La figura dell’imputato di reato connesso o collegato e del testimone assistito ex artt. 210 e 197-bis c.p.p.

La figura dell’imputato di reato connesso o collegato e del testimone assistito ex artt. 210 e 197-bis c.p.p.

Si è soliti pensare, nel modo più erroneo possibile, che i processi si svolgano (e si concentrino) intorno alla dettagliata e argomentata arringa del difensore in fase di discussione senza considerare che l’assoluzione o la condanna dell’imputato si definisce nella fase istruttoria, mediante l’ammissione e l’acquisizione delle prove.

Ergo, baricentro di un processo penale sono fuori discussione le prove.

Fra queste, prova principe è per certo la testimonianza, considerata da sempre come avvolta da un certo grado di sacertà, per molto tempo addirittura “intoccabile” da parte della difesa e “maneggiabile” dalla sola parte pubblica.

Basti pensare che prima della tormentata e auspicata L. n 397/2000 (con la quale discorrendo, finalmente, di “Investigazioni difensive” si è attribuita la possibilità – anche – al difensore di poter costruire in fase di indagini una struttura che reggesse la difesa in giudizio) al difensore era fatto addirittura divieto – con tanto di censura sul piano deontologico – di aver alcun contatto preventivo con il futuro testimone. Ora, ben si comprende come questa stridesse con una delle regole auree dal lato della difesa: quella di poter verificare se la ricostruzione posta in essere dal soggetto informato potesse o no servire nell’ambito processuale.

Ma altra prova di pari importanza è l’esame della parte. Si pensi a titolo esemplificativo all’ipotesi in cui il soggetto sottoposto ad indagini abbia confessato nel corso di un interrogatorio ed il P.M. abbia scelto di esercitare l’azione penale senza raccogliere altri elementi.

Si riesce a ben comprendere come la chiave dell’intero processo venga fornita dalla parte stessa.

Questa sarebbe l’ipotesi più semplice.

Invero, i processi non si svolgono – sempre – nei confronti di un unico imputato e/o – in presenza di più imputati – nell’ambito di un unico processo cumulativo.

Ma, prima ancora di addentrarci nell’analisi del caso, è importante verificare come mutino garanzie e obblighi a seconda dell’ambito prospettico dal quale ci si pone, se dal lato imputato ovvero testimone, per meglio comprendere come l’incontro fra le due dia vita ad un impianto particolarmente complesso.

 Occorre anzitutto guardare ai due specularmente.

Il modello adoperato per la testimonianza si ripete anche per la parte – e non solo. Modello di suo già particolarmente reticolato, esplicandosi in un esame/controesame/riesame, che vede – soprattutto il controesame – una meticolosa costruzione a seconda della tesi che si vuole rafforzare (si badi come all’imputato, a seguire dalla richiesta di prove, viene sempre data la possibilità di rendere – anche – spontanee dichiarazioni. Si noti ancora come un imputato che vuole partecipare probatoriamente al processo deve, sempre, sottoporsi ad esame, mentre, ex art. 494 c.p.p., con la spontanea dichiarazione si instaura un mero confronto dialettico.)

Ma ai due, secondo un impianto assolutamente garantista, vengono apprestate tutele diverse.

In nuce, mentre il testimone ha l’obbligo di presentarsi al giudice e se non lo fa può essere coattivamente portato in aula, deve necessariamente rispondere e giurare di dire il vero, di contro, la regola base che guida l’esame  della parte è “nemo tenetur se detegere” : nel suo diritto di difesa rientra tanto la facoltà di non rispondere, che quella di non presentarsi ovvero di non sottoporsi ad esame ovvero ancora non incombe su di lui alcun obbligo di dire la verità.

Ciò che balza immediatamente all’occhio è come garanzie ed obblighi previsti per i due siano poste esattamente su due poli opposti.

Evitando lungaggini concernenti prove che invero non ci servono così nel dettaglio, possiamo ora passare ad analizzare la situazione oggetto della trattazione, riallacciandoci all’ipotesi in cui un processo si svolga contro più imputati.

Supponiamo l’ipotesi in cui Tizio, nell’ambito del suo interrogatorio non abbia solamente discorso della sua responsabilità ma abbia anche chiamato in correità Caio, ma mentre Tizio è altresì in itinere sottoposto a custodia cautelare in carcere, Caio è riuscito a fuggire.

Ergo, mentre Tizio è cautelarmente ristretto della sua libertà con in più un processo già in corso, Caio viene trovato in un secondo momento, sicché per quest’ultimo si svolgerà un secondo processo ad hoc.

Ora, dal momento che la responsabilità di Caio si regge sulle accuse di Tizio, ciò che rileva è riuscire a far subentrare le dichiarazioni di quest’ultimo nel processo di Caio.

E ben sappiamo come, già in un unico processo contro uno ovvero due imputati, le dichiarazioni precedentemente rese dal soggetto imputato, all’epoca indagato, siano estremamente fragili e, se non attraverso accortezze (richiesta di interrogatorio da parte del P.M. che non vuole perdere le dichiarazioni appena rese sul luogo e nell’immediatezza del fatto ad una polizia giudiziaria o cristallizzazione mediante richiesta di incidente probatorio) ovvero strumenti processuali appositamente creati (lettura e/o contestazioni) rischino di non avere alcun peso processuale.[1]

Siamo nell’ambito di quella che rappresenta la più delicata e contorta figura dell’ambito processuale penale, l’imputato di reato connesso o collegato (cui si aggiunge, guardando da un’altra angolazione, quella di testimone assistito) particolarmente ingarbugliata poiché frammezzo un testimone e un imputato.

Occorre partire dal presupposto che Tizio, nel momento in cui viene chiamato per rendere la sua dichiarazione contro Caio, potrebbe ritrovarsi in due diverse situazioni: 1) ha ancora il suo processo pendente; 2) la sua posizione è ormai definita in seguito a sentenza passata in giudicato.

Partendo dalla prima ipotesi, siamo esattamente nell’ambito della figura di un imputato di reato connesso.

Per poter essere ascoltato Tizio verrà anzitutto inserito in Lista Testi, come expressis verbis dispone il 468 c.p.p. facendo riferimento al 210 c.p.p. (cosa che non avviene in un normale esame delle parti ai sensi del 208 c.p.p.), nell’ipotesi in cui non si dovesse presentare potrà essere coattivamente accompagnato in aula – cosa che non può mai avvenire con un 208 c.p.p. poiché lesivo del diritto di difesa dell’imputato e che invece avviene nell’esame testimoniale, ma può ancora continuare ad avvalersi della facoltà di non rispondere poiché comunque – ricordiamolo – Tizio è ancora imputato nel suo processo e, il diritto di difesa di quest’ultimo assume un valore ponderale maggiore rispetto all’accertamento della verità nei confronti di Caio.

Ma Tizio, oltre ad avvalersi della facoltà di non rispondere, potrebbe altresì ritrattare la dichiarazione precedentemente resa.

Ben si comprende come qui non possa più valere il 503 c.p.p. (come già precedentemente richiamato) strettamente relato al 500 c.p.p., ergo l’istituto processuale della contestazione che nell’esame della parte vede una sua deroga rispetto all’esame testimoniale e cioè, sinteticamente, la dichiarazione dell’imputato entra direttamente nel fascicolo per il dibattimento.

Qui opera infatti l’art. 513, co. 2 c.p.p. secondo cui, il giudice deve con ogni mezzo, su richiesta del P.M., cercare di ottenere la convocazione e relativa dichiarazione di Tizio nel processo contro Caio.

Se ciò non risulta possibile per fatto e/o circostanze imprevedibili al momento della dichiarazione opera il 512 c.p.p., altrimenti, salvo che non vi sia il consenso di Caio all’utilizzazione ai sensi del 111, co. 5 Cost., quella, non potrà mai essere utilizzata.

Con un’ultima eccezione: a meno che cioè il P.M. – prudentemente – abbia scelto di procedere ad incidente probatorio ai sensi del 513, co. 3 c.p.p.

Nella seconda ipotesi Tizio invece ha già la sua posizione processuale definita con sentenza passata in giudicato, per cui, ex art. 197-bis c.p.p. assumerà la veste del cosiddetto “Testimone Assistito” che non gli attribuisce più, però, la facoltà di non rispondere come nel caso di cui sopra.

Peculiare la sua stessa definizione, ché ben ci catapulta in quella che è la perfetta intersezione fra le due figure, di imputato e testimone.

La mancanza del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere è certamente da ascrivere, anzitutto, al venir meno della posizione di imputato di Tizio, mentre, il suo acquisire la veste di testimone è da rinvenirsi in un avvertimento che potrebbe essere apparso all’epoca dei fatti come mero adempimento burocratico ma che cela enormi garanzie, soprattutto, per le posizioni dei terzi chiamati in causa.

Verosimilmente, per poter acquisire tale veste, Tizio sarà stato sottoposto ad interrogatorio che, ex art. 64 c.p.p., prima di potersi svolgere, deve essere preceduto da una serie di avvertimenti, fra i quali: 1) la possibilità di avvalersi della facoltà di non rispondere, ma il procedimento seguirà comunque il suo corso; 2) che tutto ciò che dirà potrà essere utilizzato contro di lui; 3) che se dovesse rendere dichiarazioni erga alios potrà, se la sua posizione processuale lo consente, assumere l’ufficio di testimone.

Ben si comprende come, mediante quest’ultimo avvertimento, è come se fra il P.M. e l’indagato si stesse per consolidare un patto.

È però altresì necessario che l’avvertimento sia stato concretamente fatto; poiché altrimenti opera l’art. 64, co. 3-bis, secondo cui quelle dichiarazioni sono inutilizzabili e Tizio non potrà mai rivestire tale veste.

È ancora ovvio che, è necessario che Tizio, nel corso del suo interrogatorio, abbia effettivamente discorso della responsabilità di terzi soggetti; nel caso contrario, Tizio potrà essere ascoltato come un 210 c.p.p., ma mai come un 197-bis c.p.p., rectius, non potrà mai essere obbligato a riferire sulla responsabilità di un soggetto di cui invero non ha mai discorso.

Ancora, abbiamo discorso di testimone “assistito”: assistito poiché vi è la necessaria presenza di un difensore.

Orbene, ex art. 197-bis, co. 4, “il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione.”

Ben si comprende allora, come solo un difensore che tutto sa di quanto accaduto nel processo di Tizio, possa intervenire per evitare che vengano poste determinate domande e che il soggetto stesso venga “indotto” a discorrere contra se.

E ancora, nella fase valutativa del giudice in ordine alle prove, ex art. 192 c.p.p., è necessario che la dichiarazione di Tizio nei confronti di Caio venga valutata unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità. Nell’ultima espressione “altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità” occorre estrarre due diverse regole di giudizio: occorre sottoporre la dichiarazione ad una “attendibilità intrinseca” (la dichiarazione, in quanto tale, deve reggere; deve altrimenti avere una sua plausibilità) nonché ad una “attendibilità estrinseca” (è cioè necessario che ci siano altri elementi che riescano a confermare, ab esterno, il narrato dello stesso).

A ben vedere, ciò si rende necessario per una ragione più che intuibile: Tizio, che nel suo processo può aver discorso della responsabilità di Caio semplicemente per attribuire ad alcuno la responsabilità, ha tutto l’interesse a continuare a mantenere lineare la sua posizione (nonostante questa non sia veritiera) per evitare di esporsi a falsa testimonianza.

A gradi linee, abbiamo tracciato le due diverse posizioni che un soggetto che ha precedentemente discorso dell’altrui responsabilità si ritrova ad assumere.

Ma ne abbiamo tralasciata ancora una – volutamente – per ultima.

Il 210 c.p.p., oltre ad occuparsi dell’ipotesi di connessione ai sensi dell’art. 12, co. 1 lett. a), cosiddetta “connessione forte” data dalla sussistenza di concorso di persone, cooperazione colposa o condotte indipendenti che hanno determinato l’evento, si occupa anche della cosiddetta “connessione debole” ai sensi dell’art. 12, co. 1 lett. c) e 371, co. 2 lett. b), vale a dire reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova del reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato (imputati “teleologicamente connessi” o “probatoriamente collegati”).

Detto altrimenti, siamo nell’ipotesi in cui Tizio e Caio, giudicati in due diversi processi hanno sì commesso due diversi reati ma, gli stessi, non sono completamente scissi e indipendenti l’uno dall’altro bensì le due regiudicande presentano elementi comuni.

Siamo in un’altra situazione ancora.

La peculiarità è qui che, a prescindere dalla posizione processuale di Tizio (se il suo processo è ancora pendente ovvero la sua posizione è già definita), quest’ultimo acquisterà sempre la veste di testimone.

E questo per una ragione più che intuibile e cioè, trattandosi di regiudicande diverse, nulla impedisce che Tizio parlando di Caio non debba anche discorrere della sua responsabilità e a ben vedere opera, anche in questo caso, l’avvertimento di cui all’art. 64 c.p.p.

È certo anche vero che, nell’ipotesi di connessione debole, Tizio acquista sì sempre la veste di testimone ma nell’ipotesi in cui il suo processo fosse ancora pendente è prevista un’altra possibilità, quella di avvalersi della facoltà di non rispondere, sempre e naturalmente, limitatamente alla sua di responsabilità nel processo di Caio.

Questo per impedire che un P.M. possa far discorrere Tizio della sua responsabilità nel processo di Caio e acquisire, mediante contestazione, la stessa nel processo del primo, vanificando, de facto, la stessa garanzia data all’imputato di poter evitare di discorrere della sua responsabilità.


[1] Un P.M. che sceglie di andare a processo avendo quale unico elemento a carico la dichiarazione dello stesso indagato/imputato ben sa che lo stesso, difatti, potrebbe: 1) scegliere di non presenziare al processo: come ben noto, l’attuale istituto dell’assenza permette all’imputato – che deliberatamente e consapevolmente lo sceglie – di far sì che il suo processo si svolga indipendentemente dalla sua presenza in aula; 2) potrebbe presenziare ma decidere di non sottoporsi ad esame – rectius – di avvalersi della facoltà di non rispondere: tale possibilità rientra nel suo diritto di difesa costituzionalmente garantito; 3) potrebbe essere presente, sottoporsi ad esame ma rendere una dichiarazione diametralmente opposta a quella precedente.
Ora, nelle prime due ipotesi, come expressis verbis dispone l’art. 513 co. 1 c.p.p., viene utilizzato l’istituto processuale della lettura, il che vuol dire che le stesse assumeranno mediante la stessa, dignità di prova. Questo vale non per tutte le dichiarazioni precedentemente rese, poiché eccessivamente stridente con quanto contenuto nel nostro dettato costituzionale e secondo cui la prova – nel processo penale – si deve formare nel contraddittorio delle parti.
Vi rientrano invero solo quelle dichiarazioni rispetto alle quali il P.M. abbia prudentemente proceduto ad interrogatorio; ergo, non entrano le sommarie informazioni rese alla Polizia giudiziaria ex art. 350 c.p.p.
Nell’ultimo caso – ritrattazione – opera invece il 503 c.p.p., l’istituto processuale della contestazione: qui, il 503 c.p.p. pone una deroga rispetto al 500 c.p.p.; il che vuol dire che le dichiarazioni precedentemente rese dall’indagato non verranno lette all’esclusivo scopo di minare la credibilità dello stesso, ma entreranno nel fascicolo per il dibattimento ed in seguito a lettura, acquisteranno la valenza probatoria.
Nell’ipotesi di processo cumulativo contro due imputati se Tizio chiama in correità Caio, e Tizio dovesse ripresentare le stesse situazioni precedentemente elencate, per la sua posizione processuale saranno valevoli le regole di cui sopra, non già per Caio, rispetto al quale un P.M. ben attento deve aver già proceduto ad incidente probatorio – art. 392 co. 1, lett. c) – se non vuole perdere le dichiarazioni nei suoi confronti ovvero possono essere valevoli le regole di cui al 111 co. 5, Cost.
La situazione di un processo non cumulativo nei confronti di due imputati che abbiano concorso nello stesso reato ovvero processo non cumulativo in cui la regiudicanda A ha delle connessioni con la regiudicanda B, è oggetto della stessa trattazione.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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