La diseredazione dei legittimari tra etica e diritto

La diseredazione dei legittimari tra etica e diritto

Partendo dal presupposto secondo cui il nostro ordinamento, in ambito successorio, si fonda sul principio della libertà e sovranità del testatore, sarebbe lecito pensare che questi possa disporre delle proprie sostanze, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, come meglio crede.

Tuttavia, tale assunto si scontra con i paletti tracciati dal legislatore e, più in particolare, con la necessità di garantire la c.d. quota di riserva a quei soggetti a cui l’ordinamento riconosce la qualità di legittimari.

Giocoforza, assume particolare pregnanza la problematica relativa alla possibilità della loro diseredazione alla luce dell’attuale tessuto normativo vigente nonché del sentire comune.

A primo acchito, verrebbe quasi spontaneo suggerire al povero anziano abbandonato a se stesso, magari proprietario di un unico appartamento, di venderne la nuda proprietà di modo che possa goderne come usufruttuario a vita e spendere (ma non con liberalità) il corrispettivo ricevuto senza lasciare un centesimo. Quel che è certo, difatti, è che il legittimario potrà reclamare le sue spettanze su quel che resta al momento dell’apertura della successione per cui, se l’asse ereditario dovesse essere pari a zero, non avrebbe pretesa alcuna ma questa è una riflessione, a voce alta, che esula dal campo di indagine che qui ci occupa.

Tornando alla questione propriamente detta, occorre in primis, analizzare l’iter evolutivo dell’istituto della diseredazione in generale per poi traslare il profilo nell’ambito della successione necessaria, con specifico riferimento ai legittimari.

Occorre, in via preliminare, stabilire che per diseredazione si intende definire la esclusione, a mezzo di una espressa clausola testamentaria, di un successibile ex lege.

In dottrina e in giurisprudenza, ci si è interrogati sulla ammissibilità di siffatta clausola e, più dettagliatamente, ci si è chiesti se fosse consentito all’autonomia privata anche ricorrere a disposizioni testamentarie negative.

In materia, giova rammentare le tre tesi che si sono susseguite in campo.

Secondo un primo orientamento, più datato, la risposta da darsi al quesito non può che essere negativa dal momento che il termine “dispone” di cui all’art. 587 c.c., relativo al testamento, presupporrebbe una sola volontà attributiva.

Altra dottrina, invece, ha ritenuto possibile la clausola diseredativa solo se e nella misura in cui fosse accompagnata da una volontà istitutiva di altri soggetti sia a titolo di eredità che di legato. Al contempo, nel corso degli anni, in via giurisprudenziale, si era andata a delineare la tesi secondo cui la disposizione testamentaria de qua era valida laddove fosse rinvenibile una istituzione implicita.

Dirimente è stato l’intervento della giurisprudenza di legittimità con la sentenza 8352/2012, che ha sancito una decisa inversione di rotta. Ed invero, la Suprema Corte ha statuito, a chiare lettere, la ammissibilità della disposizione in esame  con una argomentazione abbastanza intuitiva.

Orbene, la Cassazione ha puntualizzato che l’espressione “disporre” di cui all’art. 587 c.c., ben può sostanziarsi in una volontà ablativa, destitutiva che può essere anche l’unica contenuta in una scheda testamentaria, dal momento che  il testatore indirizza la concreta destinazione post mortem del proprio patrimonio, restringendo la successione legittima ai non esclusi.

Acclarato tale revirement, resta da chiarire quale sia la cerchia di soggetti che possono essere esclusi dalla successione.

Se nulla quaestio si pone per i non legittimari per cui, a titolo meramente esemplificativo, si può diseredare un fratello, la querelle è tutt’altro che sopita con riguardo ai titolari della quota di riserva.

Ebbene, secondo una prima opzione ermeneutica una siffatta clausola sarebbe nulla, altra dottrina propende per la riducibilità, e quindi per la ricevibilità, della disposizione in commento, un ulteriore orientamento prevede la diseredazione nei limiti della disponibile.

Il dibattito diventa di più ampio respiro anche alla luce della introduzione dell’art. 448 bis, c.c., che contempla espressamente la diseredazione dell’ascendente, per casi diversi dalla indegnità. Sul punto, si precisa che non si tratta delle cause di decadenza dalla responsabilità genitoriale bensì di particolari tipologie di reati, come l’alterazione di stato.

Deve desumersi che l’ipotesi in commento abbia una portata abbastanza circoscritta, nonostante non siano mancati autori che ne hanno rinvenuto un significativo appiglio anche normativo.

Allo stato, si deve asserire che i legittimari hanno diritto ad una quota intangibile e quindi anche l’eventuale clausola di diseredazione espressa nei loro confronti resta sempre e comunque rimessa alla volontà di tali soggetti di ossequiare tale volere, ben potendo invece agire in riduzione. Difatti, solo in presenza delle cause di indegnità o delle ipotesi ricadenti nell’alveo dell’art. 448 bis, c.c., è scongiurato tale rischio. Si ritiene, perciò, maggiormente rispondente all’attuale contesto normativo la pretermissione, che non esclude che il soggetto venga chiamato alla successione.

In via conclusiva, ammesso e non concesso che possa disporsi espressamente la diseredazione del legittimario, dunque, rimarrebbe sullo sfondo il rimedio della riduzione.

Ciò posto, la vera soluzione auspicabile sarebbe, allora, quella di una rilettura costituzionalmente orientata della successione necessaria, in modo da abbracciare l’idea di una solidarietà familiare, non solo in senso patrimoniale ma volta a garantire lo sviluppo della personalità umana[1]. Solo in tal modo sarebbe “davvero” possibile escludere dalla successione soggetti che abbiano tenuto comportamenti contrari ai doveri familiari, nonostante siano legittimari, allineandosi alle istanze, anche etiche, fortemente avvertite nella coscienza sociale. Purtroppo, non sempre opera una corrispondenza biunivoca tra legami di sangue ed affettivi ed è giusto che il peso preponderante spetti solo a questi ultimi.


[1] Ilenia Rapisarda, Appunti sull’indegnità a succedere (in attesa dell’auspicata riforma del diritto delle successioni) in Riv. Dir. Civ., 2018, 5, 1372

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