La disciplina intertemporale dei decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016

La disciplina intertemporale dei decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016

Sulla retroattività delle sanzioni civili ed amministrative quando la pena inflitta con precedente sentenza di merito passata in giudicato non sia ancora stata espiata totalmente.

1. Introduzione.

Con i D.lgs. 15.1.2016, nn. 7 e 8 (Gazzetta Ufficiale del 22 gennaio 2016, n. 17) il Governo ha dato attuazione alla delega contenuta nell’articolo 2, Co. 2 e 3, Legge 28.4.2014, n.67, in materia di depenalizzazione, ossia di trasformazione di reati in illeciti amministrativi e in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili.

Tralasciando in questa sede la trattazione sui contenuti dei decreti del gennaio 2016, su cui molto è stato scritto, potendosi questi riassumere brevemente con la dicitura riportata con la loro emanazione (D.lgs. n. 7: “Disposizione in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili”. D.lgs. n. 8: “Disposizioni in materia di depenalizzazione”), ci si vuole qui dedicare alla problematica concernente la disciplina intertemporale da questi tracciata e in particolare ricercare una soluzione ad alcune ipotesi che non sono state disciplinate dal legislatore.

Entrambi i Decreti recano, alle premesse per la loro emanazione da parte del Presidente della Repubblica, il riferimento alla Legge n. 689 del 24 novembre 1981 recante “Modifiche al sistema penale”. Ebbene, potrebbe involgersi il sostegno alla teoria, minoritaria, che vorrebbe la Legge sulle sanzioni amministrative come avente carattere generale per ciò che non venga esplicitamente disciplinato in maniera difforme da successive disposizioni che disciplinino la medesima materia.

Tale affermazione è però osteggiata dal fatto che i Decreti attuativi citati hanno introdotto un’espressa disciplina successoria, agli articoli 12 e 8 dei rispettivi Decreti nn. 7 e 8. Ciò porta a sostenere che il Legislatore, ove abbia operato delle omissioni, si sia determinato in maniera cosciente, esplicitando solo quanto riteneva dovesse essere disciplinato.

Oltremodo non è dato ricavare alcuna normativa generale dal disposto della Legge sulla depenalizzazione del 1981, infatti questa, per quanto detti una serie di principi generali che possano far intendere una sua natura generale, all’articolo 40, fuori dalla sezione dedicata ai principi, rende applicabili le disposizioni della legge anche alle violazioni commesse prima della sua entrata in vigore qualora il procedimento penale non sia stato ancora definito, così rendendosi oltremodo inutile ai fini che qui ci occupano.

Il riferimento alla retroattività della Legge in commento ed alla sua natura viene in rilievo in questa sede in quanto si vuole evidenziare una lacuna dei Decreti de 2016 in merito alla situazione che deriva dall’abrogazione o dalla degradazione a sanzione amministrative di reati che siano stati precedentemente accertati con sentenza con valore di cosa giudicata.

In particolare la questione attiene al caso di procedimento concluso con sentenza definitiva, ove però la pena irrogata non sia ancora stata eseguita; situazione, appunto, non disciplinata da alcuna norma contenuta nei Decreti, né tantomeno dalla Legge n. 689 del 1981.

In tale condizione si nota una disparità di trattamento ingiustificabile, sotto l’egida dei principi di ragionevolezza ed eguaglianza, tra il reo condannato che non abbia espiato la sua pena e l’imputato che si riveli colpevole ma che non sia stato ancora condannato con sentenza definitiva. Solo il secondo sarà sanzionato a norma dei decreti del 2016, mentre il primo resterà totalmente impunito, salvo la parte di pena già espiata in conseguenza della sentenza di merito emanata in un tempo precedente alla depenalizzazione o all’abrogazione del reato.

2. La disciplina intertemporale dei Decreti delegati.

L’art. 12 D.lgs n. 7 (Disposizioni transitorie”) prevede un regime analogo a quello dettato dall’articolo 2, comma 4, del codice penale che disciplina il caso della retroazione della legge più favorevole al reo. Al comma primo dell’articolo 12 si legge infatti che “Le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili”.

Venendo al secondo comma, qualora i procedimenti penali per i reati abrogati dal decreto siano stati definiti, “prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice dell’esecuzione provvede con l’osservanza delle disposizioni dell’articolo 667, comma 4, del codice di procedura penale”.

Nulla viene disposto in merito alla pena irrogata con sentenza passata in giudicato, se non la revoca della stessa. Se ne deduce che alla revoca della sentenza consegue il venir meno della pena inflitta in conseguenza dell’abrogazione dei reati. Ciò però pone una questione in contrasto con il principio di ragionevolezza delle leggi e di uguaglianza ove al reato abrogato si affianchi una sanzione civile;  in tal caso si consente al reo condannato con sentenza definitiva di veder cessare gli effetti della sentenza revocata, andando addirittura esente da pena ove questa non sia stata ancora eseguita, senza che venga contestualmente disposta l’irrogazione della sanzione civile relativa, a differenza degli imputati in procedimenti ancora in corso che, in applicazione del primo comma, saranno destinatari delle sanzioni disposte dal Decreto.

Con riferimento poi alla disposizione in materia di disciplina intertemporale del decreto legislativo n. 8 del 2016, che ha attuato la trasformazione dei reati in esso previsti in illeciti amministrativi, viene in rilievo l’art. 8 (“Applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni anteriormente commesse”) che dispone, specularmente ai già menzionati comma 1 e 2 dell’articolo 12 D.lgs. n. 7 e articolo 2 c.p., che le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.

Se i procedimenti penali per i reati depenalizzati dal presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice dell’esecuzione provvede con l’osservanza delle disposizioni dell’articolo 667, comma 4, del codice di procedura penale.”

Viene poi aggiunto un terzo comma con un divieto di retroazione degli eventuali effetti sfavorevoli sulla sfera patrimoniale o personale del reo che derivino dall’irrogazione della sanzione amministrativa “pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale. A tali fatti non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie.”

Come è evidente, anche in questo caso non è chiara la conseguenza della depenalizzazione sulle pene inflitte con sentenze passate in giudicato e non espiate, se non la loro revoca.

3. La ratio legis dei decreti per un’interpretazione equa.

Per superare un’interpretazione letterale che pone seri problemi di squilibrio, oltre a stabilire che siano elementi accidentali a stabilire chi dovrà essere sanzionato con le nuove disposizioni e chi invece rimarrà impunito, deve porsi l’attenzione sull’iter legislativo per ricercare quali siano state le reali intenzioni delle Istituzioni e per stabilire se possa o meno rendersi una più equa applicazione delle norme in commento in senso costituzionalmente orientato.

Nell’articolato dello schema del decreto legislativo n. 8 si legge che “la strategia di riduzione dell’area del penalmente rilevante che si vuole realizzare con il presente intervento normativo, tramite uno sfoltimento del sistema delle incriminazioni sulla base di criteri razionali (c.d. depenalizzazione “in astratto”), intende ovviare alla evidente e attuale criticità connessa ad una espansione ipertrofica del diritto penale che rischia di determinare effetti particolarmente insidiosi, consistenti, da un lato, nello svilimento della serietà che occorrerebbe, invece, riconoscere alla pena (ed al ricorso ad essa), dall’altro, nella circostanza che l’eccesso di prescrizioni provoca disorientamento e acutizza il problema della conoscibilità delle norme penali da parte dei cittadini: la possibilità di incorrere nella commissione di un reato finisce, invero, col dipendere sempre più dal caso, aggravando in tal modo la perdita di legittimazione dell’intervento punitivo”.

Da questa lettura potrebbe discendere un’interpretazione delle discipline intertemporali dei Decreti che integri la mancanza di disposizioni che provvedano a regolare i casi, come sopra richiamati, di sanzioni penali inflitte e non scontate che debbano essere revocate in conseguenza della depenalizzazione.

La ricerca della serietà della pena e del ricorso ad essa non può giustificare un vuoto sanzionatorio per reati che, si sottolinea, sono stati già accertati con sentenza passata in giudicato.

Oltremodo la risultanza di tale inconveniente comporta che la sanzione amministrativa faccia dipendere la sua rilevanza dal caso, ovvero dall’aver o meno scontato la pena inflitta prima dell’intervento della depenalizzazione.

Continuando la lettura dello schema di decreto si legge che “non si è ritenuto di accogliere le seguenti osservazioni della Commissione giustizia della Camera dei deputati: richiamare, in tema di applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni anteriormente commesse, oltre che la pena inflitta anche quella prevista per il reato: una tale opzione vanificherebbe la portata applicativa dell’articolo 1 del presente decreto. In assenza, infatti, di una pronuncia di condanna, che abbia dato concretizzazione alle previsioni edittali di pena, l’unico riferimento possibile è alla previsione generale ed astratta di pena contenuta nella norma penale, e tale parametro di commisurazione delle sanzioni amministrative è già considerato dall’articolo 1 del decreto”.

Il riferimento qui è evidentemente all’articolo 8, Co. 3, Decreto legislativo n. 8 del 2016, ove nella sua prima parte dispone che “ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto non può essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale.”

Tale articolo non potrebbe, a ben vedere, essere utilizzato anche per tramutare la pena inflitta con sentenza passata in giudicato ex articolo 8, Co. 2, in quanto entra qui in rilievo il principio di tassatività e di reatroattività della legge più favorevole, che risulta essere quella che prevede la semplice revoca della sentenza definitiva senza nulla disporre in merito alle pene non espiate.

Ci si chiede allora il motivo per cui venga disposto un criterio di ragguaglio per la pena inflitta, evidentemente con sentenza che non abbia ancora acquisito carattere definitivo, prima della depenalizzazione secondo i criteri dell’articolo 135 c.p.

Potrebbe qui intervenire un’interpretazione combinata dei due commi, secondo e terzo, alla luce dello schema di decreto delegato che sembra proprio non voler lasciare alcuno spazio di impunità.

Leggendo il criterio disposto dal comma 3, richiamante l’articolo 135 c.p., come criterio generalmente applicabile, in quanto ragionevolmente estensibile anche ai casi di sentenza passata in giudicato, potrebbe farsi salvo il principio di ragionevolezza quanto quello di eguaglianza; senza con ciò ricadere nell’elusione del divieto di analogia in malam partem, ma solo facendosi applicazione dell’articolo 12 Preleggi, ovvero guardando al senso “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e della intenzione del legislatore”.

Sulla scia si tale ragionamento ben potrebbe leggersi il dovere del giudice dell’esecuzione di adottare i provvedimenti conseguenti alla revoca della sentenza passata in giudicato per la sopravvenuta depenalizzazione, contenuto al comma 2, come apertura al successivo comma 3 che prescrive il ragguaglio delle pene inflitte. Proprio il riferimento alle pene inflitte e non a quelle astrattamente prescritte, come si è visto essere oculata scelta legislativa, potrebbe dare la stura a tale tipo di interpretazione sistematica e fondata sulla ratio legis.

Differente è la situazione concernente le abrogazioni e le sanzioni civili disciplinate dal Decreto legislativo n. 7 del 2016.

Qui non v’è traccia di una disposizione speculare al summenzionato comma 3 dell’articolo 8, Decreto legislativo n. 8 del 2016.

La ragione è da ricercare nel fatto che il Decreto n. 7 sancisce delle abrogazioni, così che sarà applicabile il principio espresso all’articolo 2, Co. 2, c.p. per l’abolitio criminis, come infatti ripreso dall’articolo 12 del Decreto citato.

Per ciò che concerne invece gli illeciti civili sarà il principio dell’articolo 2, Co. 4, c.p., come riportato all’articolo 12 del Decreto in commento, a disciplinare la successione di leggi. Ma anche in questo caso manca, come visto, un riferimento ai casi di sanzioni penali inflitte e non scontate prima dell’entrata in vigore del Decreto.

Nella relazione illustrativa del Governo per l’emanazione del Decreto n. 7 si legge che: “Premesso che nel caso di giudizi penali definiti in modo irrevocabile troverà applicazione l’art. 2, comma 2, c.p., in rapporto ai procedimenti pendenti si pone la seguente alternativa: 1) coltivare l’esigenza di introdurre norme transitorie volte ad assicurare l’applicazione retroattiva della nuova disciplina in materia di sanzioni pecuniarie civili, al fine di evitare disparità di trattamento; 2) non prevedere l’applicazione retroattiva della nuova disciplina, al fine di privilegiare esigenze di economia processuale. Si è ritenuto di introdurre all’articolo 12 una disciplina transitoria per i fatti commessi in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, per i quali non sia già intervenuta una pronuncia irrevocabile, che prevedesse l’applicazione della sanzione pecuniaria civile quando la parte danneggiata decida di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno. In tal caso si applicheranno le disposizioni relative al processo civile (articolo 12).”

E’ il primo periodo a destare perplessità ove non si tiene conto del fatto che la disciplina dell’articolo 2 c.p. non è applicabile automaticamente alla depenalizzazione, né tantomeno alla successione tra pene e sanzioni civili. Infatti l’articolo 2 c.p. si riferisce esplicitamente alla successione di leggi penali e tale natura non è ravvisabile in sanzioni amministrative e civili.

Così in assenza anche di una norma parallela al comma 3 dell’articolo 8, Decreto legislativo n. 8 del 2016, non può involgersi un’interpretazione sistematica e razionale che risolva le questioni qui affrontate e non può che invocarsi un ripensamento del Legislatore che preveda (rectius: provveda ad) un’espressa disciplina del caso che qui ci occupa alla luce dei principi di ragionevolezza, eguaglianza e, visto il richiamo improprio all’articolo 2 c.p. operato dalla relazione illustrativa del Governo, al principio di legalità.

Nulla esclude, infatti, che per motivi di ragionevolezza, che qui non mancano, il Legislatore possa prevedere casi anche di retroazione e di elusione dei principi sanciti dall’articolo 2 c.p., a maggior ragione nella materia delle sanzioni non penali che non rilevano nel campo di azione dei principi penali.

4. Conclusioni.

Vista la rilevanza che, ormai sempre maggiormente, stanno assumendo normative di carattere deflazionante; vista la ritrovata volontà legislativa di operare penalmente solo in casi di reali offese a beni giuridici aventi rilevanza costituzionale; viste le premure europee ed internazionali circa i principi, assolutamente non estranei al nostro Ordinamento, di legalità, equità e proporzionalità; non può che rendersi necessaria una revisione complessiva delle modalità con cui il Legislatore rende attuali i suoi interessi.

La ricerca di un Ordinamento mite e minimo (secondo gli insegnamenti di Stefano Rodotà) non può essere sinonimo di irragionevolezza; non può essere la strada più facile, che per il diritto è la mancanza di disciplina, a portare risultati. Salvo voler credere che la giustizia sia solo quella che la legge dispone come tale.


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Michele Amato

Nato a Cosenza il 17/12/1990 Residente a Castrovillari (CS) E-mail: m.amatomichele@libero.it Lavora attualmente come consulente legale per persone e imprese. Laureato in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa. Abilitato all’esercizio della professione forense. Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Università Federico II di Napoli. Ha frequentato la Scuola di formazione di Galli Rocco in Napoli.

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