne alcuni, la dichiarazione di abitualità, la prescrizione, il bilanciamento delle circostanze e la sospensione condizionale della pena.

In fin dei conti, l’art. 81 c.2. c.p., quale norma di carattere generale, è munito di un vis espansiva tale da coinvolgere numerosi istituti giuridici eterogenei con non indifferenti ricadute dal punto di vista pratico, basti pensare al riconoscimento della continuazione in executivis o alla continuazione fra reato associativo ed i singoli reati scopo.

In conclusione, il reato continuato rappresenta, ad oggi, non mero istituto di diritto penale ma una pietra miliare di giustizia sociale e democratica espressiva di una conquista giuridica senza precedenti.


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